Tutela dei diritti umani: I governi inizino a fare la loro parte
La globalizzazione ha generato un potere senza precedenti Servono strumenti efficaci che le rendano responsabili
Negli ultimi vent'anni il business ha reso metà delle economie più
potenti al mondo, aziende più che Stati.
Risultato: gli interessi monetari contano molto di più del
benessere dei propri cittadini.
E poco importa se ci sono soggetti che sfruttano il territorio,
inquinano i corsi d'acqua, trascinano donne e uomini ancora più a
fondo nella povertà.
La globalizzazione ha generato potere e influenza senza precedenti
per le imprese, agevolate dalla mancanza di strumenti efficaci che
le facciano rispondere dei propri errori.
Tutto ciò deve finire, sostiene Amnesty International.
Oggi più che mai sono necessarie riforme radicali.
Il quadro che esce dall'intervento di Audrey Gaughran, responsabile
del settore Imprese e diritti umani di Amnesty International (in
"La crisi dei diritti nell'economia globalizzata" per i Confronti,
a Palazzo Calepini) è desolante.
Foreste devastate, fiumi oggetto di sversamenti di petrolio, intere
comunità costrette a trasferirsi, ad abbandonare le proprie case
per far posto alle industrie estrattive.
Persone che assistono impotenti alla distruzione dei loro mezzi di
sostentamento e che vengono spinte sempre più a fondo nella
povertà.
Prendiamo, per esempio, il Delta del Niger.
Il territorio è ricco di enormi giacimenti dell'oro nero che hanno
generato e continuano a generare ricavi per miliardi di
dollari.
Eppure la maggior parte dei 30 milioni di abitanti vive in stato di
estrema indigenza.
Il fenomeno, è stato sottolineato durante l'incontro, è assai più
diffuso di quanto si possa pensare.
Dodici tra i Paesi al mondo più ricchi di minerali e sei tra i
maggiori produttori di petrolio sono tra i più indebitati.
Una contraddizione causata dalla globalizzazione dell'economia.
La deregolamentazione del commercio, l'apertura dei mercati agli
investimenti stranieri e altre libertà commerciali promosse
dall'Organizzazione mondiale per il commercio, dalla Banca mondiale
e da altri attori hanno accresciuto il potere e l'influenza delle
imprese.
Ben poco si è fatto, al contrario per mettere in essere una
corrispondente normativa vincolante per le aziende, così da
garantire che esse siano chiamate a rendere conto dell'impatto del
proprio operato.
Il motivo è presto detto.
Troppo spesso i Governi non sono in grado o, ancora peggio, non
vogliono né impedire né punire le violazioni dei diritti umani
perpetrate dai soggetti non statali.
Il quadro legale nazionale non ha mantenuto il passo con la realtà
della globalizzazione.
Nei Paesi in via di sviluppo, normative interne deboli e
scarsamente osservate e privilegi accordati alle aziende, si
combinano con l'assenza di meccanismi internazionali efficaci di
accertamento delle responsabilità.
Servono, sottolinea Amnesty International, riforme radicali. Serve
un cambio di rotta forte.
Ma come si può fare?
«Richiedere ad esempio - dichiara Audrey Gaughran - che le aziende
intraprendano azioni per valutare gli impatti negativi del loro
operato sui diritti umani. Obbligarle a stilare un reporting
sociale e ambientale. Ricorrere alla vigilanza indipendente.
Informare gli abitanti sull'attività dell'azienda. L'informazione
aiuta, infatti, ad avere pari opportunità. Ma anche promuovere
l'effetto del diritto extraterritoriale in modo che si possano
imporre sanzioni e garantire un risarcimento a coloro che sono
colpiti dalle violazioni.»
Le vittime dei soprusi hanno, infatti, ben poche possibilità di
approdare in tribunale e i tentativi di ottenere giustizia possono
essere resi vani dalla corruzione, dagli interessi personali o
dall'inefficacia dei sistemi giudiziari.
Coloro che vengono lesi vedono, in altre parole, la legge mettersi
da parte davanti al business.
Le sfide, come si può capire, sono parecchie e nessuna facile.
Il cambiamento però è tutt'altro che impossibile. Nonostante la
miriade di ostacoli, gli attivisti sono sempre più convinti della
necessità di cambiamenti legali.
Senza normative ben precise le aziende, raramente, adotteranno
comportamenti virtuosi.
È ora quindi che i Governi facciano la loro parte affinché il
benessere sia di tutti anziché di pochi.