Autonomie di Trento e Bolzano, una storia da rileggere oggi / 2

«Democrazia Cristiana e Volkspartei: origini del contrasto» – Di Mauro Marcantoni

Nel 1948 si svolsero le prime elezioni regionali. Lo Statuto prevedeva che i consiglieri regionali venissero eletti nei due collegi provinciali. A Trento la Democrazia Cristiana e a Bolzano la SVP (Südtiroler Volkspartei) – il partito di raccolta del gruppo di lingua tedesca – ottennero rispettivamente 17 e 13 consiglieri regionali su 46.

La prima esperienza regionale si basò dunque su un’alleanza tra DC e SVP, che diede vita a una Giunta regionale presieduta dal democristiano Tullio Odorizzi.
In un primo tempo l’intesa parve funzionare, anche perché la precaria situazione economica e sociale delle due province, uscite stremate dalla guerra, richiedeva il tempestivo utilizzo delle risorse che il nuovo assetto autonomistico metteva a disposizione.
Odorizzi indicò nella «buona amministrazione» il principio guida della propria esperienza di governo.
Coerentemente con questo principio, l’investimento iniziale della Regione si concentrò sui lavori pubblici e sull’agricoltura che, sebbene arretrata e scarsamente produttiva, costituiva ancora la principale fonte di occupazione e di reddito.
 
Nella popolazione sudtirolese serpeggiava tuttavia un diffuso malcontento, dovuto anche agli allarmi destati dai consistenti flussi di immigrati provenienti dal resto d’Italia.
Il 28 ottobre 1953, dalle pagine del «Dolomiten», il canonico Michael Gamper lanciò l’allarme riguardo alla sopravvivenza del gruppo etnico sudtirolese. Secondo Gamper, dall’inizio del 1946 alla fine del 1952 la popolazione del Sudtirolo era cresciuta di circa «50mila immigrati provenienti da quel meridione che ci è estraneo».
Stando ai suoi calcoli, nel giro di un decennio i sudtirolesi sarebbero diventati minoranza nel loro stesso paese, tanto che egli non esitò a parlare di Todesmarsch, «marcia della morte».
Anche se in seguito quelle cifre si rivelarono non veritiere, l’allarme lanciato da Gamper ebbe, in quel momento, un effetto dirompente.
 
A metà degli anni ’50 i rapporti tra DC ed SVP cominciarono a incrinarsi e l’iniziale collaborazione lasciò il posto a un clima di sospetto e diffidenza reciproca.
Il principale elemento di contrasto era rappresentato dall’applicazione dell’articolo 14 dello Statuto, che riguardava il trasferimento della gestione amministrativa delle competenze legislative dalla Regione alle Province. La Volkspartei interpretava l’articolo in una prospettiva di massimo trasferimento di tali competenze alle Province, la DC invece – più propensa a mantenere uno stretto contatto con il Governo italiano – insisteva sui benefici amministrativi e sulle semplificazioni burocratiche garantite dall’autonomia.
Non si trattava, in effetti, di uno scontro tra due diverse interpretazioni giuridiche, bensì, tra due diverse concezioni dell’autonomia: mentre per la Volkspartei la funzione degli istituti autonomistici doveva essere essenzialmente quella di difesa del carattere etnico delle popolazioni sudtirolesi di lingua tedesca, larga parte della DC trentina riteneva che essi costituissero – secondo le parole di Luigi Dalvit, capogruppo DC in Consiglio regionale – «una fondamentale premessa per una buona amministrazione locale, per lo sviluppo di un’educazione civica, per la formazione di una classe dirigente di cittadini coscienti e consapevoli e per la liberazione del nostro popolo dalle depressioni che lo umiliano».
 
Sul piano politico il primo strappo si verificò nel 1955 quando, a seguito di un conflitto scoppiato con il Presidente della Giunta regionale Tullio Odorizzi, riguardo l’applicazione dell’articolo 14 nel campo dell’agricoltura, l’Assessore di merito Hans Dietl decise clamorosamente di dimettersi dal relativo assessorato regionale.
La dura presa di posizione di Dietl era testimonianza di un malessere profondo e anticipava – simbolicamente – le azioni future della Volkspartei.
 
A surriscaldare un clima già di per sé acceso furono anche gli sviluppi internazionali. Nel maggio dello stesso anno, l’Austria aveva sottoscritto con le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale – e ancora occupanti – il Trattato di Stato, che le consentiva di riacquistare la propria sovranità e con essa maggiori possibilità di manovra sulle questioni oltre frontiera.
Il Trattato, in realtà, vincolava l’Austria a un regime di stato neutrale, all’interno delle frontiere del 1938, e vietava esplicitamente qualunque politica di accrescimento territoriale.
Ciò, tuttavia, non le impedì di porre la questione sudtirolese al centro della propria azione di politica estera e di intervenire a sostegno delle rivendicazioni dei «fratelli separati» con azioni e prese di posizione sempre più dirette arrivando, in più di un’occasione, a evocare il diritto all’autodeterminazione per il Sudtirolo.
 
Mauro Marcantoni
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