Il 15 giugno 1918 il Piave Mormorò «Non passa lo straniero!»

Seconda parte – In 9 giorni di battaglia gli Italiani persero 90.000 uomini, gli Austro Ungarici quasi 150.000, dei quali almeno 5.000 morirono annegati nel Piave

(Link alla prima parte)
 
Due giorni dopo l’inizio della battaglia, le parti in lotta comprendono che la battaglia sarà decisa sul Montello.
Il comandante austriaco di riferimento è il mediocre arciduca Giuseppe, ma il cui generale sul campo è Goiginger, uno dei più esperti che è in grado di gestire la testa di ponte sul Montello nel migliore dei modi.
In Italia, il comandante del Corpo d’Armata di riferimento è il generale Di Giorgio. La mattina del 17 giugno il generale si porta a ridosso della linea dei combattimenti per prendere atto della situazione. Incontra degli sbandati che scappano e intuisce che la 51ª Divisione rischia di essere accerchiata. Senza verificare la notizia, torna al comando del suo Corpo d’Armata e dispone la ritirata della Divisione.
Ma il suo capo di Stato Maggiore, colonnello Guzzoni, rimane sbigottito dalla decisione, in quanto ha notizie diverse. La situazione è critica, ammette, ma sotto controllo. Di Giorgio non è sicuro, ma per fortuna Guzzoni riesce a contattare telefonicamente il tenente Tamburini che è in prima linea e lo passa direttamente a Di Giorgio. Il generale comprende che la situazione può essere rovesciata e ferma la ritirata della 51ª divisione.
L’iniziativa ha successo e gli italiani riprendono il controllo della battaglia.
Goiginger accusa il colpo, ma riformula i piani. Ha bisogno di altri uomini e rifornimenti puntuali. Ma purtroppo la piena del Piave sta complicando la situazione proprio in termini di rifornimenti. L’artiglieria deve restare sulla sponda sinistra del fiume e la truppa riesce a malapena mangiare qualcosa.
 
Più a Valle Boroevic chiede all’Imperatore otto divisioni di riserva, senza le quali non è in grado di procedere all’attacco. Il piano è ricongiungersi con Goinger partendo da Nervesa.
Il disegno è chiaro, ma l’imperatore gli risponde che per inviargli le divisioni di riserva nel Tirolo ci vuole un mese. Troppo: i suoi soldati sono stremati. Anche alla sua testa di ponte scarseggiano artiglieria, munizioni e soprattutto di viveri. La situazione è insostenibile.
Nei giorni 17 e 18 giugno, terzo e quarto giorno della battaglia, vengono registrate solo migliaia di piccoli sanguinosissimi combattimenti corpo a corpo, mentre i vertici pensano cosa fare. In breve le divisioni austriache giunte sulla destra del Piave sono falcidiate. Lo sono anche quelle italiane, che però hanno alle spalle sei divisioni fresche e rifornimenti sufficienti.
La piena del Piave raggiunge il picco massimo il 19 giugno e a quel punto l’Austria non era più in grado di continuare l’attacco.
 

Il sacrario sul Montello in una foto dell'epoca. - In copertina una foto recente.
 
Da parte italiana, anche Diaz tenne sotto controllo la situazione soprattutto sul sul Montello ed è qui dà prova della sua fermezza. Destituisce il titubante generale Pennella (suo amico) con il generale Caviglia (con cui era in cattivi rapporti). Voleva ottenere risultati e Caviglia glieli portò. Era necessario riconquistare il Montello perché se il nemico fosse arrivato a Montebelluna avrebbe davvero tagliato in due il suo esercito, complicando la preziosissima manovra delle riserve. La mattina del 19 giugno convogliò tre divisioni fresche sul Montello e fece aprire il fuoco di preparazione dell’artiglieria alle 14. Alle 15.30 ordinò il contrattacco.
La battaglia che si scatenò nello spazio boscoso di quella lunga collina fu ferocissima. Sia per gli Austriaci che per gli Italiani era questione di vita o di morte: lì erano in gioco le sorti della guerra e quindi il destino del proprio Paese.
Alle 23, quasi otto ore dopo l’attacco, i combattimenti erano ancora in corso, perlopiù all’arma bianca. Ma a quel punto il comando austriaco, che contrariamente agli italiani non è più in grado di inviare rinforzi, dovette decidere di ripiegare. Il comando dispose però che la ritirata avvenisse sullo scandire delle ore successive, cioè facendo in modo che gli Italiani non si accorgessero di nulla, altrimenti sarebbe stata la fine. Sarebbe stato un massacro riattraversare il fiume in piena e sotto il fuoco nemico. Tatticamente significava che, mentre i vari reparti si sganciavano, le prime linee dovevano combattere accanitamente come se stessero addirittura per contrattaccare.
Goiginger, dapprincipio contrario al ripiegamento, fu l’ultimo a ordinare la ritirata.
 
Gli storici, a questo punto, con capiscono per quale motivo Diaz, che aveva apprezzato correttamente la situazione, non ordinò un contrattacco in forze. In quel teatro operativo gli Austro Ungarici avevano quasi 100mila degli uomini migliori, ma erano in seria difficoltà ad attraversare il Piave, mentre le forze italiane erano soverchianti. Isolare un intero corpo d’armata nemica di qua del Piave avrebbe potuto significare la capitolazione.
Certamente Diaz aveva avuto le sue buone ragioni, ma gli osservatori militari ritengono che non si sia reso conto della grande opportunità che stava perdendo.
Fatto sta che la mattina dopo, quando lo informarono che non c’erano più gli austriaci, Diaz si limitò a inviare telegrammi entusiasti per informare il governo e gli alleati che «la battaglia era vinta e che gli austriaci erano stati respinti: si erano ritirati».
 

 
La gigantesca battaglia terminò tecnicamente il 24 giugno, anche se i combattimenti locali continuarono nei mesi successivi.
Per avere un’idea delle dimensioni dello scontro, basta conoscere alcuni dati.
Si fronteggiarono circa 965 000 italiani contro 946.000 austro ungarici.
Da parte austriaca erano schierati 6.830 cannoni, contro i 7.000 italiani, i quali potevano contare anche su 2.400 mortai e 676 velivoli. Qui va precisato che i cieli furono dominati in pieno dall’Italia, anche se proprio sul Montello perse la vita l’eroe dell’aria Francesco Baracca, ucciso da un proiettile di fucile.
L'esercito austriaco aveva costruito sul Piave circa 60 ponti, usato 200 pontoni e 1.300 imbarcazioni per il trasporto delle truppe. I punti principali di attraversamento del Piave furono quelli di Falzè, Nervesa, Villa Jacur, Tezze, Cimadolmo, Salettuol, Candelù, Saletto di Piave, Fagarè, Zenson e San Donà di Piave.
 
La tentata offensiva austriaca si era tramutata in una pesantissima disfatta: tra morti, feriti e prigionieri, gli austro-ungarici avevano perso quasi 150.000 uomini.
Anche le perdite italiane furono elevatissime, ma furono molti meno: circa 90.000 uomini. Tra una parte e l'altra si persero più di mille uomini all'ora...
Due divisioni del 4° Corpo d’Armata di Goiginger, forti di 13.650 uomini all’inizio della battaglia, riuscirono a tornare sulla sponda sinistra solo in 3.300.
A Noventa le truppe ripieganti riuscirono a passare il Piave nonostante la piena e il bombardamento dell’artiglieria italiana, ma una brigata venne quasi completamente annientata e lasciò agli Italiani duemila prigionieri.
Almeno 5.000 soldati austro ungarici morirono annegati nel Piave.
Gli austriaci ebbero anche 24.500 ammalati di Febbre Spagnola, fenomeno terribile di cui parleremo dettagliatamente in un capitolo dedicato.
 

 
A causa degli insuccessi sul fronte alpino, che erano stati forse la conseguenza prima del disastro sul Piave, il vecchio feldmaresciallo Conrad fu destituito dalla sua carica e messo a riposo il 14 luglio. Contemporaneamente, gli venne conferito il titolo di conte e la carica onorifica di colonnello della Guardia Imperiale.
La battaglia risultò decisiva per le sorti finali del conflitto sul fronte italiano. Nella situazione in cui si trovavano, infatti, la battaglia del Solstizio era stata per gli austriaci l'ultima possibilità di volgere a proprio favore le sorti della guerra, e il suo fallimento, con un bilancio così pesante e nelle disastrose condizioni socio-economiche in cui versava l'Impero Asburgico, significò l'inizio della fine.
 
Il generale croato Boroevic, comandante delle truppe austriache del settore e fautore dell'offensiva principale, capì per primo che ormai l'Italia aveva superato la disfatta di Caporetto. Gli Italiani, poco inclini alle battaglie di aggressione, si dimostrarono più che determinati nella battaglia di difesa del proprio Paese.
Non solo si esauriva la spinta militare dell'Austria, ma apparivano anche i primi segnali di scontento tra la popolazione civile austriaca, per la scarsità di tutto, cibo in particolare. Era finita.
Agli Austro Ungarici non restava che attendere l’attacco italiano che ponesse fine ai combattimenti. Ma dovettero attendere quattro mesi prima che Diaz si decidesse a muoverlo.
La Battaglia del Piave, o del Solstizio, si è dunque conclusa con la prima grande vittoria del Regio Esercito Italiano e l’intera nazione, ancora scossa dalla batosta subita a Caporetto, poté finalmente guardare di nuovo il futuro con una certa fiducia.
Anche i Paesi alleati l’hanno salutata con gioia, ma anche con stupore e un minimo di diffidenza per la possibilità che l’Italia vincesse la guerra da sola.
 
L'Italia aveva perso 39.000 uomini, dei quali 8.000 morti. I prigionieri italiani furono 48.000.
Gli austraci persero 92.000 uomini, dei quali 11.600 morti. I loro prigioinieri furono 25.500.

Guido de Mozzi
(Battaglia del Solstizio - Fine)