Roberto Baggio, il fenomeno più amato del Festival dello Sport

«Tutta la poesia del calcio fra classe, semplicità e l’eleganza del perfetto Numero 10»

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Apoteosi Roberto Baggio nel pomeriggio di oggi, in un Teatro Sociale stracolmo, per uno degli eventi più attesi del Festival dello Sport.
Grande entusiasmo e applausi a scena aperta per uno dei fuoriclasse più amati di sempre del calcio italiano intervistato dal direttore de La Gazzetta dello Sport Andrea Monti.
«Il divin codino», com’è stato battezzato dai tifosi, ha ripercorso la sua carriera di calciatore raccontandosi in maniera diretta e con quella semplicità e sincerità che lo hanno fatto diventare un campione amato da tutti, al di là delle casacche indossate nel corso di una carriera straordinaria, quasi sempre con il magico numero «10» sulle spalle.
 

 
Vicentino, classe 1967, Boberto Baggio è cresciuto nel mito del fuoriclasse brasiliano Zico iniziando a giocare a calcio in strada.
I numeri della sua carriera sono impressionanti e parlano anche di dieci magliette indossate, se si considera anche quella dell’Under 21, 323 reti realizzata in 765 partire con 57 presenze con la maglia della Nazionale.
Due gli scudetti vinti, con la Juventus e il Milan, un Pallone d’Oro ed un’idea di calcio e di vita che parte da un’idea precisa.
«Credo che per avere successo – ha detto Baggio – sia sempre necessario essere umili, solo in questo modo non si ha paura delle sconfitte, delle cadute che ci attendono nella vita.»
Baggio non ha mai fatto le bizze delle star ma si è sempre posto in maniera diretta con i suoi tifosi.
«Ho sempre voluto mettermi nei loro panni, di chi sta un’ora in fila a chiederti l’autografo perché lo facevo anch’io da ragazzino con giocatori e cantanti.»
La mission del campione veneto è stata sempre quella di far divertire la gente, di regalare gioia ed emozioni attraverso il gioco e i gol.
 

 
E Roby Baggio lo ha fatto con diverse magliette a partire da quella del Lanerossi Vicenza.
«Ho vissuto la mia prima esperienza importante con la squadra che tifavo e che andavo a vedere da bambino. Un sogno, il massimo.»
Poi l’esperienza, unica, profonda e insieme dolorosa con la Fiorentina.
«Sono arrivato a Firenze rimanendo fermo per due anni a causa di un infortunio. In quel periodo la gente si era stretta intorno a me con un affetto incredibile che non ho mai dimenticato e per questo mi sono sentito in debito con questa città.»
Sul campo Baggio diventò l’idolo dei tifosi viola che accolsero con tre giorni di guerriglia urbana il suo trasferimento ai rivali della Juventus.
«Con Firenze – ricorda commuovendosi Baggio – ho un legame profondo. Non volevo andarmene ma la società aveva già fatto tutto. Per tanto tempo mi diedero del mercenario finché il presidente di allora, dopo anni, ristabilì la verità delle cose.»
Chissà, magari Baggio sarebbe rimasto viola a vita ma le cose non andarono in quel modo e nella sua carriera arrivarono le vittorie con la Juventus, proprio con la maglia della Vecchia Signora visse alcune degli anni più belli della sua carriera, con il Milan, per poi passare al Bologna, all’Inter in un periodo travagliato, per chiudere la sua carriera in provincia al Brescia dove incontrò Carletto Mazzone: «Un uomo semplice e saggio».
 

 
Più tormentato il suo rapporto con la Nazionale.
«Per me vestire la maglia della nazionale era qualcosa di incredibile e straordinario che sognavo sin da bambino. La casacca azzurra per me era qualcosa di unico.»
Purtroppo il destino ha trasformato Roberto Baggio in uno dei simboli della sconfitta ai rigori nei Mondiale del 1994 negli Stati Uniti nella finale di Pasadena persa contro il Brasile.
«Quel rigore sbagliato in finale è il più importante episodio sportivo della mia vita che vorrei cancellare. Credo di non aver mai tirato alto un rigore e quella volta capitò, ci penso ancora qualche sera prima di addormentarmi, quel rigore mi tormenta.»
 
Altra delusione azzurra la mancata convocazione da parte di Trapattoni ai Mondiali del 2002.
«Non ho mai digerito quell’esclusione, mi ha profondamente amareggiato, meritavo di essere tra i convocati, magari poi di non giocare, ma di essere considerato, quello sì.»
La vita sportiva di Roberto Baggio è stata condizionata da tanti infortuni che non gli hanno impedito di diventare un fuoriclasse mentre quella spirituale è stata segnata dal Buddhismo abbracciato nel 1988 proprio dopo il primo, grave, infortunio.
L’ultima chiosa è sul calcio di oggi.
«Mi piacerebbe molto giocare con le nuove regole, – ha detto Baggio. – Credo che sia io che campioni come Zico, Platini e Maradona di gol, anche su punizione, ne faremmo molti di più e il pubblico tornerebbe a riempire gli stadi.»