L’elezione di Donald Trump e la profezia di Mario Draghi

Nel suo rapporto sullo stato dell’UE Draghi aveva denunciato la dipendenza dagli USA. E, con l’elezione di Trump, è iniziata quella che aveva definito «lunga agonia»

Come si ricorderà, Ursula von der Leyen aveva incaricato Mario Draghi di redigere un rapporto sullo stato dell’Unione Europea. E Draghi l’aveva scritto e letto alla Commissione Europea, generando un notevole scalpore, perché aveva annunciato in buona sostanza che l’Europa avrebbe presto iniziato una «lunga agonia».
Sono passate solo poche settimane da quando Mario Draghi presentò il suo pragmatico rapporto sulla competitività europea e, con ogni probabilità, sapeva che un eventuale trionfo di Donald Trump avrebbe colto l’Unione europea nel suo momento di massima debolezza.

Due anni e mezzo di guerra alle frontiere non sono bastati ai governi del continente ad assemblare un embrione credibile di difesa comune.

Quasi duecento miliardi di euro impegnati per l’Ucraina che non sono serviti molto.
Quanto alla crescita, da tempo ormai viaggia poco sopra lo zero soprattutto nelle sue economie più importanti.
Nessuna grande impresa europea è prossima a posizioni di leadership su alcuna delle nuove tecnologie determinanti del nostro tempo.
E sulle migrazioni finora non si è formato, nella sostanza, alcun approccio comune fra i ventisette Paesi della UE.

Insomma, senza l’America l’Unione Europea è ben lontana dal poter assicurare la propria difesa.
E nei confronti dell’economia americana l’anno scorso ha accumulato un surplus in 157 miliardi di euro nello scambio di beni con il surplus italiano che da solo rappresenta circa 40 miliardi di euro.
Senza il ruolo degli Stati Uniti, la Russia adesso starebbe già esercitando la sua pressione sui Paesi baltici o sulla Polonia, mentre la crescita del continente sarebbe ancora minore.

È su questo sfondo che alla Casa Bianca sta tornando Trump con le sue promesse: dazi fra il 10% e il 20% anche nei confronti dell’export europeo e una riluttanza ancora più marcata di prima a garantire la sicurezza del Continente.

Ora, dopo il voto americano, tutto è di nuovo in gioco. Da stamattina la posizione di rendita dell’Europa nello scacchiere globale è decisamente tramontata, ammesso che non lo fosse già da tempo senza che noi lo avessimo realmente ammesso.
Già poco dopo la notizia di Trump vincente il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato al cancelliere tedesco Olaf Scholz alla ricerca di un’Europa più unita, più forte e più sovrana in questo nuovo contesto.
Nessuno dei due ha pensato di coinvolgere anche l’Italia, il paese politicamente più stabile e con un’economia vivace.

I leader di Francia e Germania sono entrambi anatre zoppe, minati nella credibilità dalla rivolta degli elettori nei loro Paesi.
Nessuno dei due è certo di trovarsi ancora al potere fra qualche mese. I sistemi politici di Francia e Germania sono oggi profondamente in crisi, percorsi da un’instabilità che non si vedeva da decenni.
Inevitabile che avremo comunque presto elezioni in Germania, mentre nel 2025 si potrebbe tornare a votare in Francia sia per le politiche che per l’Eliseo, qualora Macron decidesse di sbloccare l’impasse dimettendosi.

L’unico modo che ha l’Unione europea di uscire dall’angolo è seguire i propri istinti migliori. Lo ha fatto più volte. Dopo la caduta del Muro di Berlino, ha immaginato e realizzato l’euro.
Con la crisi finanziaria, è riuscita a far crescere una banca centrale e un’unione bancaria degne dei loro nomi.
Con la pandemia, ha lanciato il primo eurobond con il Recovery Plan da 800 miliardi di euro.
Con il ritorno di Trump, se l’Unione europea vuole avere un futuro politico, dovrà affrontare un’altra svolta entro il prossimo anno.

Ora è necessaria un’integrazione reale nella difesa e nei nostri sistemi industriali. Un nuovo eurobond per un’integrazione fisica e tecnologica dei sistemi di energia decarbonizzata; un mercato europeo dei capitali privati, per far crescere grandi imprese continentali che possano competere ad armi pari nel mondo.
La tattica di Trump, lo abbiamo visto, è dividi et impera: trattare con ogni singolo stato, ognuno dei quali sarebbe ben desideroso di mendicare un po’ di clemenza dal nuovo presidente USA.

Ora stiamo per toccare con mano la «lenta agonia» annunciata da Draghi, il quale però ci ha anche ricordato che nei momenti peggiori, quando sembrava spacciata, l’Europa ha saputo riprendersi.

Insomma, Tramp ha suonato la sveglia ed è giunto il momento di svegliarsi e seguire la rotta tracciata da Draghi.

GdM

A questo link il rapporto di Draghi per esteso.