Storie di donne, letteratura di genere/ 554 – Di Luciana Grillo

Fiorella Soldà, «Dono e sorpresa. Il romanzo di un romanzo. Irène Némirovsky». Nuove piacevoli riflessioni letterarie della studiosa di Némirovsky

Titolo: Dono e sorpresa. Il romanzo di un romanzo.
            Irène Némirovsky

 
Autrice: Fiorella Soldà
Editore: Morphema Editrice, 2024
 
Pagine: 116, Brossura
Prezzo di copertina: € 12
 
Ho letto e recensito molti dei romanzi e saggi di Fiorella Soldà, scrittrice ternana e appassionata studiosa dell’opera di Irène Némirovsky, a cui ha dedicato ore di lettura e saggi interessanti.
Per Dono e sorpresa mi ha chiesto di scrivere la prefazione: l’ho fatto molto volentieri ed ho cercato di mettere in evidenza la sua passione per una donna che ha scritto molto e molto sofferto, che è stata dimenticata volutamente perché ebrea o forse cattolica, russa di nascita e francese di adozione, capace di esprimersi in un francese impeccabile, decisa a rinunziare a un premio importante perché non ancora ufficialmente francese.
 
Perché Soldà ha dedicato un altro saggio a Némirovsky? Forse non aveva detto abbastanza? O forse una nuova traduzione rivela aspetti inattesi?
Si tratta proprio di una riedizione di «Tempesta in giugno», testo pubblicato per la prima volta in Francia nel 2004, poi in italiano nel 2005 e infine di nuovo nel 2022, per Adelphi, grazie all’interesse della prof. Teresa Lussone.
Soldà chiede e si chiede «perché si scrive? ...Per far piacere a se stessi? Per Irène, adolescente segnata dalla solitudine e soprattutto dall’astio materno, è vitale rielaborare rapporti familiari su dinamiche di rancore».
 
Se nella prima edizione la tempesta «coglieva i Francesi come un temporale estivo, improvviso, intenso e violento…», nella seconda edizione «è fenomeno incredibile, un cataclisma» e, come sostiene Lussone, è «un evento eccezionale che sconvolge la Francia, la travolge, lascia relitti dietro di sé».
Spinta anche dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Soldà pensa alla Kiev dove nacque Nèmirovsky, «con strade fiancheggiate da giardini, l’aria profumata di tiglio, di lillà» nel 1903, da dove fu costretta a fuggire.
Una volta arrivata a Parigi, la famiglia francesizzò nomi e cognome e Irina, diventata Irène, cominciò a leggere i grandi autori russi e francesi, imparò a ballare il tango e il fox-trot, si laureò alla Sorbonne, si illuse che l’antisemitismo fosse ormai scomparso dalla Francia, sposò per amore - ricambiata - Michel Epstein, ebbe due figlie e si dedicò con intensità alla scrittura.
 
Affascinata anche dal cinema, Irène favorisce la riduzione cinematografica del romanzo «David Golder», considerato il suo capolavoro.
Probabilmente la sofferenza che ha caratterizzato tutta la vita di Irène è stata provocata dall’anaffettività della mamma Anna, che in Francia si faceva chiamare Fanny.
Anche quando avrebbe potuto avere vicine le sue nipotine «fuggite da Issy-L’Eveque, braccate, frastornate, impaurite» e scampate all’olocausto, «la megera non aprì neppure la porta. Negò di avere nipoti…» e disse: «Che vadano in un orfanotrofio!».
D’altra parte, Irène «da bambina smise presto di sorprendersi se sua madre non si prendeva cura di lei… profondamente irritata dalla presenza-esistenza di quella figlia…» che al padre manifestava sempre grande affetto, quello stesso amore che Irène avrebbe nutrito per il marito e per le sue bimbe.
 
La prof. Lussone ha dedicato tempo e passione alla Némirovsky, ha potuto visionare documenti originali, le pagine copiate dalla figlia Denise e quelle dattiloscritte da Michel, ha constatato che i nomi dei protagonisti hanno sempre un perché e che la nuova edizione del romanzo è una sintesi di realismo ottocentesco e modernismo nata dalla lettura dello scrittore londinese Edward Moran Forster e anche di Tolstoi, Flaubert e Lubbock.
Lo scopo di Némirovsky, che emerge proprio grazie alla traduzione più moderna, è far capire quale sia «il quadro di tutta la società francese. Rispetto alla versione precedente la scrittrice oltre ad aggiungere episodi, si avvale di tagli opportuni… sfuma la sua ironia di umorismo – rilevando il ridicolo di certi atteggiamenti umani, suscitando divertimento...».
 
Emerge la volontà di Irène «di togliere dal romanzo quanto possa rappresentare il poetico, il superfluo, il politico, il pittoresco che potrebbero risultare solo sottolineature da parte di lei scrittrice».
Soldà continua l’analisi di parole, espressioni, giudizi; ricorda il pensiero di Caterini, Citati, Costanzo, Roncallo, ecc ecc, e ancora una volta esalta una scrittrice la cui stessa vita è stata un romanzo.

Luciana Grillo - [email protected]
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