Storie di donne, letteratura di genere/ 493 – Di Luciana Grillo
Shumona Sinha, «Apolide» – Il tema affrontato non ha confini territoriali: chiunque può vivere, a qualsiasi latitudine, il disagio di sentirsi «straniero»
Titolo: Apolide
Autrice: Shumona Sinha
Traduttore: Tommaso Gurrieri
Editore: Edizioni Clichy, 2021
Pagine: 176. Brossura
Prezzo di copertina: € 17
Shumona Sinha è nata a Calcutta e vive a Parigi.
Sicuramente ha vissuto e vive l’esperienza della “diversa”, anche se è ben integrata in Francia, dove lavora, dove ha amici e amiche, dove comunque si sente “non-francese”, dove deve fare i conti, ogni giorno, con una mentalità antiquata e maschilista, che considera la donna solo un corpo da usare.
In “Apolide” racconta la vita di tre giovani donne che hanno in comune l’origine indiana, la voglia di impegnarsi, il desiderio di autonomia e indipendenza.
Esha, che ormai è cittadina francese, assiste spesso a episodi di intolleranza e di razzismo, qualche volta è la vittima designata: in metropolitana, dopo un violento litigio tra due donne di colore diverso, «aveva tenuto la testa bassa… poi il suo sguardo aveva incrociato quello dell’adolescente seduta di fronte a lei, pietrificata dalla paura… alla sua sinistra c’era una ragazza che avrebbe potuto chiamare “Signorina Porcellana”. Quando Esha si voltò verso di lei, questa evitò il suo sguardo, fece una smorfia, si strinse nel sedile e chiuse gli occhi».
Mina vive nel Bengala, milita in un movimento rivoluzionario, è figlia di contadini, il padre «era da un po’ che aveva smesso di capire il mondo che lo circondava. Lui che viveva al ritmo dei suoi raccolti considerava i giorni e i mesi e gli anni come una manciata di creta…Le stagioni lo attraversavano…».
I politici locali sono stupiti dall’interesse della ragazza per la politica, è solo una donna, un deputato le dice con insolenza: «Non devi stare con quelli. Devi smetterla con queste sciocchezze. Occupati della tua famiglia… Basta con questa confusione, basta mettere i bastoni tra le ruote. Fai quello che ti chiedo. Punto e basta».
Mina non cede, partecipa agli incontri, «la signora le affidò il compito di convincere e riunire i suoi vicini contadini e le promise che le avrebbe dato la parola all’incontro successivo».
È in una di queste occasioni che Mina incontra Sam.
E anche Marie, la giovane indiana adottata da genitori francesi che torna in India alla ricerca delle sue radici e che, stanca di girare per orfanotrofi, si era lasciata convincere ad andare in campagna e «passava tutto il tempo lì, a Tajpur, con Mina e altre ragazze e contadini, tutti sconosciuti, a discutere e riempirli di strane idee, a caricarli contro il governo».
In quel luogo remoto, fra gente povera, «finalmente si sentiva utile, vicina al popolo e alla causa».
Anche Esha conosce Marie, si incontrano a Parigi e benché prese da altri problemi, parlano della loro India.
«Esha era sempre meno sicura di voler vivere quella transizione… in un paese in cui essere una donna era un fardello», ma il problema forse non era tanto il paese in cui vivere: «capì che non avrebbe mai potuto allontanarsi da se stessa, dalla propria immagine, dalla propria ombra. Non avrebbe mai potuto allontanarsi dalle zone oscure, perché le portava in sé, sulla pelle, sul volto, lungo tutto il suo corpo, come la mappa ammuffita di un paese lontano».
La gravidanza di Mina in realtà allontana da lei Sam, che le promette di parlare con i loro genitori, ma non lo fa. Mina sta male, è sola, minacciata dai politici locali, disprezzata da sua madre, infine cacciata via da suo padre: «Perdonami, piccola… dovrai andartene da questa casa! Cerca di capire, non abbiamo scelta, siamo costretti, se resti qui ci bandiranno, tuo fratello non potrà lavorare da quella gente, non potremo uscire per strada».
La scoperta del corpo di Mina «mezzo carbonizzato e sepolto vicino al sito del progetto di industria automobilistica aveva commosso tutto il Bengala»; Marie è lì, mentre scoppiano violente manifestazioni; con i suoi compagni maoisti, cerca di confondersi fra la folla e decide di tornare a Parigi.
Incontra Esha e racconta… Ma Esha è distratta, il suo rapporto con Julien è in crisi, le intimidazioni razziste continuano, beve, ascolta musica, accende tante candele e si lascia morire.
Il tema affrontato non ha confini territoriali, chiunque può vivere, a qualsiasi latitudine, il disagio di sentirsi «straniero».
Luciana Grillo - [email protected]
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