Storie di donne, letteratura di genere/ 476 – Di Luciana Grillo
Valeria Fonte, «Ne uccide più la lingua» – Le parole sono strettamente legate alle discriminazioni di genere. Cosa ci rimane da fare? Molto, in verità…
Titolo: Ne uccide più la lingua. Smontare e contestare la
discriminazione di genere che passa per le parole
Autrice: Valeria Fonte
Editore: De Agostini, 2022
Pagine: 212, brossura
Prezzo di copertina: € 16,90%
Le parole sono strettamente legate alle discriminazioni di genere, altri hanno scritto che le parole sono pietre: è vero, colpiscono e incidono sul comune sentire.
Bisogna usarle senza falsi pudori, senza tentennamenti, senza ricorrere a perifrasi… «Finché non chiami le cose col loro nome non ne hai consapevolezza, ed esercitarla implica avere a che fare con i propri mostri: chiamare stupro un rapporto sessuale a cui sei stata spinta da ubriaca smette di sminuire il fatto».
Siamo spesso invitate a ignorare, a «passarci sopra fingendo di non saperne abbastanza»… ma questo ai maschi non si dice mai, potrebbero essere considerati deboli; la subordinazione è delle donne, che devono essere amate e rispettate perché danno la vita.
E quando sono palesemente vittime di violenza, quando il dolore è esibito, tutti sono pronti a compatirle, a guardarle, a proteggerle.
E invece, le donne devono trovare, nonostante tutto, «un barlume di forza motrice che ti permetta di metterti in piedi», non soltanto obbedire a chi dice «denuncia!», che sembra solo un consiglio, un’alternativa, una specie di rito di passaggio, una prova di sincerità.
Valeria Fonte, con durezza, sembra gridare che «Denunciare è un lusso. Dissentire è un lusso. Opporsi è un lusso».
Non sempre chi riceve la denuncia ha preparazione e formazione sufficienti per «trattare e gestire reati di violenza, stupri, molestie, botte…Ti invitano a sedere e poi ti chiedono se sei sicura che tu abbia vissuto violenza, se non eri troppo ubriaca, se tu non stia esagerando.»
Il problema è il dopo, quando si rimane sole senza avere la possibilità di ricominciare a vivere in ambienti sicuri: «Invitandoci a denunciare ci state aiutando a morire. E lo state facendo convincendoci che le uniche persone che possono salvarci siamo noi stesse».
Se proviamo rabbia, la rabbia femminile «è una variante subordinata… la rabbia maschile è motore di tutte le cose…la rabbia vera è potenzialmente omicida… A noi si insegna il feticcio della rabbia. Mai la rabbia autentica… L’inadeguatezza della rabbia femminile è relegata a una dimensione di agitazione personale».
Fonte ci fa riflettere su ciò che sappiamo, ma che spesso trascuriamo, forse per mancanza di autostima.
A volte pensiamo di doverci mascolinizzare per essere credibili, e anche temibili, «perché finché risulti femminile, puoi essere soggetta a ogni tipo di subordinazione… Però, se appari mascolina, sorge loro il dubbio. Non sarai mica maschio?»
E cosa fa la stampa? Cosa fanno i media? Fonte dice che romanticizzano il femminicidio, che «i femminicidi sono sempre amori finiti male. Gli assassini sono sempre uomini troppo innamorati. I coltelli sono sempre un raptus» e afferma che un femminicidio può essere un’occasione per «infilare una dose di razzismo in un racconto in cui la nazionalità o il colore della pelle sono dati irrilevanti… i bianchi non stuprano, i neri sì. I bianchi hanno solo forzato un po’ la compagna frigida, i neri sono stupratori seriali».
Spesso gli assassini sono definiti «persone normali, miti… chi l’avrebbe mai detto?» e poi, si sostiene che lei era consenziente, ma rideva, o era ubriaca… e si racconta che era bella, bionda, con un figlio avuto a 20 anni, piccola pornostar di provincia, fatta a pezzi o bruciata viva o drogata e abbandonata in un mare di sangue.
Le parole sono pietre, questo modo di raccontare è una sorta di pornografia del dolore, è una forma di violenza giornalistica di genere.
Questo libro a volte spietato e sempre vero, arriva a parlare anche delle donne impegnate in politica, di Metsola antiabortista e strenua difensora della famiglia, di Meloni donna, madre, premier, figlia di un sistema conservatore, portavoce di un partito che è Fratelli d’Italia, non Sorelle, che sostiene il mantenimento dei valori tradizionali «famiglia, religione, tradizione». Meloni ha una tattica precisa, «prima sussurra, poi parla con tono cauto, poi alza la voce, poi grida… chi grida non vuole un dialogo. Vuole sopraffare ogni altra voce».
Forte non trascura gli uomini politici, cita Pillon, cita Beppe Grillo e le sue espressioni violente contro Laura Boldrini, allora Presidente della Camera, cita Salvini che definisce Carola Rackete una «sbruffoncella, ricca e viziata comunista» la cui unica colpa era aver salvato dei migranti… e così via.
Che cosa ci rimane da fare? Resistere, opporsi, vivere, mai più sopravvivere, difendersi, essere streghe, di nuovo e per sempre, contro la nostra volontà, ma nel necessario bisogno di rivalsa.
E così si conclude questo testo: Mi chiamo Valeria Fonte e sono ancora viva. Non sono una sopravvissuta. Sono morta, ma poi rinata.
Non serve alcun commento.
Luciana Grillo - [email protected]
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