Le aziende siciliane sfidano la holding di Cosa Nostra

Oltre al libro di Serena Uccello e Nino Amadore le testimonianze di Ivan Lo Bello, Antonello Montante e del magistrato di Palermo Roberta Buzzolani

Di mafia, purtroppo, si può morire - è successo tantissime, troppe volte - ma alla mafia si può reagire. «L'isola civile. Le aziende siciliane contro la mafia» è il libro scritto a quattro mani dai giornalisti del Sole 24 Ore, Serena Uccello e Nino Amadore, che racconta la ribellione delle imprese siciliane alla holding Cosa Nostra, fondata sulle estorsioni e il pizzo. Si tratta di una testimonianza che oggi a Palazzo Calepini, nella Sala della Fondazione Caritro, è entrata nel cuore del Festival dell'Economia di Trento.

Sono stati gli stessi autori a presentare al pubblico due anni di lavoro, un viaggio dentro "le ragioni storiche ed economiche della ribellione antiracket" che ha coinvolto una parte del mondo imprenditoriale siciliano negli ultimi anni.
«Il nostro - ha spiegato Serena Uccello - è stato un tentativo di dare dell'universalità al fenomeno mafioso, perché il pizzo come condizionamento illecito non ha territorio e attraversa il nostro Paese dal sud al nord. Il ricatto può essere presente in tante aree del paese. Noi abbiamo dato voce a chi ha detto no all'estorsione perché se la ribellione è possibile in quel territorio e con quel tipo di condizionamenti ambientali, culturali ed economici, è possibile in ogni parte del mondo.»

Gli autori non nascondono le difficoltà che una testimonianza di questo genere ha creato in corso d'opera.
«Il lavoro è stato relativamente semplice con le istituzioni che quotidianamente si occupano di criminalità (ad esempio i magistrati e le forze dell'ordine). Più complicato è stato raccogliere le testimonianze di uomini e donne che hanno deciso di collaborare e che di conseguenza hanno visto la loro vita stravolta.»

Uno dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Roberta Buzzolani era presente al Festival di Trento, assieme agli autori del libro e agli imprenditori della «Sicilia civile».
Tra le tante storie narrate di una Sicilia civile c'è quella di Antonio Catalano, figlio di un noto costruttore palermitano degli anni '50 («gli anni del sacco di Palermo, quando in una sola notte venivano staccate fino a 500 concessione edilizie») che ha visto il padre processato e condannato (in primo grado) per i rapporti con la malavita ma che, una volta ripartito con una sua impresa di costruzione, ha deciso di denunciare la prima estorsione subita.
«Una scelta dettata dal profondo ma che mi ha permesso di mantenere un rapporto dialettico ed affettivo con la famiglia.»

Il libro è anche un testo economico perché da di conto sul peso insostenibile della mafia sul mercato siciliano.
«Le imprese siciliane si sono rese conto che con l'abbattimento dei monopoli - spiegano gli autori - la concorrenza è nazionale, se non internazionale, e che non è più possibile tenere a bilancio la voce pizzo.»

Il volume ripercorre la scelta di imprenditori come Ivan Lo Bello, Antonello Montante, Andrea Vecchio, Marco Venturi, Giuseppe Catanzaro, ma anche i tanti, troppi silenzi, che continuano a esserci in parecchie aree della Sicilia: come a Trapani dove nonostante la nascita di un'associazione antiracket le denunce si contano sulle dita di una mano, oppure a Catania dove il silenzio degli imprenditori (tranne qualche lodevole eccezione) è addirittura disarmante.
«Un viaggio - come hanno sottolineato gli imprenditori presenti in sala - attraverso decine di storie individuali ma anche attraverso la trasformazione collettiva di una società che, a tentoni, cerca la strada dell'emancipazione, e di un mercato che, a fatica, cerca l'affermazione delle regole e il rifiuto dei monopoli, soprattutto se a garantirli è la mafia.»

Se le imprese incominciano a ribellarsi alla mafia è anche grazie ad Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, che ha portato gli industriali a varcare la linea di non ritorno di avversione al sistema mafioso.
«Cerchiamo di sostenere le iniziative antiracket, per tentare di sconfiggere, o almeno, ridimensionare, questo laccio che blocca la ripartenza siciliana. Se è stata fatta una legislazione di favore nei confronti dei pentiti che è stata utilissima per contrastare la mafia, si può ipotizzare - dice Lo Bello - anche una legislazione di favore per quelle imprese che, collaborando con lo Stato, possono aiutarci a disarticolare il sistema imprenditoriale affaristico-mafioso. Questo è un argomento sul quale bisogna riflettere senza furori ideologici, specialmente in un fase storica come questa dove, almeno in Sicilia, si sta avvertendo un grande cambiamento di clima e dunque collaborazioni di questo tipo potrebbero trovare un consenso molto più ampio rispetto al passato.»