Storie di donne, letteratura di genere/ 535 – Di Luciana Grillo
Silvia Sanna, «Grazia Deledda - Il cuore scalzo» – Una biografia romanzata di Grazia Deledda per celebrare il 25 aprile
Titolo: Grazia Deledda. Il cuore scalzo
Autrice: Silvia Sanna
Editore: Morellini, 2024
Genere: narrativa femminile contemporanea
Pagine: 168, Brossura
Prezzo di copertina: € 18
Le biografie vanno di moda, sia quelle rigorosamente storiche, sia quelle romanzate, che danno vita e voce a persone spesso note, ma magari non conosciute dal punto di vista «umano», cioè con i loro sorrisi e le loro debolezze, con gli amori e le morti che hanno segnato la loro vita.
Di Grazia Deledda, prima scrittrice italiana ad aver vinto il Premio Nobel, si pensa di sapere abbastanza: leggendo i suoi romanzi si capisce quanto abbia amato la sua terra e anche quanto le tradizioni vigenti abbiano condizionato le sue scelte.
Nei suoi romanzi si cerca di individuare gli aspetti autobiografici, ma tanti elementi non emergono.
Questa biografia romanzata ha il sapore di una lunga confessione della scrittrice che va a ritirare il Premio Nobel e della figlia, sorella, moglie e madre che ha visto morire i suoi fratelli, ha sposato un uomo che l’ha portata fuori dall’isola, ha avuto amicizie femminili solidali (Matilde Serao, Ada Negri, Sibilla Aleramo), ha provato sulla sua pelle cosa voglia dire essere donna, ha rivendicato con orgoglio la sua «sardità»: «Noi siamo sardi. Siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi, romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi. Siamo una terra antica di lunghi silenzi, di orizzonti ampi e puri, di piante fosche, di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta. Noi siamo sardi…siamo un popolo a sé stante… e siamo anche permalosi».
Si racconta, con ironia e sofferenza a un giornalista non particolarmente empatico, che le rinfaccia il fatto che a Pirandello il Nobel non sia stato concesso.
Ma procediamo con ordine, e ascoltiamola: «Quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrastata dai miei… per mia madre e per molte altre madri, leggere era un peccato… Conoscendo la ritrosia di mia madre per i romanzi, Santus li abbandonava in luoghi in cui sapeva che sarei passata io per prima»; ha continuato imperterrita a scrivere, «sono una donna che produce pensieri, liberi e sciolti come endecasillabi urlati in attimi di vanità».
La famiglia sicuramente ha ostacolato il suo cammino di scrittrice, Grazia - «Grazietta per gli affetti più cari» - si addolora quando riceve delle critiche rivolte a lei come donna e soprattutto come donna sarda, si autodefinisce «una reduce ancorata al dolore. Del resto tutti nella vita siamo così, in carcere, a scontare la colpa stessa di essere vivi. Lo faccio dire a Marianna Sirca, nel mio romanzo» che il giornalista che la stava intervistando naturalmente non aveva letto.
Il colloquio poi si ammorbidisce, qualche parola di Palmiro, marito di Grazia, contribuisce a sciogliere la tensione, così come qualche leggera battuta che fa sorridere tutti.
Grazia confessa che il romanzo che più la rappresenta è «Canne al vento» e che lei si sente «fatta di granito di Sardegna», pronta a mettersi in gioco, a candidarsi per il Parlamento quando ancora alle donne non era stato riconosciuto il diritto di voto, sempre desiderosa di essere libera e di offrire ai giovani un mondo migliore.
Si anima ricordando i dolci sardi, pensando al cielo azzurro dell’isola, ma con uguale intensità ammette di amare Roma, grande e maestosa: «Ho bisogno di sentirmi un granello di polvere nell’infinito… forse è la mia anima inquieta che cerca pace in questi luoghi… tra le strade di Roma sento forse l’antitesi tra la vita e la morte… che è un poco il riassunto della mia vita».
Luciana Grillo – [email protected]
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