Intervista a Edoardo Crepaldi – Di Daniela Larentis

Il giovane pianista trentino racconta la sua passione per la musica, evidenziando come impegno e dedizione siano fondamentali per realizzare i propri sogni

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Nel mondo musicale, dove le note evocano emozioni senza bisogno di parole, ci sono momenti in cui la musica e la parola si fondono, rivelando una profondità di espressione che va oltre i confini delle rispettive discipline.
Per fare un esempio, Erik Satie, noto compositore francese del XX secolo, era un artista poliedrico che non solo ha lasciato un'impronta indelebile nel mondo della musica, ma anche nel campo della scrittura e della letteratura.
Questo connubio tra suono e significato trova un'eco particolare nel percorso di giovani musicisti contemporanei, come il trentino Edoardo Crepaldi, il quale continua a esplorare e a esprimere le profondità dell'esperienza umana attraverso il pianoforte e il suo impegno artistico.
 
In un'epoca contraddistinta dai ritmi frenetici e dall'accesso istantaneo a un'infinità di informazioni, comprendere il valore dell'impegno e della costanza è fondamentale per i giovani. Il raggiungimento di risultati significativi richiede tempo.
Edoardo Crepaldi, ispirato dall'esempio di grandi musicisti del presente e del passato, sottolinea durante l'intervista che il percorso verso una maggiore competenza musicale è fatto di piccoli passi, ognuno dei quali richiede pazienza, determinazione, passione e un amore incondizionato per la musica.
Questo dimostra che il vero talento non è solo una questione di predisposizione naturale, ma è soprattutto il risultato della dedizione e di sacrifici costanti.
Abbiamo avuto occasione di porgergli alcune domande.
 

 
Come ha sviluppato la passione per il pianoforte e cosa l'ha spinta a studiare al Conservatorio?
«La mia passione per il pianoforte è nata spontaneamente, alimentata dall’amore per la musica. Non c'è stata una motivazione razionale dietro questa scelta, semplicemente mi piaceva.
«Ogni persona ha una propria personalità che si riflette nel legame con lo strumento musicale.
«Il pianoforte offre un rapporto diretto con la produzione del suono, il che lo rende unico, è uno strumento dell’immaginazione.»
 
Quali sono le sue principali fonti di ispirazione musicale e pianistica?
«Le mie fonti di ispirazione sono varie. Dal punto di vista pianistico, ho forti preferenze per pianisti come Sergio Fiorentino, Glenn Gould, András Schiff, Grigory Sokolov, Martha Argerich, per fare degli esempi.
«Tra i compositori, amo particolarmente Bach, Mozart, Chopin e Brahms. La grande musica classica è sempre una fonte inesauribile di ispirazione.»
 
Può condividere un po' della sua routine di studio giornaliera?
«La mia routine di studio è divisa in due parti principali: lo studio della partitura e il lavoro tecnico sullo strumento. Dedico una parte consistente del tempo alla lettura, analisi e memorizzazione delle partiture senza utilizzare il pianoforte.
«Successivamente, passo allo studio tecnico per migliorare agilità e precisione. La durata dello studio varia dalle due alle sette ore al giorno.
«Il Conservatorio richiede un impegno significativo, soprattutto ora che è strutturato come una facoltà universitaria, con molte materie collaterali oltre allo studio dello strumento.»
 
Come gestisce la pressione e lo stress legati alle esecuzioni pubbliche o agli esami al Conservatorio?
«La chiave per gestire la pressione è una buona preparazione. Se si è ben preparati, l'ansia diminuisce notevolmente.
«È importante anche adottare strategie di controllo dello stress, come esercizi di respirazione, meditazione o yoga.
«Anche semplici gesti come sfregarsi le mani o fare esercizi di allungamento possono aiutare a rilassarsi.
«È fondamentale essere flessibili e adattarsi alle diverse situazioni, luoghi e pubblico.»
 
Tra le esperienze di esecuzioni dal vivo, ce n'è una, tra le più recenti, che ricorda in particolare?
«Una delle esperienze recenti che ricordo con piacere è stata un progetto con il Conservatorio dedicato a Skrjabin, un compositore che amo molto. Nonostante il poco tempo a disposizione, ho suonato con grande tranquillità.»
 
Quali sono i progetti musicali futuri che le piacerebbe intraprendere?
«Non ho un piano dettagliato per il futuro, ma intendo terminare i miei studi. Probabilmente parteciperò a un concorso per l'insegnamento e mi piacerebbe insegnare al Conservatorio.
«Per quanto riguarda la carriera pianistica, continuerò a studiare con costanza e vedrò quello che mi riserverà il futuro. Come diceva Ashkenazy, è importante concentrarsi sullo studio e fare del proprio meglio, senza preoccuparsi troppo della carriera.»
 
Oltre a suonare, ha qualche hobby? Cosa le piace fare?
«Mi piace leggere, soprattutto saggi e trattati in ambito musicale.»
 
C'è un pezzo o un compositore che trova particolarmente stimolante o difficile da eseguire?
«Dipende dal tipo di difficoltà. Se si tratta di una difficoltà puramente fisica legata al virtuosismo e all’agilità delle dita, ci si riferisce principalmente alla scuola romantica o post-romantica.
«In questo senso, compositori come Liszt sono particolarmente impegnativi, soprattutto dal punto di vista dell’esibizione, di ciò che comunemente viene considerato una dimostrazione di talento e bravura.
«Tuttavia, secondo me, il vero virtuosismo è soprattutto a livello mentale e concettuale. Compositori come Bach e Beethoven, per esempio, richiedono molta attenzione nello studio.
«Beethoven, in particolare, rappresenta una fusione tra filosofia e musica. Era un grande lettore di filosofia, come dimostrano i suoi quaderni di conversazione scritti dopo essere diventato sordo e i suoi numerosissimi appunti musicali, di cui abbiamo più di 9000 fogli.
«Da questi documenti emerge un’idea precisa dei suoi pensieri, anche se frammentaria, perché la sua mente non era certo comune, sappiamo fra l’altro che leggeva molto e che era amico di Goethe.
«Con Beethoven inizia un forte collegamento tra la musica e le altre arti. Lui è quindi un compositore da studiare non solo dal punto di vista tecnico, ma anche concettuale.
«Bisogna essere umili quando si fa musica, in quanto ci confrontiamo con delle persone che hanno delle menti veramente meravigliose, e quindi cercare di entrare in quel tipo di pensiero è estremamente difficile, perché noi non pensiamo come geni, però eseguiamo la loro musica.
«È un’elevazione, una spinta verso l’alto. Ci sono poi altri aspetti da considerare. La raffinatezza del suono, ad esempio, è particolarmente evidente in Chopin, così come la ricerca timbrica estrema in Debussy, aspetti meno presenti in altri compositori della stessa epoca.»
 
Come era da bambino?
«Da bambino ero molto entusiasta e irrequieto, ma amavo profondamente il pianoforte e passavo tanto tempo a suonarlo.»
 
Quali consigli darebbe ad altri giovani musicisti che stanno iniziando il loro percorso al Conservatorio o stanno considerando di farlo?
«Prima di tutto, è importante capire se si vuole veramente intraprendere questo percorso, poiché richiede molto impegno e sacrificio.
«Se la passione è autentica, lo studio dello strumento accompagnerà tutta la vita e sarà ampiamente ripagato, sia emotivamente che spiritualmente.
«La dedizione e il sacrificio sono fondamentali ma portano grandi soddisfazioni.»

Daniela Larentis – [email protected]