Grande Guerra. – 90 anni fa, la disfatta di Caporetto/ 2

Caporetto, 24 ottobre 1917. La battaglia

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Personaggi e interpreti nelle parti in causa


<<<<<<font size="1"><</font><</font><<Imperi Centrali<<<</font><<font size="1"><</font><<<</font>

Regno d'Italia

Comandante in Capo:
Arciduca<</font>Eugenio (due Armate)

Comandante in Capo: Luigi Cadorna
(6 armate, impegnate solo la 2ª e la 3ª)


Comandante XIV<</font>Armata<</font>Tedesca:Von.Below<< Comandante Seconda<</font>Armata:<</font>Capello<</font>
I Corpo d'Armata: von Krauss - Tre divisioni austriache (più la Jäger tedesca) IV Corpo d'Armata: Cavaciocchi - Tre divisioni (più altri reparti)
III Corpo d'Armata: von Stein - Tre divisioni tedesche (più una austriaca) XXVII Corpo d'Armata: Badoglio - Quattro Divisioni (Tre sulla sinistra dell'Isonzo)
LI Corpo d'Armata: von Berrer - Due divisioni tedesche XIV Corpo d'Armata: Caviglia - Sette divisioni (più due)
XV Corpo d'Armata: von Scotti - Una divisione tedesca e una austriaca VII Corpo d'Armata (di riserva): Bongiovanni - Due divisioni



La battaglia si svolge tra le 5 divisioni di von Below e le 3 di Cavaciocchi,
più una di Badoglio e due di riserva di Bongiovanni. Caviglia può solo manovrare per sganciarsi prima, e per rallentare il nemico, poi.

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Ore 02.00 del 24 ottobre 1917.
Von Below dà il via all'attacco dei Corpi d'Armata di von Krauss e von Stein.

La notte tra il 23 e il 24 ottobre 1917, nessuno aveva chiuso occhio nell'esercito austro-tedesco schierato dal Rombon alla Bainsizza. In un mese i Tedeschi avevano messo in piedi un piano del tutto innovativo e forse rivoluzionario, tanto vero che gli Austriaci erano fortemente scettici. Dopo tre anni per cui le battaglie si combattevano sulle montagne, improvvisamente arrivavano i Tedeschi a volerle aggirare. In più, c'era la novità del gas…
Le artiglierie erano state approntate da poco sul fronte nord dell'Isonzo, ed erano tutte puntate sulle batterie italiane. Ogni cannone avrebbe dovuto sparare i primi 1.000 colpi con proiettili carichi di Fosgene, il gas micidiale fornito dai tedeschi, per mettere a tacere l'artiglieria nemica.
Alle 2 di mattina del 24, nessuno se la sentiva di sparare per primo, e trascorsero alcuni minuti prima che partisse il primo colpo di cannone. Ma dopo il primo, seguirono tutti. Una micidiale cascata di fuoco e di gas si abbatté nelle caverne dei nostri artiglieri. I serventi austriaci caricavano e sparavano con la maschera indossata, per cui dovevano continuamente essere rilevati da soldati freschi. Gli italiani risposero al fuoco quasi immediatamente, come se stessero aspettandoli. I nostri cannoni continuavano a sparare, tanto vero che gli austro-tedeschi si domandarono se il gas fosse davvero così letale come dicevano. Ma dopo un'ora, il fuoco italiano cessò. Sia dalla prima linea, che dalla seconda e infine dalla terza…
Senza più il pericolo delle cannonate, poco prima delle 5 di mattina, le compagnie slesiane specializzate dettero l'allarme «gas». Aveva cessato di piovere e la nebbia copriva e scopriva a tratti la vallata nella conca di Plezzo. D'un tratto il sibilo dei gas venefici convinse anche i più riottosi ad indossare la maschera. Mille tubi inondarono le rive dell'Isonzo di Fosgene, che uccide in qualche secondo. Loro non lo potevano ancora sapere, ma quel gas uccise in un istante 6.000 del nostri ragazzi. Avevano le maschere, ma non servivano a una cicca. Un mese dopo il Regio Esercito avrebbe ordinato 2 milioni di maschere agli Inglesi. Con il senno di poi.
Il silenzio irreale dominò per qualche tempo, finché i comandi non diedero il via alle divisioni del Corpo von Krauss che attaccarono dal monte Rombon a Plezzo e al Monte Ursik. Gli Italiani sulle montagne tennero duro, ma al centro non c'erano più soldati. Stranamente, pensarono i comandi italiani sul posto, i tedeschi non attaccavano le montagne. Scendevano lungo il fondovalle.
Era talmente strano, che quando la nebbia si diradava, dall'alto i nostri comandi credevano di vedere nostre riserve in manovra o al massimo dei prigionieri nemici avviati verso le retrovie.

Nelle foto qui sopra, von Krauss, von Krafft e Caviglia.


Alba del 24 ottobre 1917.
La reazione dei generali Cavaciocchi, Badoglio e Caviglia.

In realtà, Von Krauss aveva sfondato proprio lungo l'Isonzo, lasciando il nemico arroccato inutilmente sulle montagne. Con la tecnica dell'assalto tattico manovrato, i tedeschi continuavano a fare prigionieri nostri soldati, soprattutto perché questi non si rendevano conto che si trattava di nemici: era "impossibile", dato che le montagne erano ancora presidiate. Vi furono grandi episodi di eroismo da parte italiana, quasi tutti conclusi con la morte o con la caduta nelle mani nemiche per esaurimento di munizioni.
Ma in sostanza la strada viene lasciata libera, anche perché l'assoluta mancanza di notizie dalla prima linea sconcerta tutti i nostri comandi. Sicché, quando l'Alperkorps e i battaglioni Slesiani si muovono, vengono solo rallentati dai pochi fucili che incontrano. Altro che difesa manovrata come diceva Capello! Quando i Gruppi di Von Stein e von Krauss si ricongiungono a Caporetto, tutto lo schieramento del IV Corpo del generale Cavaciocchi si sfascia.
(Nella foto qui sotto, unmo dei nostri ragazzi ucciso dal gas)
Più in giù, sulla destra dell'Isonzo, si svolge il più potente attacco di quella giornata. In quel tratto, secondo il volere di Cadorna, avrebbero dovuto trovarsi tre divisioni. Ma l'artiglieria tace, e vi si trovano solo dei reparti disorientati che non si rendono conto di cosa stia accadendo. Ogni resistenza è dunque impostata a discrezione di ogni singolo comandante. Il battaglione alpini Val D'Adige resiste strenuamente, senza neanche sapere se ne valesse la pena, e per tutta la giornata tengono a bada il nemico che poi ne riconoscerà lo strenuo valore.
Badoglio, quella notte si trovava al comando di Capello. Era sulla via del ritorno quando lo avvisarono che un fitto bombardamento era in corso sul suo comando operativo, poi non ebbe più notizie. Privo di testa, il suo Corpo d'Armata non seppe più cosa fare e neanche il buonsenso riuscì ad avere il sopravvento sulla logica militare di allora. Basti pensare che dai 700 cannoni a disposizione di Badoglio, non partì neanche un colpo per la sola ragione che per sparare ci voleva l'ordine del Comandante. Fu così che perdemmo 700 bocche da fuoco senza colpo tirare e, ironia della sorte, a non dare l'ordine fu il comandante d'artiglieria dal cognome che era tutto un programma: colonnello Cannoniere…
Caviglia, che secondo Capello avrebbe dovuto nell'eventualità «piombare come un falco sul nemico», rischiava l'accerchiamento. Di sua iniziativa invece raccoglie gli uomini e manovra per riportarli sulla sponda destra dell'Isonzo. La Bainsizza che lui stesso aveva conquistato, doveva essere lasciata al nemico. Il generale riesce a muovere i suoi uomini con ordine e professionalità, raccogliendo perfino intere divisioni sbandate da altri Corpi che incontrava lungo la strada. Caviglia si rende conto che se la Seconda Armata cede, si sfonda l'ala sinistra del Regio Esercito. Sarebbe la fine, la sconfitta. Ma, secondo la sua tecnica, non si tratta di resistere a tutti i costi, ma solo di rallentare l'avanzata del nemico.
Il comando della Seconda Armata era a momenti nelle mani del generale Capello, a momenti del generale Montuori, suo secondo, perché l'attacco di nefrite metteva continuamente fuori combattimento il Capo titolare. Come si può immaginare dunque, ordini venivano diramati in alternanza a contrordini. Insomma, ognuno doveva pensare di testa sua senza contare in un disegno strategico


Comando Supremo del Regio Esercito Italiano, 24 ottobre 1917.

Per tutta la giornata dell'attacco a Caporetto, al comando Supremo nessuno sa nulla sulla realtà della situazione. Il bollettino di guerra delle ore 13 accenna ad un «violento bombardamento nella zona di Caporetto» nel quale si è fatto uso del gas, ma «le posizioni tengono».
Poco dopo, parlando con Capello, Cadorna viene a sapere che «truppe nemiche sarebbero in marcia su Caporetto». Il capo non perde tempo e si reca con i più stretti collaboratori al comando della Seconda Armata. Capello, che sta nuovamente male, riesce a convincere Cadorna che la situazione è sotto controllo. Alle ore 18 Cadorna è nuovamente al suo Comando di Udine e studia i plastici della zona per vedere «come sfruttare l'attacco nemico e volgerlo a suo favore»…

(Nella foto qui sotto, le mazze ferrate usate dai Tedeschi per finire i soldati storditi dal gas)

In quella stessa giornata, sia il Re che Badoglio (!) passano il tempo a cercare di avere notizie della situazione. Non avendone, il re lascia la zona. Badoglio, invece, ad un certo punto incontra un suo colonnello ferito che lo informa tout-cours che il suo Corpo d'Armata è allo sbando…
Il generale sale sulla sua auto, che però viene colpita da una granata. Il suo autista fugge e lui vaga come un fantasma per qualche ora. Alle 16 finalmente trova un telefono e si mette in contatto con il Comando della Seconda Armata. Prova a dare disposizione per il suo Corpo d'Armata, ma al comando sanno che Badoglio è ormai tagliato fuori e trasferiscono le sue divisioni al comando del generale Caviglia.In quel pomeriggio, vari drammi si consumano. Il generale Villani (divisione alle dipendenze di Badoglio) si toglie la vita dopo aver fatto il possibile per i suoi. Alle nostre truppe rimaste sul glorioso Monte Nero non resta che arrendersi dopo gloriosi combattimenti. Le truppe tedesche prendono la strada per Cividale, direzione Udine. Il panico si impadronisce dei Comandi, i reparti di riserva, privi di direttive, si sfaldano.
Capello, alle 18, si rende conto della situazione e ordina finalmente a Bongiovanni di contrattaccare. Il generale al comando delle riserve potrebbe anche farcela perché il nemico, in piena avanzata vincente, non ha attivato le proprie ali di appoggio ed è del tutto privo di rincalzi. Ma le truppe del VII Corpo sono disseminate un po' dappertutto e per Bongiovanni (privo d'iniziativa) è praticamente impossibile muoverle per tempo. Più a Nord il generale Arrighi, accerchiato, abbandona le posizioni, aprendo al nemico la strada del passo d'Uccea. La Carnia è in pericolo.
Cala la sera che al Comando Supremo manca del tutto una visione d'insieme. In effetti, la situazione è seria, ma non tragica. Il nemico è avanzato senza riuscire a portare con sé riserve, rifornimenti, comunicazioni, artiglierie. Ma nessuno ha idea di come fare per conoscere la situazione e tanto meno quindi porvi rimedio.
Su una cosa però non perdono la testa. La Terza Armata (Duca D'Aosta) va fatta ritirare in tutta «tranquillità», perché essa sola rappresenta la possibilità di salvare l'esercito. Tutta la Seconda quindi dovrà muoversi e sacrificarsi per consentire al Duca D'Aosta di portare la propria armata al di là del Tagliamento.
L'indomani, Cadorna comincia a pensare come fare per manovrare 2 milioni di uomini. Capello si deve fare nuovamente ricoverare all'ospedale di Bologna, ma prima passa da Cadorna.
«L'ala dell'armata è sfondata.» gli annuncia. In concreto gli dice pragmaticamente che va organizzata una ritirata fino al Tagliamento. Ma Cadorna pensa già al Piave.
Dà disposizioni affinché venga predisposta la ritirata. Prima di diramarla, telegrafa a Roma.
«Ho disposto, senza emanarlo, il ripiegamento dell'intera armata dietro al Tagliamento.»
La sera di quello stesso 25 ottobre, il governo Boselli, sotto le ondate delle notizie dal fronte, si dimette. Il Re, la cui presenza sarebbe stata preziosa al fronte in quei momenti, deve correre a Roma per incaricare un nuovo capo del governo.

GdM