Più meritocrazia: «Liberiamo le forze economiche italiane»
Non ci saranno anni di «vacche grasse», ma almeno sette anni di «vacche sobrie» sì
Saranno anni di «vacche sobrie» ancora per l’Italia, ma la crisi porta anche a nuove opportunità di crescita.
Quali? Marco Magnani, senior research fellow in Politica economica alla Kennedy School of Governament (Harvard University), risponde in un libro edito da Utet: «Sette anni di vacche sobrie, come sarà l’Italia del 2020? Sfide e opportunità di crescita per sopravvivere alla crisi».
E sotteso all’opera c’è un pensiero: liberiamo le forze economiche italiane e rafforziamo i settori tradizionali.
«Questo libro è un po’ un sogno dell’Italia che vorrei – racconta Marco Magnani – e vuole essere costruttivo trovando elementi di crescita in un Paese che vanta diversi punti di forza.»
Innanzitutto va rilevato che «siamo in un paese in cui si fatica a fare grandi imprese e a mantenerle specialmente per motivi burocratico-amministrativi», come ha fatto notare Sandro Trento professore di Strategie d’impresa all’Università di Trento.
«Alla fine degli anni ’70 si innesca un processo che genera una nuova forma di imprenditorialità, vale a dire la piccola impresa.
«Questa nuova tipologia di imprenditori è molto diversa, si tratta di operai qualificati che si mettono in proprio ma che non apportano nuovi prodotti o attività nella società.»
A differenza di altri paesi europei, l’Italia vanta una quota molto alta di lavoratori autonomi, ma «in realtà si tratta di lavoratori dipendenti che per motivi amministrativi aprono partita IVA e quindi non si assumono un vero rischio di impresa».
E quindi può l’Italia crescere realmente? Il libro di Marco Magnani cerca di comprendere come liberare delle forze che sono in seno al nostro paese ma che per qualche ragione sono compresse.
«C’è l’idea di dare ossigeno – dice Giorgio Barba Navaretti, professore di Economia politica all’Università Statale di Milano – alle forze economiche italiane ancora nascoste, come alla cultura.
«L’Italia ha un patrimonio culturale enorme dato non solo da musei ma anche da oggetti artigianali che deve valorizzare, ma non solo, l’Italia ha delle aree specializzate in diversi settori che devono aprirsi agli altri Paesi e che quindi vanno rilanciati.»
La valorizzazione dei buoni prodotti italiani, dunque, sembra essere una prima risposta che inevitabilmente porta a una fase di transizione verso il meglio.
«Che vada al di là degli interessi di parte, e liberi tutto ciò che da anni è rimasto soffocato», – ha concluso Giorgio Barba Navaretti.
«In Italia c’è poco merito – specifica Marco Magnani – e per questo i giovani vanno all’estero. Dall’altra parte l’Italia di oggi non è quella di qualche anno fa: il 12% del Pil (Prodotto interno lordo) in Italia è prodotto da immigrati e quindi dovremmo imparare a sfruttare questa grande forza su esempio degli Stati Uniti d’America.
«Negli Stati Uniti molte imprese innovative, la stessa Google, sono frutto di figli di immigrati, perciò cerchiamo di formare gli immigrati e di trattenerli come forza lavoro attiva.»