Controcanto (agghiacciante) alla psichiatria infantile

Se i genitori di Leonardo da Vinci avessero compilato il questionario sulla «Scala dei comportamenti dirompenti», il Maestro sarebbe tornato «normale» e la «Gioconda» se la sarebbe tenuta nella sua sanissima testa (Nona parte)

Cari pellegrini, bisogna che vi avverta: stavolta non c'è da commuoversi per emozioni positive, come in uno degli ultimi viaggi. Quello che stiamo affrontando è un cammino di seria riflessione. Destinazione: Santuario dell'Infanzia. Navata (laterale) della psichiatrizzazione. Un parolone, vero? Lo so, ma è d'obbligo. Vi assicuro che non volevo andarci, ma sono stata proprio spinta dalla voglia di denunciare una realtà sottotraccia che deve essere portata alla superficie. E così, ancora una volta mi sono trovata a navigare uno dei miei soliti «fiumi sotterranei» (un po' come l'Adigetto, no?).
Per ora siamo in pochi, ma altri pellegrini sensibili si uniranno a noi in questo viaggio con un piede nella mente e l'altro nelle sfere del potere (medico) dotate del lasciapassare per fare delle nostre (giovanissime, in questo caso) vite quello che una scienza per nulla esatta come la medicina permette.

La password è «sperimentazione», ma la si chiama «progetto pilota». Con questa chiave d'accesso in alcune province d'Italia da anni si è arrivati a somministrare psicofarmaci a bambini delle scuole elementari. I nomi dei «setting» psichiatrici? (Province di) Cagliari, Pisa, Roma, Rimini, Milano, Lecce. E sottolineo «province», perché deliberatamente si sono volute evitare cavie nelle città, evidentemente a scanso di scoop giornalistici che testate nazionale avrebbero potuto sbattere in prima pagina.
Come al solito mi piacciono nomi e cognomi (quando li incontro lungo la via). Li leggo in calce al (virgolettato) Protocollo diagnostico, test di somministrazione acuta e terapia cronica con metilfenidato in bambini con disturbo da deficit attentivo ed iperattività: uno studio pilota a cura di Alessandro Zuddas, Bernadette Ancilletta, Stefania De Muro, Antonietta Marongiu, Carlo Cianchetti. Chiuse le virgolette.
Correva (e anche troppo, in questo caso) l'anno 2002. L'ultimo nome risponde all'allora direttore della Clinica di Neuropsichiatria infantile dell'Università degli studi di Cagliari. Il primo, invece, al responsabile del Centro per lo Studio delle Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza, della stessa città (con tanto di numero di telefono ed e-mail). E per qualcuno delle cavie devo dire: guai chi ci capita!
Il capofila dottor Zuddas è il firmatario della lettera inviata a genitori e insegnanti di bambini di 6 anni fino ai ragazzi di 18, che comincia con un «gentile signora/signore», e in sostanza finisce col parlare della famigerata sigla ADHD, che nei casi in cui venga diagnosticata porta alla terapia con Ritalin. E visto che quello che percorriamo è naturalmente anche un cammino di conoscenza approfondita, corriamo a documentarci. Nel nostro Paese il Ministero della Sanità ha catalogato la molecola del farmaco in questione - nome scientifico «metilfenidato» - nella tabella I degli stupefacenti, insieme a eroina e cocaina. Un pellegrino farmacista di Bologna mi spiega che il farmaco in Italia (e forse anche in Europa - N.d.R.) è stato sdoganato da circa un anno (e comunque a condizioni rigorose) dopo un periodo pluridecennale di assenza dagli scaffali delle farmacie, in cui però era rimasto in uso all'interno di strutture ospedaliere e simili.

Ma pellegriniamo oltre oceano, quanto basta per sapere che negli Stati Uniti, per esempio, la somministrazione del Ritalin per curare il famigerato disturbo infantile risale al 1980, e viene rilevata anche nei confronti di bambini di due anni! Nel 1990 i bambini trattati erano circa un milione. Venti anni dopo erano arrivati a 6 milioni. Il tutto, in una cornice di diffusione sul mercato illegale e con un corollario agghiacciante di somministrazione a 100-150.000 bambini al di sotto dell'età minima consentita. Sarà per le denunce penali contro la casa farmaceutica (Novartis, in Italia, mi confermano gli specialisti) intentate negli U.S.A. per le gravi conseguenze causate dall'assunzione del farmaco, che questo da noi è stato successivamente tolto dal commercio per un lungo periodo?

Nella popolazione infantile mondiale tra i più comuni effetti collaterali del Ritalin ci sono mancanza di appetito, insonnia, mal di stomaco, perdita di peso, ritardo dell'accrescimento, cefalea, tic, movimenti involontari, idee ossessive, allucinazioni, variazioni rapide del tono dell'umore, ansia, eccessiva euforia, depressione, disturbi al cuore fino all'arresto cardiaco. Non sono rari i casi in cui la sospensione del farmaco dopo un lungo periodo di assunzione ha provocato forme gravi di depressione fino al suicidio. No, non è un «sbugiardino», è verità.
Ma come si arriva alla diagnosi? E qui, il pellegrinaggio si ferma davanti al Questionario, che fa rima con Santuario, ma bisogna aggiungerci Delle Assurdità. Basterebbe solo il titolo a dirla lunga: «Scala di valutazione dei comportamenti dirompenti». E sotto a questo, giù una sfilza di circa duecento domande alle quali genitori o insegnanti devono rispondere barrando una delle quattro caselle, scegliendo tra «per nulla», «abbastanza», «molto», «moltissimo». No. Non è un film di Dario Argento. E' cronaca psichiatrica di una provincia del cagliaritano.
Vediamo quale comportamento può essere «dirompente».

Scelgo a caso le domande che mi lasciano più perplessa.
«Sta molto attento ai dettagli quando fa i compiti a scuola»; «si sente felice la maggior parte del tempo», oppure al contrario «ha un'espressione triste», ma anche «è gentile con le perso-ne», «è un ragazzo indipen-dente», «è in grado di lavorare su qualcosa fino a che non l'abbia portata a termine», «sa aspettare il suo turno», «ha raramente sbalzi d'umore», o «prima di agire, pensa», e così via.

(Nella foto, una delle amiche più care a Vittoria Haziel: Dunja, con suo marito e le loro due splendide figlie)

Mi fermo alla domanda «È in continuo movimento o spesso agisce come se avesse l'"argento vivo" addosso?». Non vado avanti su questo tipo di ipotesi, di cui abbiamo compreso l'assurdità ai fini di rilevare una patologia. Ma anche se dovessimo rispondere «molto», come indica una delle caselle delle risposte al questionario, ad altre domande del tipo «spesso interrompe o si comporta in modo invadente con altre persone», o «spesso viene facilmente distratto da stimoli non pertinenti con il compito», o ancora «spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente», o «spesso risponde prima ancora che la domanda sia stata completata» e simili, vi sembra che sia il caso di psichiatrizzare la cavia con dei farmaci?
E se accadesse a vostro (o nostro) figlio, nipote, parente, o semplicemente a un/a giovane che ci sta a cuore, o che semplicemente conoscete? Naturalmente, anche se l'adulto interrogato ha risposto «moltissimo» ad altro tipo di domande, come «Ha liberamente distrutto proprietà altrui», o «ha derubato qualcuno minacciandolo», o «inizia spesso delle risse», ci chiediamo che individui possano diventare da adulti coloro che sin dai primi anni della loro esistenza siano stati sottoposti ad amfetamine.
Non c'è dubbio che il farmaco avrà più potere sull'individuo di un sistema scolastico che non è in grado di affrontare i disagi giovanili e la noiosità di certi compiti o libri di testo, una pillola-camicia-di-forza-della-mente riuscirà vincente rispetto alle famiglie che non sono in grado di seguire anche gli sbalzi di umore dei propri figli, che si aggiungono a quelli dei genitori e dei capuffici.
Insomma, una società complessa e confusa potrà risolvere tutto con una pillola? Con una droga? Una società può delegare la soluzione dei problemi a dei «poliziotti» della mente, delle emozioni, del comportamento, come il Ritalin e le droghe usate dai giovani come protesi esistenziali, senza considerare che sono delle armi suicide non sempre a medio termine?

Cari «P(d)aV», è ora di tirare in ballo il nostro Maestro Leonardo. «Vive in un mondo tutto suo»: per rispondere a questa, che ritengo la domanda più assurda del questionario, se la riferissimo a lui, non si potrebbe che barrare la casella «moltissimo» proposta dagli esimi neuropsichiatri.
Se avessero sottoposto il questionario suddetto ai suoi genitori e al suo insegnante (prendiamo un nome a caso, il Verrocchio), alla fine un dottor Zeddas del caso (magari con un cognome più fiorentino) non avrebbe potuto far altro che somministrare al piccolo Leonardo da Vinci un'erba inibente prodotta da uno stregone dell'epoca. Con quale risultato? Che il mondo con molta probabilità avrebbe perso uno dei suoi più grandi geni.
Chi stabilisce il criterio di normalità, cari pellegrini? E su quali basi decretiamo fino a che punto l'«anormalità» sia patologia, e patologia pericolosa per sé e per gli altri?

Comunque sia, mettiamo un punto fermo a questo pellegrinaggio, con un punto esclamativo dopo l'imperativo categorico: «Giù le mani dai bambini». Dalle loro specificità, dalle loro innocenze.
Sì, lo dico proprio a noi, che invece vorremmo che ragionassero con le nostre teste di adulti spesso contaminate, piene di paure e di pregiudizi, murate vive da conformismi e prigioni di tutti i tipi. E qui mi fermo.

Davincianamente, e tristemente, vostra
Vittoria Haziel


Nota. Il materiale documentale di cui al presente intervento di Vittoria Haziel è preso dal libro di Chiara Gazzola e Luisa Siddi «Il desiderio, il controllo, l'eresia», editore La Fiaccola, 2003, Catania.