Il «gioco delle parti» fra politici e tecnici»
Forum con Abete, Brunetta, Letta, Majnoni, Rossi. - Un NO generale alla distinzione secca fra i due ruoli. - La buona politica si distingue per coraggio, capacità, responsabilità
Ha senso distinguere seccamente,
come è costume in Italia, fra politici e tecnici prestati alla
politica? Dall'esito del Forum tenutosi nella Sala Depero della
Provincia, con Innocenzo Cipolletta, Luigi
Abete, Renato Brunetta, Enrico
Letta, Nicola Rossi e Giovanni
Majnoni, moderato da Marco Panara de «La
Repubblica», si direbbe di no.
Con argomenti e accenti diversi, i partecipanti al dibattito hanno
tutti sostanzialmente respinto questa dicotomia, sottolineandone
piuttosto un'altra, quella fra buona e cattiva politica, fra
politici che si adoperano a trovare anche le soluzioni tecniche e
politici ignoranti, fra politici che hanno il coraggio, se
necessario, di assumere posizioni scomode e politici che cercano un
facile consenso. Ed ancora, fra sistemi politici caratterizzati
dall'attribuzione al decisore di poteri e responsabilità, e dalla
possibilità di esercitare le dovute sanzioni nei confronti di chi
ne abusa, e da sistemi dove tutto ciò è assente oppure estremamente
polverizzato.
Ad aprire il dibattito Innocenzo Cipolletta, per
il quale la domanda che emerge frequentemente nel nostro paese «di
figure tecniche di governo» è specchio di una diffusa diffidenza
nei confronti della politica. «Io penso - ha aggiunto l'attuale
presidente dell'Università degli studi di Trento - che sarebbe
meglio avere tecnici che fanno i tecnici e politici che fanno i
politici. Constato peraltro che la frequente entrata di tecnici in
politica non ha migliorato sensibilmente quest'ultima.»
Luigi Abete, presidente di Bnl e degli Industriali
di Roma, dopo avere rivendicato in apertura la sua qualifica di
«imprenditore» a tutto tondo, ha sottolineato come in Italia il
rischio per un tecnico che «scende in campo» sia quello di
tagliarsi i ponti alle spalle.
«In realtà - ha affermato Abete - questo è vero soprattutto per chi
ha un profilo tecnico debole. Un tecnico forte dovrebbe avere anche
un profilo politico più forte, essendo meno ricattabile sul piano
professionale. La cosa importante è comunque il meccanismo di
selezione della classe politica. Ma l'attuale meccanismo elettorale
- un sistema uninominale con liste bloccate - è il peggiore
possibile, sommando le debolezze dei due precedenti.»
Anche per Nicola Rossi, docente universitario
prestato alla politica, il valore aggiunto di un tecnico è quello
di potere in qualsiasi momento «tornare a fare un altro mestiere»,
cosa che per il politico di professione è impossibile o molto
difficile. Detto questo, per Rossi un tecnico, quando scende in
politica, non solo è consapevole di ciò che questo comporta ma deve
coscientemente rivendicare un ruolo politico.
Anche per questo per Rossi è importante l'esperienza della campagna
elettorale. «Chi non la fa non riesce a padroneggiare pienamente il
linguaggio dei politici, nel quale la questione del consenso è
centrale. Mentre un tecnico può ottenere il consenso popolare
persino in maniera migliore rispetto al politico.» L'osmosi fra le
due categorie è quindi per Rossi non solo desiderabile ma
essenziale al fine di rigenerare costantemente la politica.
A proposito di capacità di assicurarsi il consenso dell'elettorato,
Renato Brunetta, un altro tecnico sceso in
politica, ha rivendicato con orgoglio di avere esordito partecipato
alla competizione più dura, un'elezione europea dove per vincere
«devi essere miliardario, avere alle spalle una solidissima
struttura di partito o essere una potenza mediatica. Io invece ho
fatto campagna elettorale e ho conquistato migliaia di preferenze,
cosa che ti dà una grande libertà.»
Per Brunetta la dicotomia politico-tecnico è un falso problema,
«così come lo è il dibattito attuale sulla crisi della politica,
perché la politica è crisi per definizione. Spero che esso non sia
stato sollevato per sostituire i politici con i tecnici perché
sarebbe una cosa estremamente volgare, ma sono tranquillo perché so
che D'Alema volgare non è. Padoa-Schioppa che convoca il generale
Gentile o utilizza il Tesoretto in un modo piuttosto che in un
altro non fa il tecnico ma il politico, punto e basta.»
In ultima analisi anche per Brunetta la distinzione non è fra
politici e tecnici ma fra chi ha il coraggio di fare scelte anche
difficili e chi non ce l'ha.
Giovanni Majnoni ha portato la testimonianza di
chi vive una situazione «rovesciata», quella di lavorare in un
istituto come la Banca Mondiale che è fatto di tecnici ma che ha
come capo un politico.
Infine il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio,
Enrico Letta, per il quale «non esistono tecnici
in politica. La differenza è fra politici ignoranti e politici che
si applicano per individuare una soluzione tecnica ai problemi. In
questo senso Padoa-Schioppa è pienamente un politico. Perché dunque
siamo qui a dibattere di questo tema? Perché in Italia la politica
è troppo spesso fatta da persone che altrimenti non avrebbero altri
ruoli o altre professionalità, ed inoltre perché i tecnici che si
avvicinano alla politica tendono ad avere di quest'ultima
un'opinione tanto bassa che preferiscono rimarcare comunque la
distanza.»
Letta ha quindi ricordato brevemente la figura di uno dei suoi
maestri, il trentino Beniamino Andreatta, per il suo sforzo
costante di far dialogare politici e tecnici, strappando alla
platea un lungo applauso.
Ma quali devono essere, allora, per Letta, le caratteristiche di un
sistema politico sano? Sostanzialmente tre: potere, responsabilità
e sanzioni. In Italia abbiamo però tutto il contrario. Il potere è
frammentato, parcellizzato, e ciò vale non solo per la politica ma
anche per le forze sociali.
E' il potere di fare tavoli, «un potere Ikea», ha suggerito
ironicamente Panara. In quanto alla
responsabilità, in Italia in realtà viene premiato chi scansa le
responsabilità, mentre chi se le assume corre dei seri rischi.
Infine le sanzioni, inesistenti: l'Italia è il paese del condono,
il paese che perdona sempre il politico che sbaglia.
(mp)