Via degli Abati, da Pavia a Pontremoli/ 2 – Di Elena Casagrande

Dall’Oltrepò Pavese, passeggiando tra colline e vigneti, entriamo nella Val Tidone, dove nei suoi paesini si ricorda ancora San Colombano, con statue e lapidi

Tra i vigneti dell’Oltrepò Pavese.
Link della puntata precedente
 
  A Broni riposano le spoglie del pellegrino S. Contardo d’Este, patrono della città 
Don Marco ci illustra entusiasta la Chiesa. San Contardo giace nella sua cappella, dentro un’arca trasparente, vestito con i simboli del pellegrino: il mantello con le conchiglie di San Giacomo ed il bastone.
Mentre era in cammino per Santiago de Compostela, quando si trovò a passare da Broni, si ammalò. I compagni proseguirono il cammino, promettendogli di tornare a prenderlo al ritorno. Purtroppo Contardo non guarì e finì il denaro. Cacciato dall’albergo morì in povertà su un pagliericcio. Correva l’anno 1249 e nessuno sapeva che quel pellegrino fosse un membro della famiglia degli Este. Alla sua morte le campane della Chiesa cominciarono a suonare ed attorno al suo corpo apparvero numerose fiammelle.
Tali eventi, assieme ai miracoli che si verificarono sin da subito presso la sua tomba, fecero comprendere che Contardo d’Este era un santo. Davanti alla sua teca termina la nostra prima tappa.
 

La teca di San Contardo d’Este.
 
  La Via degli Abati, nelle prime tappe, si snoda tra le colline dell’Oltrepò 
Usciamo da Broni salendo dolcemente fino a Colombarone. Davanti alla Trattoria La Pesa un anziano ci chiede dove stiamo andando a piedi. «A Pometo» – gli dico. «Bene, bravi!» – e ci incoraggia.
L’itinerario, da lì, prosegue in quota lungo la Strada provinciale 45. Si passa da Ca’ Basini, Ca’ de’ Rovati e Casa Cavagna. Ci sono moltissime aziende vinicole. A Castana facciamo una pausa, ammirando, dall’alto, il paesaggio primaverile che ci circonda. Mettiamo la crema solare. Il vento non dà tregua. A fine paese, a fianco della Chiesa di Sant’Andrea, inizia un ampio cammino in discesa tra i campi. Sotto i vigneti di Barbera e Bonarda soffici tappeti bianchi di rucola selvatica fiorita creano un colpo d’occhio spettacolare.
 

La vista sulle colline da Castana.
 
  Da Angelino, al Ristoro Cassinassa, respiro un’accoglienza autentica 
Nel paese di Cassinassa ci imbattiamo in un bar-rivendita giornali anni ‘60, segnalato come Ristoro della Via degli Abati. Lo gestisce il signor Angelino. Ha capelli candidi, ben pettinati e un gilet di lana fatto a mano. E’ molto distinto e ci fa entrare con un sorriso. Dalla terrazza del suo locale, in lontananza, si vede persino il Monte Rosa.
Ci prepara due caffè e ci timbra le credenziali. «Siete organizzati!» – esclama. «Tanti passano di qui senza nulla. Alla carlona!» Quando viene a sapere che siamo di Trento si complimenta ancora. Voi sì che sapete valorizzare il territorio. Qui non è così. Basta vedere come svendono i nostri vini.» Starei volentieri a parlare, ma bisogna ripartire. Salutiamo lui e il suo cagnolino. Uscendo sussurro a Teo: «Peccato essere arrivati qui troppo presto per il pranzo.»
 

Sotto la Chiesa di Sannazzaro.
 
  A Canevino la statua di S. Colombano mostra il legame del Santo con queste terre 
Dopo il bar cominciamo a scendere tra le campagne. L’Osteria prima di Sannazzaro è chiusa perché sono appena le 11. Proviamo a puntare al ristorante sulla strada per Canevino, sperando di arrivare in tempo.
Attraversiamo le frazioni di Francia e Spagna (chiamate così in ricordo dei domini contesi da Carlo V e Francesco I, a metà '500) e giungiamo a Bagarello, ma non entriamo in paese. Sono quasi le due del pomeriggio quando arriviamo al «Paradiso». La cameriera ci gela: «La cucina è chiusa.»
«Niente prelibatezze locali» – esclama Teo. Non ci resta che mangiare, su una panchina, i tranci di pizza presi a Broni. Sono freddi e il forte vento ci obbliga a trangugiarli in fretta. Saliamo in paese. Sotto la Chiesa troviamo la statua di San Colombano. «Finalmente lo incontriamo!»


La statua di San Colombano a Canevino.
 
  I mezzi pubblici a servizio della zona sono pochi e con orari ridotti 
Manca poco a Pometo e bisogna arrivarci subito. Alle 15 c’è l’autobus per rientrare a Broni. Purtroppo, al nostro arrivo, è appena passato e non ne sono previsti altri. «Che facciamo?» – chiedo a Teo. «Adesso ti calmi e prendi qualcosa al bar. Siediti» – mi risponde lui. Mentre mi godo al tavolino all’aperto il mio succo, accosta una ragazza. Chiacchiera con tutti. Mi sorride. Prendo coraggio e le chiedo se può darci uno strappo fino al bivio per Broni, visto che oggi non sono previsti altri mezzi pubblici. Senza pensarci ci fa salire in auto e guidando come una forsennata, tra curve e buche, ci accompagna alla base.
«Consumo due frizioni all’anno» – dice ridendo. Si chiama Virginia, è archeologa e fa la guida al Castello di Zavattarello. «Sapete, pensavamo di organizzare delle serate giapponesi al castello per cui ho contattato il Buonconsiglio di Trento, visto il successo della sua mostra "Incontri in Giappone". Il mondo è proprio piccolo. Lei è il nostro secondo "angelo" del cammino».
 

La Via degli Abati nel bosco.
 
  In Val Tidone il piatto tipico è il batarö farcito con affettati piacentini e gorgonzola 
Oggi ce la prendiamo con calma. Vorrei fare la pausa pranzo a Caminata e dato che, da Pometo, ci si arriva comodamente in un’oretta di discesa, non occorre partire all’alba. Dalla piazza la Via degli Abati scende leggermente, e poi sempre più marcatamente, verso Ca’ Vannone. Poco dopo si entra in Provincia di Piacenza.
A Caminata, come in tutta la Val Tidone, la specialità gastronomica è il batarö, una sorta di panino piatto o focaccina, a base di farina bianca «battuta» assieme alla farina di mais (un tempo assieme ai resti della polenta), farcita con gli affettati ed i formaggi tipici, perlopiù con pancetta o coppa e zola. Aspettando che il locale «La Curva» apra, visitiamo il paese.
Nell’anno 929 da qui passarono i monaci di Bobbio con le reliquie di San Colombano. Le stavano portando a Pavia, da Re Ugo di Provenza, per rivendicare i beni del monastero, usurpati dal Vescovo di Piacenza. Una targa ricorda l’evento.
 

Il batarö della Val Tidone.
 
  Lungo antichi sentieri medievali ci imbattiamo nel tempio dei «nuovi umanisti» 
Soddisfatti della pausa e del batarö, scendiamo dal paese verso il torrente Tidone per attraversarlo. Da qui in poi il sentiero si inerpica, senza tregua, tra i prati, fino a Trebecco e poi fino a Fontanasso, dove, a dispetto del nome, la fonte è chiusa. Ho molta sete. Sarà colpa degli insaccati, penso.
Sotto l’abitato di Case Giorgi ci sorprende una strana struttura in cemento. Sembra un osservatorio astronomico e fuori ci sono cassette di bibite, acqua e patatine. Qui ci sarà una festa, penso. Ma non tocchiamo nulla. Nel borgo tre ragazzi stanno restaurando una casa. «C’è una fontana?» – domanda Teo. «Sì ma è chiusa! Ve la diamo noi l’acqua» – ci dice uno di loro. «Potevate servirvi sotto, al tempio. Lo inaugureremo a giugno.» Ci spiegano che fanno parte dei «nuovi umanisti», seguaci del filosofo argentino Silo. Abbozziamo. Confusi, ma grati, riprendiamo il nostro cammino nel bosco, lungo il sentiero del Tidone. Ci sono anche dei cavalieri che lo stanno percorrendo.
 

 Lungo il sentiero del Tidone.
 
  Spezzando in due la tappa Pometo-Bobbio c’è più tempo per visitare l’Abbazia 
Una nube minacciosa si sta addensando sopra Romagnese, dove abbiamo deciso di fermarci, per poter tornare più facilmente indietro. Scendiamo dal cammino attraversando un campo d’orzo. Alla sede della Croce Azzurra, dove c’è la fermata, non passa nessun bus.
Per fortuna si ferma Samba, un allevatore africano di mucche, razza limousine, che sta andando a Piacenza e che volentieri ci riporta alla base. È il terzo «angelo» della Via degli Abati. Decidiamo di restare in zona. Prenotiamo cena e camera al Mulino di Nibbiano. Domani riprenderemo il cammino ed avremo tutto il tempo per visitare Bobbio e l’Abbazia, con calma.

Elena Casagrande - [email protected]

Poco prima di Romagnese.