Lettere al direttore – Missiva firmata da un «No green pass»

Si fanno i conti dei costi sostenuti per chi non ha potuto lavorare senza vaccino. Ma nessuno ha pensato ai disagi generati a chi non ha potuto lavorare?

Tre mesi senza stipendio, un rientro con demansionamento, l'orario raddoppiato da 18 a 36 ore, senza contatti con gli studenti fino al 16 giugno, green pass base con tamponi ogni 2 giorni.
Fa discutere il trattamento riservato ai docenti non vaccinati che il decreto del 24 marzo ha autorizzato a ritornare a scuola, ma non ad insegnare, mantenendo in cattedra anche i supplenti chiamati inizialmente a sostituirli.
 
Una soluzione che umilia i primi, e aumenta la spesa pubblica per pagare i secondi, 1 milione e mezzo di euro in Trentino, secondo il dirigente del dipartimento conoscenza della provincia Roberto Ceccato, fino al quando decadrà l'obbligo vaccinale anche per i docenti, il 15 giugno.
Stime al rialzo, però, perché non tutti i 170 docenti coinvolti sono rientrati, anche perché - ha spiegato Cinzia Mazzacca della Cgil scuola - tornare a scuola e non poter insegnare non ha molto senso, ci troviamo di fronte a paradossi normativi.
 
Qualcuno dice che i no green pass hanno comportato una spesa notevole per la Pubblica Amministrazione, ma non si fa cenno ai disagi generati a coloro che, pensandola diversamente, si sono trovati senza lavoro o con mansioni umilianti, per far fronte a una decisione che ha toccato i fondamenti stessi della Costituzione della Repubblica Italiana.
L’Italia è una «Repubblica fondata sul lavoro». Eppure, anziché trovare soluzioni alternative per evitare il pericolo di contagi sul posto di lavoro, si è deciso senza remore di impedire di lavorare a chi il lavoro ce l’aveva.

Si pensava che costasse meno vietare che aiutare. E invece, ecco presentato il conto. E a carico di entrambe le parti.
Con l'aggravante delle minori entrate per l'erario e l'INPS causate dalla caduta dei redditi dei lavoratori sospesi.

Lettera firmata