Storie di donne, letteratura di genere/ 430 – Di Luciana Grillo
Helga Schneider, «In nome del Reich. Indegni di esistere» – L’autrice rende testimonianza della spietata Operazione T4, programma di eutanasia nazista
Titolo: In nome del Reich. Indegni di esistere
Autrice: Helga Schneider
Editore: Oligo, 2022
Genere: Narrativa a sfondo storico
Pagine: 192, Brossura
Prezzo di copertina: € 16,90
«Indegni di esistere» è un’espressione terribile, che fa venire i brividi, se si pensa che nella Germania nazista era riferita agli individui imperfetti – uomini donne bambini – che non rispecchiavano le caratteristiche fisiche e psichiche degli ariani.
Helga Schneider è una tedesca della Slesia, territorio assegnato alla Polonia dopo la seconda guerra mondiale, che ha scelto di vivere in Italia e di raccontare la storia del suo Paese e della sua gente, senza omettere le atrocità commesse o subite.
Diventa quindi portavoce di una donna, incontrata a un convegno nei primi anni duemila, che «organizzava ed eseguiva la soppressione delle cosiddette vite indegne di essere vissute».
Helga Schneider dunque racconta in prima persona lo svolgersi di quel programma di annientamento che costò la vita a più di settantamila persone.
Il libro è diviso in due parti e procede a ritroso: nella prima, la protagonista ormai vecchia ripensa al suo passato, alla sua vita semplice di bambina a Monaco, al padre che gestiva una drogheria e che nutriva una certa simpatia per Hitler, alla madre che invece «era preoccupata per un tizio che da qualche tempo faceva parlare di sé», alla visita che insieme al padre – mentre il nonno e la mamma ne erano all’oscuro – andò a fare proprio al Fuhrer che «nella solitudine dei monti si era definitivamente convinto della sua missione di liberare la Germania dall’apatia, dai falsi moralismi e da un nemico micidiale: il popolo ebraico», al loro improvviso trasferimento a Berlino nel 1933.
Di pagina in pagina, i ricordi diventano dolorosi, c’è Gregor, un uomo elegante e disinvolto che milita nelle SS, che diventa suo marito, la introduce nella Berlino bene, la fa vivere fra gli agi, spera in un figlio maschio che chiamerà Adolf… Tutto precipita con la nascita del bimbo che viene strappato alla mamma.
Il dramma si compie, il bimbo è «indegno di vivere», Grete vuole allontanarsi, ma NON POTEVA: «la legge era dalla sua parte: la moglie aveva il dovere inderogabile di abitare sotto il tetto coniugale, e ciò valeva soprattutto per la moglie di una SS».
La situazione precipita, per Grete si decide un ricovero coatto per disturbi psichici. Ma il destino l’aiuta, e riesce a fuggire.
Nella seconda parte, si ricomincia da capo: Grete scrive un diario, racconta l’incontro con Gregor, il fidanzamento e il matrimonio, i privilegi di cui solo i fedeli di Hitler possono godere, gli avvertimenti e le richieste di Herta Vogel, amica e antinazista, le proteste dei berlinesi che nella drogheria del padre vedono la merce scarseggiare, la guerra, i bombardamenti, la gravidanza, la nascita del bimbo, la freddezza dei suoceri, il dolore e l’angoscia che la attanagliano quando non riesce ad avere notizie di suo figlio, portato chissà dove…
Gregor sa solo dirle: «Sappi che approvo pienamente il programma di eutanasia del Reich che estirpa gli esseri imperfetti dalla comunità di questa nazione. Trovo che sia un progetto encomiabile che in futuro sarà imitato da molti altri paesi e citato come esempio di estremo progresso!».
Passano gli anni, nelle ultime pagine siamo con Grete, con Herta e con Rudi a Berlino, è maggio del 1997, «il lago si sta scurendo, sulla riva opposta cominciano ad accendersi le luci… l’ultimo piroscafo suona la sirena».
Grete festeggia i suoi ottanta anni, circondata dall’affetto di suo marito, dei figli, delle nuore, dei nipoti e degli amici e confessa a se stessa: «Ho amato molto la mia vita. L’ho amata malgrado i colpi bassi che mi ha inferto e che sembravano volermi annientare, ma è stata vita: palpitante e tenace, ora violenta e spietata, ora carezzevole e generosa, spesso ingiusta. Ma è stata mia e non la cambierei con nessun’altra».
Luciana Grillo - [email protected]
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