Industria del falso: un business da 200 miliardi di dollari

Stanno clonando l'Italia per rivenderla impunemente in Perù sotto forma di rubinetti. Quasi il 9% del commercio mondiale è costituito da merce contraffatta che lede i diritti d'autore, i brevetti, i modelli

Gli esempi non mancano: dal viaggio dei rottami di rame sottocosto dal porto di Gioia Tauro al Tibet (dove il governo cinese sta finanziando la nascita di una Silicon Valley), alla rubinetteria made in Italy clonata nel Guang Dong e smerciata in Perù con il marchio di origine contraffatto. L'industria del falso non si ferma, anzi. Avanza sempre più. A dimostrarlo i dati: duecento miliardi di dollari di fatturato per una quota del commercio mondiale pari al 7-9%. Un vero e proprio network criminale, invisibile, senza sedi o marchi riconoscibili, gestiti da pirati-manager in giacca e cravatta, mossa da una unica mission: clonare a costi stracciati tutto ciò che ha mercato rivendendo, poi, illegalmente a prezzi ultra-competitivi. Un fenomeno che agisce nell'ombra e che Rita Fatiguso, giornalista del «Sole 24 Ore», ha svelato in «Le navi delle false griffe. Fatti e misfatti della globalizzazione».

Composto da 12 capitoli che raccontano altrettanti reportage il libro, dal taglio investigativo, ha consentito di individuare le modalità attraverso le quali avvengono i traffici del falso. Qualche esempio? E-mail e skype. Alla regia del fenomeno criminale ci sono persone altamente qualificate e competenti che utilizzano proprio le nuove tecnologie per concludere affari illeciti in tempi brevissimi.
«Un business - spiega l'autrice - che si muove tra la corruzione dei porti, tra le pieghe dell'amministrazione e nello scarto tra i pochi che guadagnano tanto e i molti che guadagnano poco. Questa inchiesta - precisa Fatiguso - è nata per cercare di capire come mai catene molto alla moda riuscissero a far arrivare grosse quantità di merce fashion alla portata di tutti. Il problema di oggigiorno è quello di confezionare numerosi capi e farli giungere sul mercato in tempi brevi pur ricalcando certi stili. Prada in primis. E, cosa più interessante, ciò che viene falsificato non è, come forse si pensa, il marchio bensì il modello.»

«La Cina - chiede il moderatore Roberto Ippolito, direttore relazioni esterne all'Università LUISS - ha un bisogno impellente di dissimulare l'origine. Per quale motivo?»
«La ragione è semplice - risponde la giornalista del Sole 24 Ore - tra Occidente ed Oriente è in corso una grossa battaglia. La filiera delle navi fantasma vuole far sì che la quota dei prodotti made in Cina si spalmi in mezzo alle quote degli altri Paesi e questo per non pagare dazi ed Iva.»
«Quello che dobbiamo capire - è stato spiegato durante l'incontro tenutosi nella biblioteca comunale - è che il fenomeno della contraffazione ha fatto un salto di qualità. In Cina, ad esempio, è utilizzato per riciclare i soldi sporchi. "Non vi dico quanti container vuoti arrivano in quel Paese - afferma l'autrice.»

Spostiamoci all'Italia. I nostri prodotti, come sappiamo, sono tra i più copiati al mondo. Ma oltre che clonati siamo anche clonatori?
«C'è una componente italiana molto forte che si dedica alla contraffazione. Non a caso siamo alle spalle della Cina e della Turchia. A gestirla soprattutto la criminalità organizzata che si è globalizzata.»
Che fare per stroncare questa piaga? Secondo Rita Fatiguso bisognerebbe avere uomini ovunque poiché i meccanismi sono facilmente aggirabili.
«Il grande dibattito a livello europeo - dice la giornalista, - è: quote sì oppure quote no? Dazi all'importazione o totale liberalizzazione?»
Si deve poi tener conto della differenza tra le economie dell'Europa. Mentre i Paesi del nord sono grandi commercianti, quelli del sud Europa sono rimasti produttori e questo li porta ad avere un interesse nella difesa dell'industria dagli attacchi dei cinesi.
«Nei porti mondiali - commenta ancora la giornalista - solo il 2% dei container viene passato al setaccio. I controlli spesso sono a campione e dipendono dall'indice di pericolosità. C'è insomma una linea grigia nella linea grigia. Il fenomeno certo si può stroncare ma è necessario volerlo davvero. Non dimentichiamoci che esiste una quota di produzione che viene fatta fare appositamente falsa e che sembra fare gioco alle grandi firme.»

Un contributo notevole allo stop delle navi delle false griffe potrebbe arrivare dall'introduzione del reato di associazione finalizzata alla contraffazione. Una proposta in tal senso è stata presentata dall'Alto Commissario per la lotta alla contraffazione Giovanni Kessler.
Bisogna però fare presto. Nella convinzione che l'industria del falso danneggia tutti, produttori e consumatori. Nessuno escluso.