Il MUSE: la biodiversità nascosta tra i meleti della Val di Non

La riduzione dei fitofarmaci funziona: nei frutteti monitorati sono stati contattati più di 10mila uccelli appartenenti a oltre 80 specie diverse

Foto Paolo Pedrini.

Le coltivazioni specializzate sono ambienti con una loro naturalità e, se opportunamente gestite, possono contribuire a supportare la varietà naturale e la biodiversità di un territorio.
È il messaggio lanciato in vista della Giornata mondiale della biodiversità dagli operatori del Progetto «Agricoltura, Paesaggio e Natura in dialogo: per una produzione orientata alla sostenibilità della frutticoltura della Val di Non», un’iniziativa di ricerca pluriennale che coinvolge l’Associazione dei Produttori Ortofrutticoli Trentini (APOT), il MUSE - Museo delle Scienze di Trento e l’Università degli Studi di Milano.
L’obiettivo è ambizioso: approfondire la conoscenza delle sinergie naturali che si creano nelle zone di coltivazione e che interessano le piante, il suolo e la fauna generando un nuovo prezioso equilibrio.
Le indicazioni che stanno emergendo sono utili per definire nel tempo ulteriori criteri per una produzione sempre più orientata alla sostenibilità.
 
Un percorso in questa direzione, peraltro, è stato tracciato da tempo. Da anni, infatti, APOT e i diversi Consorzi locali, tra cui Melinda, hanno adottato un disciplinare di produzione integrata e hanno agito con il supporto tecnico-scientifico della Fondazione Edmund Mach per sperimentare nuove varietà e monitorare la filiera mettendo in campo pratiche agricole responsabili.
Un impegno verso un territorio di grande rilevanza paesaggistica e caratterizzato dalla presenza di una coltura prevalente – quella della mela – e da una significativa varietà ambientale che comprende boschi misti, prati, forre e corsi d’acqua.
È in questo contesto che il progetto di ricerca ha potuto svilupparsi con l’obiettivo di ampliare l’attenzione verso le comunità biologiche che vivono nei meleti e il ruolo di questi ultimi nella valle.
 
A livello europeo, ricorda il MUSE, si stima che circa il 50% delle specie e 63 diversi habitat dipendano dall’agricoltura.
La coesistenza tra i diversi organismi viventi e le colture, in particolare, diventa decisiva per la fornitura di servizi ecosistemici fondamentali che interessano molti aspetti tra cui la fertilità del suolo, il ciclo dei nutrienti, l’impollinazione, la regolazione climatica e l’equilibrio idrico.
Per questa ragione, gli stessi organismi viventi, animali o vegetali, possono essere studiati in veste di indicatori biologici, ovvero come parametri di valutazione della qualità ambientale di un ecosistema e dei cambiamenti in atto.
 

 
È stato così che negli anni passati alcuni ricercatori hanno potuto condurre una valutazione a livello continentale evidenziando come tra il 1990 e il 2021 l’indice calcolato su 168 specie comuni avesse segnato in Europa un calo complessivo del 12%.
Particolarmente allarmante il declino degli uccelli la cui presenza, negli ambienti agricoli, evidenziava un calo del 36%.
Un dato che, pur con qualche differenza, spiegano i promotori del progetto, troverebbe sostanziale conferma anche in Italia.
Ma cosa accade nella provincia di Trento, dove i campi agricoli coprono ben il 6% della superficie del territorio e le viti e i meli sono protagonisti?
È presto per una valutazione definitiva, ma i dati fin qui emersi, notano i ricercatori, fanno sperare che sia possibile trovare alcuni metodi per conciliare produzione e biodiversità.

«Nella nostra indagine, condotta in stretta collaborazione con l’Università Statale di Milano su 71 unità di campionamento distribuite nella Valle in differenti tipologie di frutteto gestiti dai soci di APOT in Val di Non, abbiamo rilevato una notevole ricchezza ornitica, – spiega Paolo Pedrini, conservatore responsabile dell’Ambito Biologia della Conservazione del MUSE e coordinatore scientifico, con il prof. Mattia Brambilla dell’Università Statale di Milano, del Progetto. – In totale sono stati contattati più di 10mila esemplari appartenenti a oltre 80 specie diverse.
«È la prova che anche i frutteti possono costituire un ambiente idoneo alla presenza di un elevato numero di specie diverse.
Emblematico il caso dei turdidi (merlo e tordo bottaccio) e dei fringillidi, un tempo esclusivi degli ambienti forestali, e oggi risultati presenti con alte densità nei coltivi a melo della Valle.»
 
Il Progetto, che nel corso del 2023 si era concentrato anche sul monitoraggio degli insetti impollinatori, prosegue quest’anno con l’installazione nei frutteti di oltre 200 casette per favorire la presenza degli uccelli insettivori che nidificano in cavità (quali cince, torcicollo e codirossi).
La sperimentazione, unita al controllo della riproduzione delle altre specie nidificanti nei meleti, permetterà la verifica di alcuni aspetti riproduttivi e porterà nuovi importanti elementi per la valutazione di altri elementi rilevanti nell’ecosistema.
L’obiettivo finale resta la definizione di buone pratiche agricole capaci di garantire la tutela della biodiversità in uno scenario globale notoriamente problematico.
 
«Gli effetti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti e la tutela della biodiversità è solo una delle tante iniziative sulle quali il settore agricolo deve lavorare con impegno, – dichiara Ernesto Seppi, presidente di APOT. – Da tempo i nostri soci adottano strategie di mitigazione che includono, ad esempio, la tutela di porzioni di territorio ad alto valore paesaggistico con ricadute positive sulla varietà delle specie animali presenti nei frutteti.
«I dati fin qui emersi nell’ambito del nostro progetto sono incoraggianti perché rafforzano l’idea che l’agricoltura sostenibile possa offrire un contributo significativo alla conservazione della ricchezza naturale integrandosi con l’ecosistema che la ospita.»