Buoni e cattivi «Private Equity». Chi sono?

L'incontro si è svolto oggi alle 19 nell'aula Kessler di Sociologia, davanti ad un numeroso pubblico



L'incontro dal titolo «Leverage buyout e private equità: un bene o un male per le aziende italiane?» ha fatto emergere diverse valutazioni su questo tipo di operazioni.
Alcune positive, altre molto negative, altre ancora che tendono a distinguere tra private equity positivi e private equity negativi.

«L'argomento di oggi è quanto mai di attualità - ha esordito Lorenzo Stanca coordinatore dell'incontro e presidente di GEI - Gruppo Economisti d'Impresa, che per il quarto anno organizza un evento all'interno del Festival dell'Economia. - Il focus della nostra discussione sono i "leverage buyout", operazioni che utilizzano in modo consistente la leva finanziaria e dunque meccanismi d'indebitamento: anche nel nostro paese i fondi di questo tipo sono finiti ultimamente sotto una luce di gran lunga meno positiva di quanto fossero qualche anno fa.»

A Giampio Bracchi (presidente di AIFI, Associazione Italiana di private equity e venture capital che ha anch'essa collaborato all'organizzazione di questo appuntamento) è andato il compito di inquadrare la questione dei private equity, ovvero di attività finanziarie mediante le quali un investitore istituzionale rileva quote di una società target sia acquisendo azioni esistenti da terzi sia sottoscrivendo azioni di nuova emissione apportando nuovi capitali.

Bracchi delinea i contorni di questo mondo, a suo parere molto differenziato: gli Stati Uniti inizialmente sede dei grandi fondi, il mercato asiatico (che in questo come in altri campi è in forte crescita) e l'Italia (che in questo come in altri campi si colloca a un livello inferiore rispetto al resto d'Europa).
Un livello peraltro ancora diminuito negli ultimi mesi se, come si ricava dai dati presentati, il mercato italiano del private equity nel 2009 è tornato ai livelli del 2003.

«Ma le nostre aziende hanno bisogno di capitali - conclude Bracchi - se le imprese li hanno è meglio. Ma se gli imprenditori sono ambiziosi e non hanno capitali possono ricorrere ad operazioni di private equità.»

Parere molto diverso quello di Gianfilippo Cuneo di Synergo, un'altra azienda che opera nel campo dei private equity.
«Non sono in disaccordo sul fatto che il private equity sia virtuoso per le imprese di piccole e medie dimensioni, ma il mondo del leverage buyout è morto.»
Secondo Cuneo, infatti, il leverage buyout che fa ricorso in modo massiccio alla leva finanziaria starebbe conoscendo una decrescita fortissima nei rendimenti.

Una visione più ottimista è quella presentata da Fabio Satin presidente e socio fondatore di Private Equity Partners SGR S.p.A. e da Marco De Benedetti Managing Director di Carlyle Group Italia.

Il punto di vista del cliente di private equity è fornito da Matteo Bruno Lunelli (vice presidente delle Cantine Ferrari).
«Nelle fasi di start up di un'azienda - ha detto Lunelli - il private equity sono a volte l'unico capitale su cui si può contare. Se non esistessero non esisterebbero neanche aziende come Microsoft e Google. C'è un private equity buono che è quello che riesce a creare imprenditorialità e ce n'è uno cattivo che è quello che vuole fare solo finanza.»

«È vero, c'è fondo e fondo - conclude Eugenio Morpugo di Fineurop Soditic - e saranno sempre più importanti i fattori di differenziazione, come i caratteri geografici, l'imprenditorialità e la prossimità territoriale.»


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