Il vescovo Lauro in Cattedrale, per l’ultima volta a porte chiuse

«Stiamo dimenticando l’enorme dolore provocato dalla pandemia. No al parlare violento e conflittuale e alla logica della competizione. C'è futuro solo al plurale»

S. Messa in cattedrale presieduta dall’arcivescovo Lauro, nell’ultima delle undici domeniche a porte chiuse dall’inizio dell’emergenza Coronavirus.
Da domani si torna a celebrare l’Eucarestia alla presenza del popolo.
«Sarà comunque una ripresa parziale e graduale – sottolinea in apertura l’Arcivescovo, – nel pieno rispetto delle regole: cerchiamo di viverle come vincoli d’amore per la tutela della salute dei nostri fratelli.
«È totalmente estraneo all’Eucarestia – aggiunge – una fruizione individuale e personale, dimenticando gli altri.»
Quindi il pensiero a bambini e ragazzi «che in questo momento di ripartenza – secondo don Lauro – rischiano di restare invisibili e ignorati, anche nelle nostre comunità ecclesiali».
 
Nell’omelia monsignor Tisi commenta il Vangelo di Giovanni, in cui Gesù promette il dono dello Spirito della verità, «che ci porta – spiega – al nucleo essenziale attorno a cui va a costruirsi la nostra vita: essere proiettati fuori di noi alla ricerca dell’altro.
«A legare l’inizio e la fine della vita è l’amore. Dio è amore, l’incontro con Lui esige che ci giochiamo la partita della libertà.»
 
«Il grande pericolo in questo momento impegnativo per l’intera storia umana è di muoverci prescindendo dall’amore, rinunciando all’ebbrezza della responsabilità e della libertà.
«Spero di sbagliarmi – ammonisce l’Arcivescovo, – ma più di un segnale rivela che si sta già dimenticando, anche nell’ambito ecclesiale, l’enorme dolore che solo in Italia ha prodotto decine di migliaia di morti e fatto piombare tante famiglie in grave sofferenza.
«Sta avanzando sempre più un parlare violento e conflittuale, ben lontano da quel procedere con dolcezza e rispetto indicato dalla prima Lettera di Pietro.»
 
Infine, l’invito a pensare percorsi innovativi senza ricadere in «un’organizzazione sociale ed economica pensata sulla logica della competizione e delle zampate vincenti a scapito dell’altro», destinata a produrre solo tensione e disuguaglianza.
«La lezione di questi mesi – conclude Tisi – non passi inosservata: non avremo futuro se non lo vivremo al plurale.»