Oggi gli ex bambini di don Gnocchi gli rendono omaggio

In Trentino, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, oltre a quelli rimasi uccisi, furono più di 70 i bambini a rimanere feriti a causa dell'esplosione di ordigni bellici

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Ho conosciuto don Carlo Gnocchi negli anni '50 durante il periodo della mia permanenza al collegio di Torino dove ero ospite, assieme a tanti, tantissimi bambini infortunati a causa dell'esplosione di ordigni bellici.
Come me, i bambini trentini ospitati presso i collegi, furono oltre una settantina.
Ad oggi, sono trascorsi 10 anni dal giorno della beatificazione di don Carlo Gnocchi, era il 25 ottobre 2009.
Ma chi era don Carlo Gnocchi ora Beato?
 
Don Carlo nasce a San Colombano al Lambro, in Lombardia, il 25 ottobre 1902.
Ancora bambino, assieme a due fratelli, rimane orfano del padre.
La mamma Clementina, rimasta vedova, provvede ai figli lavorando come lavandaia e rammendando. Finita la quinta elementare, don Carlo entra nel Seminario Arcivescovile di Milano.
Negli studi primeggia su tutti e, all'esame di licenza Liceale presso il liceo Parini di Milano, consegue il diploma con una media di 8/10.
 
Presi i voti sacerdotali, celebra la prima messa nel piccolo paese di Montesirio l'anno santo del 1925. Il giovane sacerdote esercita un fascino coinvolgente sui ragazzi.
«La giovinezza è un tesoro inestimabile, e l'educatore deve vegliare continuamente e intelligentemente su di essa per conservare e proteggere dai pericoli esterni che la insidiano e da quelli interni che ne velano la preziosità» (don Carlo Gnocchi, Armando Riccardi, editrice Ponte Nuovo, Bologna, 1966).
 
Dopo l'esperienza all'Istituto Gonzaga di Milano e l'inizio del Secondo conflitto mondiale, don Carlo è arruolato come cappellano militare nel battaglione Val Tagliamento del gruppo Alpini in partenza per L'Albania.
La perdita di uomini è notevole e i risultati militari assai scarsi. Dopo i Balcani, nell'aprile 1942, don Carlo è al seguito dell'Armir nella Campagna di Russia. È il padre spirituale delle divisioni alpine, Julia – Cuneense – Tridentina.
La tragedia di Albania e del Fronte russo è raccontata nel libro di don Carlo «Cristo con gli alpini».
 
Ritornato in patria, dopo la disfatta della Campagna di Russia sente forte il richiamo dei suoi alpini lasciati morti su quel fronte.
Ha con sé nomi, indirizzi e foto dei caduti e nessuna difficoltà lo trattiene dal raggiungere le famiglie dei caduti. Trova le madri, le vedove e gli orfani nell'indigenza e una domanda su tutte lo tormentava: «Di tutti quei bambini, orfani degli Alpini, chi si prenderà cura?».
Ad Arosio (Como), su iniziativa della Croce Rossa, delle Autorità militari, civili e religiose, apre una casa per Grandi Invalidi di Guerra.
A questi si aggiungono gli orfani dei caduti e i piccoli bambini mutilati a causa degli ordigni bellici sparsi su tutto il territorio nazionale.
 
Che fare? Don Carlo si adopera nella ricerca di risorse economiche ed immobili che possano divenire luoghi dove poter rieducare la gioventù ferita e martoriata dalla guerra.
Il Ministero degli interni, l'Opera Nazionale Invalidi di Guerra e il Ministero della pubblica Istruzione trovano i fondi e i collegi dove sistemare quei bambini.
Con Decreto del Presidente della Repubblica del 26 marzo 1949, viene giuridicamente riconosciuta la Fondazione Pro Juventute.
A Torino, Roma, Pessano, Genova, Villa Giovi a Milano, Parma, Inverigo, Pozzolatico a Firenze e a Salerno, aprono i collegi dove i bambini feriti e mutilati trovano accoglienza, istruzione e lavoro.
 
Gli insegnanti sono tutti delle scuole esterne ai collegi. La dirigenza e l'organizzazione sono affidati ai Fratelli delle Scuole Cristiane. Il collegio di Torino, il più grande, inaugurato il 13 novembre 1950, accoglie 400 mutilatini.
Prima di morire, con un gesto supremo d'amore, da disposizione affinché le sue cornee vengano trapiantate a due bambini ciechi.
Il 28 febbraio 1956, don Carlo lascia questa terra e la sua grande Opera.
Il primo marzo del 1956, al suo funerale, il Reparto del 6° Alpini della divisione Tridentina rese onore al suo valoroso cappellano assieme alla rappresentanza degli ex bambini dei collegi da lui fondati. La sua opera assistenziale continua nella fondazione don Carlo Gnocchi.
Un'immensa gratitudine a don Carlo Gnocchi, accomuna l'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra ed il Corpo degli Alpini che, in occasione di questo decimo anniversario dalla sua beatificazione, desidera rinnovare una sentita e sincera riconoscenza per averci accolti, custoditi ed indirizzati a nuova vita.
 
Giuseppe Ticò
Presidente dell'Associazione Vittime civili di guerra – Sezione di Trento
BAMBINI DI GUERRA
 

 
Quanti ne ho visti, di bimbi, nel mio triste pellegrinaggio di guerra. Tragico fiore sulle macerie sconvolte e insanguinate d'Europa, pallida luce di sorriso sulla fosca agonia di un mondo!
E i bimbi di Albania neppure questo sorriso malato sapevano offrire alla loro terra squallida e ambigua.
Alacri e fieri bambini del Montenegro, dai costumini fantasiosi, come se fosse sempre festa e dai riflessi d'acciaio negli occhi fermi e intelligenti.
Poveri bimbi di Grecia con lo stupore della fame e della sconfitta nel viso scarnito (e gli autocarri della Divisione ne accoglievano ogni giorno decine, insieme ai vecchi, intorpiditi dalla fame e morenti…).
 
Miserabile frotta dei fanciulli jugoslavi che sostavano tutto il giorno alle porte delle caserme e degli accampamenti, con latte di pomodoro, scatolette di carne e gavette arrugginite tra le mani, aspettando avidi e silenziosi la distribuzione degli avanzi di cucina e un po' di rancio dai soldati… Che cosa non avevano addosso quei bambini e quelle bambine?
Teli da tenda mimetizzati, lunghe sottane da donna strascicanti e giubbe militari stracciate da cui affioravano soltanto due manine e un visino infreddolito. Come un'amara mascherata dell'abbiezione e della fame!
 
Voci musicali e dolenti di bimbi, per le contrade deserte della Polonia che invocavano pane (Italianski, pan dai gaglietta!), quante volte non mi tornare nell'anima come un pianto lontano e un rimorso inquietante!
Ed erano tutt'ossa quei piccini, le mani rinsecchite e protese, bastoncini le gambe tremanti nei calzoncini fatti troppo larghi…
Facevano sciame improvviso intorno alle tradotte italiane, nelle lunghe e inspiegabili soste dei convogli in aperta campagna o nelle stazioncine diroccate dalla guerra, s'azzuffavano sui pezzi di pane gettati loro dai finestrini… ed ho visto io la sentinella tedesca sparare macchinalmente in quel groviglio cinguettante di stracci!
 
Bambini di Russia, dell'Ucraina, delle steppe del Don e della Russia Bianca. Paffuti e incuriositi da prima dietro i vetri delle isbe ad osservare senza paura il fiume delle macchine di guerra e degli armati che marciavano tronfi e vittoriosi verso l'annientamento della Russia; rassegnati e assenti poi a spinger il carrettino delle masserizie, nelle lunghe e mute teorie di profughi che bordavano le strade delle retrovie rombanti di motori e di armi, sotto l'incubo degli aerei saettanti nel cielo.
Da ultimo poveri esserini disperatamente attaccati al seno esausto delle madri immote, piangenti nelle case deserte, atterriti e sobbalzanti ad ogni rumore di guerra.
 
Poveri bimbi della mia guerra, miei piccoli amici di dolore, dove sarete oggi e che sarà di voi?
Eppure soltanto da voi ci è stato dato di cogliere qualche gesto di dolcezza e di speranza in così orribile tregenda di odio e di sangue.
Quando s'arriva nelle città conquistate e infrante, i visi e le case dei nemici si sbarravano astiosamente; dietro gli spiragli lampeggiavano sguardi di rancore e covavano propositi di vendetta; agli angoli delle strade deserte si preparavano agli agguati dei partigiani.
Ma i bimbi no.
 
Dopo la prima sorpresa, uscivano timidi dalle case, si accostavano guardinghi e curiosi alle potenti macchine di guerra, toccavano con mano innocente e incredula le armi lucenti, s'intrufolavano nei crocchi dei sodati stanchi dalla lotta ascoltandone i discorsi senza intenderli e, se qualcuno di essi aveva sete, saettavano con la gavetta a prendergli l'acqua…
E il soldato più anziano, levatosi il casco che gli dava un'inutile fierezza, seduto a metà sul parafango di un carro armato, chiamava con qualcosa di buono il più piccino, o il più biondo o quello che somigliava di più al suo bambino lontano e lo carezzava pensoso…
Nel fanciullo si riconciliava e rinasceva la vita infranta dalla guerra.

Cristo con gli alpini, Carlo Gnocchi, editrice «La scuola», Brescia, 1956.