Famiglie «reali»: i numeri, le previsioni e la sfida per i diritti

Lo spread tra famiglia «tradizionale» e famiglia «reale» al Festival della Famiglia di Trento nell’incontro organizzato da UniTN e Agenzia per la coesione sociale

Mamma, papà e bambini: l’idea della famiglia «tradizionale» è ben presente nell’immaginario collettivo. Ma nella società di oggi sempre più si fanno strada altre tipologie di strutture familiari e modelli riproduttivi. Oltre alla famiglia composta da genitori e figli, sono in crescita ad esempio le coppie senza figli, le famiglie ricostituite dopo la separazione o allargate, i nati da genitori non sposati e i nati tramite tecniche di procreazione medicalmente assistita. La pluralizzazione dell’idea di famiglia è un fenomeno che va analizzato nei numeri e nelle problematiche per essere compreso pienamente. Il Festival della Famiglia di Trento se ne fa carico nell’ambito di questa edizione con un evento dedicato alla «famiglia reale», quella che già abita la nostra società.

Per parlare di ostacoli e di sfide legate al riconoscimento di queste nuove strutture familiari, l’Università di Trento e l’Agenzia per la coesione sociale della Provincia autonoma di Trento hanno riunito un panel di esperti ed esperte sul tema, moderato dal giornalista Luca Cifoni e introdotto dal saluto della prorettrice alle politiche di Equità e diversità dell’Università di Trento, Barbara Poggio.
 
«Esiste effettivamente una distanza, uno spread, tra l’idea di famiglia “tradizionale” e le famiglie reali nella nostra società. E questa distanza è alimentata da un cambiamento sociale che è in atto da tempo ed è spinto da vari fattori, tra cui il calo demografico, la crescente instabilità coniugale e delle relazioni o l’invecchiamento generale della popolazione. Si tratta di modificazioni profonde della società di cui la politica deve tenere conto. In questo senso l’università, anche in contesti come il Festival della famiglia, può offrire un contributo scientifico e di approfondimento importante per trovare soluzioni più adeguate e più inclusive per dare risposte a nuovi bisogni».
 
L’incontro ha preso le mosse da una riflessione sul concetto di famiglia e dall’osservazione della sua evoluzione nel corso dei decenni. «Se la definizione di famiglia è rimasta pressoché invariata negli ultimi 70 anni, quello che invece è iniziato a cambiare a partire dagli anni ‘60 e ’70 nel Nord Europa è la composizione delle famiglie. Un fenomeno spinto poi anche verso il nostro Paese a partire dagli anni 2000 dai profondi cambiamenti culturali e macroeconomici, che hanno avuto ripercussioni sulle scelte familiari, sui tempi e sui percorsi di vita individuali» ha esordito Agnese Vitali, demografa dell’Università di Trento.
 
«L’Italia è stata a lungo considerata l’ultimo baluardo della famiglia nucleare e immune ai cambiamenti nei comportamenti. Oggi il matrimonio non è più l’unico modo per formare una famiglia: cresce l'incidenza delle coppie che optano per una convivenza non matrimoniale; cresce la quota di nascite fuori dal matrimonio. Le unioni si formano e si sciolgono più volte durante il corso di vita, anche ad età avanzata, dando vita a famiglie ricostituite e a relazioni familiari che si fanno più complesse tra pari e tra individui appartenenti a diverse generazioni. Anche le coppie dello stesso sesso iniziano a uscire allo scoperto: dal secondo semestre del 2016, quando sono entrate in vigore, al 2021, sono state celebrate oltre 15,500 le unioni civili, prevalentemente tra coppie di uomini, nelle regioni del Nord e nei grandi centri urbani».
 

 
Ma come potrebbe evolvere la composizione delle famiglie in futuro? «La famiglia nucleare oggi è solo una di tante tipologie familiari possibili: le coppie con figli costituiscono meno di un terzo delle famiglie (31,9%) nel 2022, superate numericamente dalle famiglie costituite da una sola persona. E secondo le previsioni dell’Istat tra vent’anni potrebbero scendere al 25,3%. I dati parlano di un ulteriore aumento delle le famiglie monopersonali e delle famiglie multi-personali, cioè formate da persone che non costituiscono un nucleo, oltre a quelle composte da un genitore solo, per effetto dell’aumento delle separazioni. Destinato a crescere anche il numero di individui che vivono in coppie senza figli, sia perché, per effetto dell’aumento della sopravvivenza crescono le coppie in cui i figli hanno lasciato la casa dei genitori, sia perché cresce il numero di coppie che non ha mai avuto figli».
 
Raffaele Guetto, demografo dell’Università di Firenze ha dedicato poi un approfondimento sulla condizione dei minori dopo la separazione in queste diverse forme di famiglia: «Possiamo individuare nella nostra analisi famiglie “intatte”, composte cioè da due genitori, biologici o adottivi, al loro primo matrimonio – quella che viene definita la “famiglia tradizionale” – o conviventi o con precedente separazione. Poi ci sono le famiglie “ricostituite”, composte cioè da un genitore con un nuovo/a partner, magari allargata a figli da una precedente relazione. E infine ci sono le famiglie “monogenitore”, quelle composte da madri sole o da padri soli. Si tratta di una grande pluralità di forme familiari, situazioni “di fatto” che spesso non lasciano traccia nelle fonti amministrative e sono ancora quantitativamente ridotte anche se si assiste a una crescita. Fino al 1997 il 97% dei minori viveva con due genitori uniti dal vincolo di un primo matrimonio. Nel 2021 ben un terzo dei minori vive in famiglie “non tradizionali”. In più della metà dei casi si tratta di famiglie ricostituite con i figli dell’attuale relazione. Mentre nell’80-85% dei casi di genitore solo, si tratta della madre».
 
Durante l’incontro si è poi trattato anche della crescita dell’età media al primo figlio e di natalità con un focus sull’impatto delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
Ne ha parlato Alice Goisis, demografa dello University College London, analizzando il concetto di procreazione medicalmente assistita (Pma) in tutte le sue declinazioni e nell’impatto che ha sulle famiglie.
 
«I concepimenti tramite Pma sono aumentati a livello globale negli ultimi trent’anni. Oltre 10 milioni di bambini e bambine in tutto il mondo – ed è un dato sottostimato – sono nati in questo modo. E il contesto italiano è in linea con questo aumento. Se sono così tanti è importante chiedersi come stanno e anche riflettere sul percorso di genitorialità. Quello che già sappiamo dai dati è che i concepimenti tramite Pma espongono i bambini a un maggior rischio di basso peso alla nascita e prematurità. Ma la Pma di per sé non aumenta i rischi. Questi sono per lo più legati a problemi pregressi di infertilità della coppia. Oltre a questo, le gravidanze gemellari – noto fattore di rischio – sono più comuni nella Pma. Dopo l’infanzia, invece, gli studi ci dicono che questi bambini e adolescenti stanno bene con esiti uguali o migliori a quelli concepiti in modo naturale. Questo “vantaggio” è dovuto al fatto che i bambini crescono in famiglie più istruite, in contesti più agiati e fortemente desiderati. Fattori che influiscono sullo sviluppo cognitivo, sull’istruzione o sulle traiettorie di vita».
 
Poi un focus sulle politiche messe in atto e sulle novità quelle in cantiere da parte del legislatore in materia di famiglia. A presentare il quadro è stata Graziella Romeo, giurista dell’Università Bocconi: «Alla prova del diritto, questo tende a essere piuttosto conservatore. Fatta eccezione per l’accoglimento dei diritti dei bambini nati fuori dal matrimonio, la strada sul resto è ancora molto lunga e prevalgono alcuni modelli ispirati alla coppia ideale, eterosessuale e caratterizzata da una certa stabilità. I diritti dei nuovi modelli procreativi e familiari ricorrono invece nelle decisioni della Corte costituzionale e della giurisprudenza che, sentenza dopo sentenza, ne scrivono l’evoluzione. Cadono via via i divieti, ma non per intervento del legislatore, quanto ad opera della giurisprudenza. Le stesse famiglie non tradizionali scontano il problema del mancato riconoscimento».
 
Per alcuni individui o coppie i figli non rientrano nel proprio progetto di vita. Per altri invece altri il desiderio di genitorialità è forte ma ostacolato da vari tipi di barriere. Durante il Festival si è discusso soprattutto di barriere economiche e legate al mondo del lavoro che ostacolano il raggiungimento dell’indipendenza economica dalla famiglia di origine. In questa sessione all’Università di Trento, invece, si è discusso di barriere biologiche, legate alla maggiore difficoltà di concepire in età genitoriale avanzata, e di barriere giuridiche.
 
La tavola rotonda ha poi preso in esame alcune delle sfide che le nuove famiglie devono affrontare. Tra queste, il desiderio di genitorialità in coppie etero in tarda età genitoriale e da coppie dello stesso sesso. Ma anche i risultati educativi e il benessere psicologico dei minori dopo la separazione e le possibilità di accesso alla procreazione medicalmente assistita, per il momento riservato alle fasce di popolazione più abbienti.