Autonomie di Trento e Bolzano, una storia da rileggere oggi / 4

«Tensioni crescenti, cambio ai vertici» – Di Mauro Marcantoni

Nel mese di novembre del 1956 si svolsero le elezioni regionali.  A condizionarne gli esiti, più ancora che le vicende locali, furono gli eventi internazionali.  Le elezioni si tennero a poche settimane di distanza dalla brutale repressione dell’insurrezione ungherese da parte dei carri armati sovietici. 

Un evento che, per l’inusitata violenza, suscitò una vasta riprovazione, destinata a colpire in particolare il PCI di Palmiro Togliatti, che aveva sostenuto la necessità dell’intervento sovietico in Ungheria.
Così, nelle elezioni regionali del novembre 1956, la DC raggiunse il suo massimo storico, conquistando in sede regionale ben 21 seggi.
La SVP ne ottenne 15, il PSI e il PSDI 6, il PCI 2, il PPTT 1, e il MSI 2.
 
Subito dopo le elezioni, il Presidente della Regione uscente, Tullio Odorizzi, attivò le consultazioni e in tempi relativamente rapidi annunciò l’accordo con la Volkspartei che dimostrò un atteggiamento conciliante e collaborativo. Dopotutto, proprio in quel periodo, il Governo nazionale doveva rispondere al Memorandum austriaco del precedente ottobre.
Risposta che giunse ai primi di febbraio 1957, ma che per i sudtirolesi si rivelò una cocente delusione: Roma respinse, con una nota, tutte le accuse di inadempimento, pur accettando di prendere in considerazione ulteriori misure a favore della minoranza tedesca.
Ma questa concessione era vincolata a una condizione: che le trattative avvenissero solo attraverso i normali canali diplomatici e non mediante la creazione di commissioni di esperti.
Il che comportava, di fatto, che dalle trattative venissero esclusi i sudtirolesi.
 
Nel frattempo, agli inizi del 1957, un’operazione delle forze di polizia aveva portato alla cattura di tutti gli esecutori degli attentati dei mesi precedenti.
Si trattava di una piccola organizzazione, composta da meno di venti persone, tutte reo confesse. Dagli interrogatori emerse chiaramente la responsabilità del Bergisel-Bund, un’organizzazione che aveva come scopo la riannessione del Sudtirolo all’Austria.
Ma tra gli arrestati figurava anche Friedl Volgger, personalità di spicco del mondo sudtirolese, ex deputato, vicesegretario della Volkspartei e direttore del «Dolomiten».
La cosa fece grande scalpore. Nelle settimane successive all’arresto, il clima si fece incandescente.
La Volkspartei reagì aspramente, mentre a Innsbruck il Sottosegretario agli Esteri Franz Gschnitzer evocò nuovamente l’ipotesi di plebiscito per l’Alto Adige.
 
Ai primi di marzo, venne emanata la tanto attesa sentenza della Corte costituzionale sulla questione dell’articolo 14 dello Statuto che riguardava il trasferimento della gestione amministrativa delle competenze legislative dalla Regione alle Province: trasferimento fortemente voluto dalla SVP fin dai primi anni Cinquanta.
Fu una sentenza che costituì un’ulteriore cocente delusione per i sudtirolesi. La Corte, infatti, dette un’interpretazione assai restrittiva circa la portata di quell’articolo, dunque in piena discordanza con l’interpretazione che ne dava la Volkspartei, con il risultato di radicalizzare ancora di più l’atteggiamento del partito di lingua tedesca.
Con sentenza del 9 marzo 1957, infatti, dichiarò l’illegittimità costituzionale della legge, dando ragione a Odorizzi e alla classe politica trentina.
Per le aspirazioni sudtirolesi fu un colpo durissimo.
 
A fine maggio si svolse il X Congresso della Volkspartei.
La vecchia classe dirigente del partito di lingua tedesca, di estrazione cattolico-liberale moderata e costituita in larga parte da Dableiber, con un’azione a sorpresa, venne rimossa e sostituita dagli esponenti della corrente più intransigente e radicale, costituita per lo più da ex optanti.
Tema dominante del Congresso fu il categorico rifiuto di dipendere dalla Regione e la rivendicazione dell’autonomia integrale per il Sudtirolo.
La nuova classe dirigente della SVP, guidata da Silvius Magnago, si apprestava, dunque, a guardare più a Innsbruck e a Vienna che a Roma.
 
Mauro Marcantoni
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