Dialogo al teatro Sociale fra due grandi maestri

Botta e Gregotti a confronto: il ruolo dell'architetto fra mercato, memoria e modernità

Mario Botta e Vittorio Gregotti: due architetti, a confronto al teatro Sociale sui temi della creatività, del rapporto con lo spazio pubblico, dei vincoli posti dal mercato.


Entrambi hanno modellato città e a volte hanno sanato le loro ferite. Hanno plasmato i luoghi e hanno reso fruibili gli spazi pubblici.
Nell'intervento di Gregotti è emerso un giudizio molto severo sul presente, sulla società «mercantile» e «neocoloniale», sullo stato «disastroso» delle città e dei territori, e di conseguenza anche sul ruolo svolto oggi nello spazio pubblico dall'architettura, sulla sua capacità di essere pratica artistica e di esercitare al tempo stesso un sapere critico.
Botta ha espresso una visione meno radicale e più «pacificata», pur non eludendo gli interrogativi problematici posti dal presente.
L'architetto compie un gesto vecchio come l'uomo perché l'uomo - anzi, ogni creatura vivente - per esistere deve occupare uno spazio.
In quest'ottica ogni spazio è sempre pubblico. Inoltre lo spazio, specie lo spazio urbano, custodisce la storia e ne è plasmato.
Questa duplice consapevolezza deve essere elemento fondante di qualsivoglia intervento progettuale capace di interrogarsi sul ruolo anche sociale e politico dell'architetto, sospeso fra memoria e nuove sfide, come quella dei cambiamenti climatici.
 

 
Per Gregotti l'architettura come pratica artistica oggi ha spazi molto limitati.
«Esiste un'ossessione eccessiva sulla crescita quantitativa come valore - ha detto - e ciò  mette in crisi l'ipotesi di un approccio alternativo all'architettura.
«È, questo, del resto, un problema comune a tutte le arti.»
Lo stesso globalismo punta ad una sorta di «unificazione mercantile» anziché promuovere un confronto positivo fra stili e culture diverse.
«Se questo è il quadro generale, il ruolo dell'architettura secondo Gregotti finisce spesso per appiattirsi sul comportamento narcisista delle "archistar", devote alle logiche mediatiche, e per puntellare i poteri esistenti.
«Il ruolo dell'architetto è diventato così sempre più accessorio, e di esecuzione di progetti già definiti da altri.»
Una critica serrata, insomma, quella di Gregotti al «capitalismo neocoloniale», ma anche ai miti mediatici e alle ideologie che esso genera.
Per parlare di luoghi della crescita, bisogna dunque prima scavare nelle contraddizioni del presente, scommettendo sulla libertà artistica e sulla valorizzazione delle differenze.
 

 
Botta ha spezzato invece una lancia in favore del «fare».
All'uomo resta «il suo mestiere, all'interno del quale è possibile trovare ancora delle risorse positive. Il valore politico, sociale ed etico di ogni attività è interno all'attività stessa».
Rifacendosi a Le Corbusier, Botta ha sottolineato come nell'opera dell'architetto si rifletta una delle azioni primordiali dell'uomo, quella di trasformare uno stato di natura in uno stato di cultura. La città è il luogo dove ciò emerse in maniera più piena.
«Lo spazio urbano è una condizione di vita necessaria per l'uomo e anche uno scrigno di testimonianze dei nostri predecessori.
«Le città sono sempre anche città dei morti, ma non producono disagio nella misura in cui noi riconosciamo quei morti come parte della nostra identità.»
Tenerlo presente è indispensabile se si vuole pianificare lo spazio collettivo pensando agli effetti sulle nuove generazioni.
Ma ci sono anche le sfide del futuro: crisi energetica, cambiamenti climatici, migrazioni.
«Il pensiero più ambizioso, quello che si interroga sul valore etico della cultura architettonica, riconosce di non avere il potere di affrontare da solo tutti questi fenomeni.
«Nondimeno, assume pienamente su di sé la responsabilità di pianificare i luoghi della vita collettiva. I modelli asiatici e americani vanno in questo senso respinti in quanto “atopici”, mentre il modello mediterraneo si caratterizza per il suo presentare luoghi pregni di identità, di memoria, di storia.
«Ma bisogna guardarsi da un approccio meramente nostalgico. La rilettura del territorio deve essere in grado di produrre risposte per il presente.»