Controcanto alla santità. La «luce» di Vittoria Haziel
La nostra Pellegrina in visita alla chiesa sconsacrata Della Madonna del Carmine del comune di Piossasco. In pellegrinaggio dal «Signore della Luce» Alessandro Cruto, inventore della luce (Quinta parte)

E va be', lo confesso: non ho
seguito l'arrivo dei due pellegrini (l'ateo e il credente) al
santuario di Compostela. Ma non l'ho fatto apposta, anzi, m'è
davvero dispiaciuto perdermi il duetto sacro-profano di fronte alla
visione della santa meta tanto agognata. La mia assenza è
giustificata dalla presentazione dell'ultimo nato (cartaceo), «Il
signore della luce».
Il caso spesso è bizzarro, ma soprattutto con me. Stavolta ha
voluto che forse proprio mentre il pellegrino e l'intruso,
raggiunta la Praza do Obradoiro, si beavano della
consacratissima cattedrale e facevano la fila per la "compostela"
(documento che attesta l'avvenuto pellegrinaggio) io, a migliaia di
chilometri di distanza, raggiungevo la chiesa sconsacrata della
Madonna del Carmine che il comune di Piossasco (piccolo borgo alle
porte di Torino) ha deliziosamente ristrutturato per eventi di
varia natura. Davvero un gioiello.
Odifreddi
non ha potuto certamente raggiungere così da vicino un vero altare
dal quale parlare, e per di più di luce. Di sicuro non ha provato
l'emozione che ci ha accomunati in un luogo reso sacro dall'energia
del personaggio che da più di dieci anni ho fatto resuscitare
tirandolo fuori dal buio di una storia ingrata. Sto parlando di
«San» Alessandro Cruto, inventore della luce. Sì, di quel filamento
sottile come un capello in virtù del quale una piccola ampolla di
vetro e poi tante ampolle di vetro si sono illuminate nel lontano
1880 e il mondo ha conosciuto una nuova Era: l'era della luce
elettrica.
Sto parlando della storia (ahimé italiana!) affascinante di un uomo
senza mezzi, senza titoli, che con volontà e senso del sacrificio,
tra illusioni e disillusioni è entrato nella Storia superando il
collega americano Edison e illuminando qua e là tutto il mondo,
senza sapere che la Storia poi non sarebbe entrata in lui… ma
questa è un'altra storia. Quel che mi interessa sottolineare è la
figura del missionario di luce, e non uso un termine a caso. Stando
all'autobiografia dell'inventore che insieme a Leonardo è mio nume
tutelare, il verbo «consacrare» è da lui usato come da tutti coloro
che rispondono a una vocazione. È usato più di una volta, nel
significato laico riferito a una vita dedicata («perché non ti
consacri unicamente ad essa?», «perché noi uomini dotati di simile
dote [la volontà, NdR] non consacrare la nostra esistenza a simile
nobile meta?», «la mia esistenza sarà consacrata unicamente per
svellere i segreti della natura»).
Ditemi ora se c'è bisogno di San Giacomo o delle estasi mistiche di
Santa Caterina da Siena, ditemi se per entrare a pieno titolo nelle
vite dei santi c'è bisogno di un curriculum di tremendi mali
incurabili che affliggono e tormentano il corpo e di masochistici
osanna al dolore (pare che la natura si vendichi con quelli che
voglian far miracoli, cito il Maestro). Ditemi se la santità uguale
stigmate (e qui vi rimando al mio articolo su padre Pio, sempre più
di moda di questi tempi), o uguale rinuncia agli appetiti della
carne.
Il «mio» - nostro - inventore di luce quando ebbe superato la fase
in salita della sua missione si concedette anche il lusso
dell'amore, ebbe tre figli, insomma visse la vita di un essere
umano come tanti, secondo quel che gli dettò la sua natura. Non fu
schiavo di divieti e obblighi che scendono a mannaia dall'alto dei
cieli o meglio della terra, da chi tuona in nome di Qualcuno e del
sovrannaturale si fa scudo a fini che spesso poco hanno a che fare
con lo spirito. I libri dei santi sono invece pieni di storie di
donne che si privano della gioia del marito per correre
all'amplesso dell'Agnello come Hildegarda di Bingen, o di altri
inneggianti al dolore, analoghe a quelle di padre Pio, che
all'unisono con lui hanno in pratica detto «Son contento più che
mai nel soffrire… Sopra di me, o padre, si è confermato il furore
dell'altissimo…Iddio ha allontanato da me gli amici e conoscenti e
tutti mi prendono in abominazione. Mi trovo solo a lottare e a
piangere, sia di notte che di giorno… solo proprio solo a salire la
vetta del Calvario, privo di ogni celeste e di ogni umano conforto…
sembrami come se tutte le ossa mi si strappassero… sentomi…
immergermi da costui con una punta ben affilata e quasi gettando
fuoco, attraverso il cuore e le viscere, indi a viva forza lo
ritrae per poi di lì a poco ripetere l'operazione… il dolore
intanto che produce tale ferita, che da lui mi viene aperta, e la
soavità che in pari tempo mi fa sentire, sono così vivi che
adombrarli mi torna impossibile».
Raccogliendo questi «vademecum della santità» si potrebbe scrivere
un'enciclopedia del dolore, mettendo in ordine alfabetico le voci.
Butto lì un'idea: sotto, copiatori, mettetevi all'opera! Lascio a
voi anche l'avere a che fare con piaghe, fiamme, sofferenze,
tristezze, lacrime e demoni, bastoni e ordigni di ferro, violenze,
stigmate, peccati, penitenze e giaculatorie, inferni e purgatori,
castrazioni, masochismi, prigioni e visioni, negazioni, roghi,
morte, streghe, inganni e astuzie, superstizioni e prostrazioni,
castità, misteri, cilici e mortificazioni, prediche e fatiche,
profezie, divieti e obblighi, paralisi, malattie, tenebre,
cecità.
Noi invece, «P(d)aV» [decodifico: «pellegrini (d)a
Vinci» per chi entra solo ora nelle pagine di controcanto a un
pellegrinaggio «santo» solo a metà], dicevo, noi pellegrini della
terza via ci nutriamo di luce e fuggiamo il buio. E dunque il
nostro Alessandro Cruto ci sta bene come angelo custode, come faro
nell'oscurità. A volare ci insegna l'altro istruttore di viaggio,
Leonardo da Vinci. In pratica, da lui impariamo a guardare
dall'alto le umane miserie e queste «santità pelose», se mi è
concessa una parodia in odore di blasfemia all'immagine
manzoniana.
Sono sicura che anche Cruto, vero Lucifero (dal latino: portatore
di luce) lavorasse la domenica, come l'altro mio nume Leonardo che
si schierò contro chi per questo lo accusava di peccato grave,
(E questi son quelli che riprendon li pittori, li quali
studiano li giorni delle feste, nelle cose appartenenti alla vera
cognizione di tutte le figure, ch'hanno le opere di natura, e con
sollecitudine s'ingegnano d'acquistare la cognizione di quelle,
quanto a loro sia possibile. Ma tacciano tali reprensori, che
questo è il modo di conoscere l'Operatore di tante mirabili cose, e
quest'è il modo di amare un Tanto Inventore!... Farisei frati santi
vol dire).
Leonardo, altro uomo da santificare, lasciò scritto senza paura di
bestemmiare: Io farò miracoli. Eppure, di lui il pittore biografo
Vasari lasciò scritto «Filosofando delle cose naturali… fece ne
l'animo suo un concetto sì eretico, ch'e' non si accostava a
qualsivoglia religione…».
Il concetto è chiaro. A tirar le somme, propongo (e qui si facciano
di nuovo sotto i copiatori che stanno seduti a tavolino e non
aspettano altro… ma anche lo stesso Odifreddi, per esempio) un
calendario con bei santi laici.
E tocco un tema trattato, anche se marginalmente dai due
pellegrini, soprattutto perché sollecitati da molti degli
ascoltatori: quello relativo alla possibilità di fondare un'etica
laica. La domanda che ne consegue è: c'è bisogno di appartenere a
una religione per essere buoni, solidali, per amare se stessi e il
prossimo? Corollario: c'è bisogno della benedizione papale per
essere santi? E' possibile che l'etica sia solo limitata alla
religione? Be', sì, forse è proprio così. Forse noi non sappiamo
che farcene dell'etica stessa. Ma sarebbe bene discuterne lungo il
cammino.
Noi pellegrini della terza via ci aspettavamo dunque che venisse
sviluppato questo e altri temi profondi che agitano le dispute tra
religiosi e non, tra cattolici e non, tra religiosi di una fede e
dell'altra, e così via. Anziché sentir parlare di quello che
qualsiasi talk show avrebbe potuto ospitare.
E
lasciatemi fare una specie di riassunto (non in ordine crono-logico
e non esaustivo, per carità, ma ce n'è quanto basta) delle puntate
quotidiane dei due pellegrini sul cammino di radio tre. E cioè:
codice fiscale e documenti d'identità, regole giuridiche e regole
matemati-che, Mussolini e Hitler, la scienza della comunicazione e
l'otto per mille alla chiesa, la fisica quantistica e le nuove
metafisiche, le fonti arabe della Divina Commedia, l'infinito e i
numeri cardinali. E qui mi fer-mo, perché altrimenti vi annoio.
O mondo, com'è che non t'apri?, imprecava il da Vinci. Si
è aperto anziché la terra il cielo, e ha rovesciato qualche diluvio
sui due pellegrini nemici. E stando al racconto di Odifreddi, li ha
scaraventati, nella Galizia, in mezzo a un mare di m…, che il
matematico lamentava a ogni passo (scivoloso). Pellegrini bagnati e
per di più nella m… pellegrini fortunati? Staremo a vedere.
Ma la chicca è venuta alla fine, pur essendo stata già accennata
durante il cammino. È uscita dalla bocca e naturalmente dal
pensiero del credente direttore della radio Valzania (il
sostenitore del mistero della trinità che cita Ratzinger e tira
fuori la verità dalla tasca per dire secco che «l'esistenza di dio
non si discute nemmeno»). La metto tra virgolette, mentre dico che
è un concetto riferito a un giorno in cui la pioggia cessò il suo
flagello: «La mano, o l'ombrello, del Signore ci ha protetti…».
Frase banale che racchiude un po' tutto. Il credo e la sua
negazione. E noi pellegrini della terza via pensiamo alle notizie
più recenti del terremoto in Cina con la sua strage di morti, o del
meno recente tsunami nello Sri Lanka.
Come risponderebbe il credente Valzania? Che il Signore
distrattamente aveva chiuso l'ombrello? Che gli si era anchilosata
la mano? Che era occupato da un'altra parte o s'era distratto? O
che voleva fare un po' di piazza pulita perché siamo troppi e
cattivi? Naturalmente lasciamo da parte altri eventi di tipo più
umano come gli orrori delle guerre che continuano a massacrare il
mondo (bestialissima follia, così le definiva Leonardo),
tralasciamo le violenze d'ogni tipo che gettano fango e ignominia
sulla più superba delle creature del Creato.
Ma siamo sicuri che sia proprio così? Noi della terza via siamo
colpiti e atterrati dalla pena di vita, più che dalla pena di
morte. Gente strana. Gente che si addolora assai per la proibizione
del preservativo da parte del "santo" Giovanni Paolo II (e non
solo, naturalmente) in visita nel cuore dell'Africa dove decine di
milioni di persone sono sterminate dall'Aids e lasciano milioni di
orfani anch'essi segnati dalla stessa peste, senza famiglia, senza
futuro. Che dire di questa pena di vita senza colpe? Secondo la
santa e buona religione i mostri ce li dobbiamo tenere in casa e
nutrire fin che il Signore non decida di prenderseli, anche se ci
hanno stuprato e ucciso i nostri bambini o peggio l'abbiano fatto
in nome di dio (basta digitare «don Cantini» su qualsiasi motore di
ricerca e il diluvio vien giù da sé), anche se hanno ridotto in
schiavitù e violentato la propria figlia costringendola per più di
vent'anni al buio e alla mancanza d'aria di un bunker (basta
digitare «Amstetten» e il mostro prende forma).
Ma non è che chiudiamo gli occhi per non vedere? Non è che siamo
per la «negazione» del mostro e la pensiamo come Livia Turco a
proposito delle violenze da parte dei delinquenti extracomunitari
ai danni dei cittadini lasciati nella solitudine e nell'impotenza:
«La politica, una buona politica, dovrebbe prendere in carico le
paure degli italiani e dimostrarne l'infondatezza»?
Ma via, ho cominciato con «Il signore della luce» e non so come
sono arrivata ai «Mostri»! E' sull'esistenza di «io» che vorremmo
piuttosto discutere. Requisiamo tutte le chiese sconsacrate e
riconsacriamole con i nostri temi che i pellegrini schierati
giudicano profani. Sotto a chi può mandare avanti quest'iniziativa
e riesca a racimolare soldi laici: impresa assai ardua.
Uno degli argomenti di conversazione dei nostri colleghi pellegrini
è stato il tempo. Odifreddi con la sua scilinguagnola che lo allena
all'apnea si è premurato di dirci quanti tempi in realtà ci siano
(psicologico, meteorologico, temporale, lunare, stagionale, ecc).
Noi vediamo un tempo solo: quello di uscire dalla «o» di scienza
«o» fede e di entrare nella «e» che comprende gli opposti e li
supera nella terza via, appunto.
Questa è la nostra trinità: umana, tangibile, fatta di relativi e
non di assoluti, e anche di tutto ciò che non possiamo toccare né
dimostrare ma che ci serve per vivere: il sogno, la speranza, la
favola, l'utopia, il gioco. E già che ci siamo mettiamoci anche
l'amore, che resiste a qualsiasi teorema e dimostrazione,
nonostante le teorie dei chimici.
Cari pellegrini sul cammino di Compostela, voi siete arrivati, noi
invece continuiamo il nostro viaggio lungo le nostre proprietà
terriere (ce ne appropriamo attraverso la conoscenza), con tappe di
santuari a ogni passo e una santità che va a braccetto con il
piacere e la felicità. Ci state a fare lo stesso viaggio? Non serve
a espiare una colpa. Anzi, sarebbe un vero peccato non seguire le
nostre orme e scoprire sentieri nuovi. Perché noi se i sentieri non
ci sono, ce li creiamo e ci mettiamo i cartelli indicatori da soli,
a ogni scoperta, a ogni sussulto d'emozioni e di stupori.
Be', se non venite, peggio per voi. Noi si va.
I Portici della Gloria si sprecano. E quando piove o il
sole picchia, si sta pure riparati. Anziché versare lacrime
nell'abbracciare busti in pietra di santi come in questo caso
spagnolo nell'"abrazo al Apostol" Giacomo di Zebedeo, in ogni terra
noi abbracciamo gli alberi o cerchiamo e regaliamo quadrifogli
religiosamente conservati tra le pagine di un libro. Meglio i
propri, naturalmente. Questo vale solo per me e colleghi. Perché
siamo pure un po' narcisi e la modestia non ci pare una virtù.
Gentaccia…
Davincianamente vostra
Vittoria Haziel
Nelle foto.
In alto: Piossasco
(Torino). Pellegrini a un improvvisato «santuario della Luce» in
occasione della presentazione della biografia di Alessandro Cruto,
inventore della lampadina, scritta da Vittoria Haziel («Il signore
della luce»).
In basso: La
scrittrice mentre firma le copie seduta all'altare della chiesa
sconsacrata.