Storie di donne, letteratura di genere/ 369 – Di Luciana Grillo
Gigliola Fragnito, «La Sanseverino – Giochi erotici e congiure nell’Italia della Controriforma» – Una biografia che ricostruisce rigorosamentre un'epoca
Titolo: La Sanseverino. Giochi erotici e congiure nell'Italia
della Controriforma
Autrice: Gigliola Fragnito
Editore: Il Mulino, 2020
Pagine: 216, illustrato, Rilegato
Prezzo di copertina: € 24
Una delle principali protagoniste della Charteuse de Parme, Barbara Sanseverino, «discendente da una delle più illustri famiglie del regno di Napoli, che aveva incantato i contemporanei con la sua bellezza, il suo brio, la sua gioia di vivere e la sua genialità nell’organizzare feste memorabili», è raccontata da Gigliola Fragnito con attenzione garbata e interesse storico.
È stata una madre tenera dei suoi bambini, una figlia premurosa, una donna tenace che spesso ha adottato comportamenti virili, soprattutto nelle «sfibranti azioni giudiziarie contro marito, figli e nipoti», una instancabile, eccentrica e spregiudicata donna del suo tempo.
Fragnito mette in evidenza alcuni aspetti della società rinascimentale che ci appaiono straordinariamente attuali: parla della sottomissione delle mogli e del potere dei mariti, pronti a punirle per motivi anche futili e ci offre l’esempio di Giulia, sorella di Barbara, pugnalata e uccisa dal marito Giovanni Battista Borromeo che, grazie anche alla parentela con il cardinale Carlo, riuscì ad evitare il patibolo.
Anche la figlia di Giulia fu vittima di violenza, il marito, non a caso nipote di un altro cardinale, tentò più volte di avvelenarla, e Alfonso II d’Este, signore di Ferrara, ordinò che l’amante della sorella Lucrezia fosse strozzato.
Ma torniamo a Barbara, vivace tessitrice di relazioni che tornavano utili al marito Giberto, il quale, forse proprio per questo motivo, chiuse un occhio sulle avventure extraconiugali della giovane sposa, dotata di una notevole propensione per la vita mondana, in contrasto con le tante donne che vivevano praticamente segregate in casa, protette e tenute lontane dai pericoli di una società corrotta.
Barbara ama soprattutto le feste di carnevale, per cui spesso si trattiene a Ferrara dove i balli, gli spettacoli teatrali e i banchetti duravano per un lungo periodo, come è testimoniato anche da Ariosto e Tasso.
Inevitabilmente si diffondevano chiacchiere e pettegolezzi, si confrontavano i fiorentini, severi e parsimoniosi, con i ferraresi che «nell’otio s’arruginiscono… presumono d’esser molto superiori ai Gentiluomini delle città mercantili… son sempre indebitati fino agli occhi», si fustigavano i comportamenti dei nobili, insensibili ai richiami delle autorità ecclesiastiche.
La lotta di Barbara contro i Farnese e la perdita del suo paradiso privato, sempre difeso strenuamente - la proprietà di Colorno, di cui diventò usufruttuaria dopo la morte della madre Lavinia - rappresentano il momento buio nella vita di questa donna: «perdente fu la sua sfida alle convenzioni sociali, condotta con animo virile nel corso della sua esistenza, disprezzando ogni conformismo e adottando comportamenti che non si addicevano al suo sesso».
Perdente, ma comunque vittoriosa, questa sessantenne ancora bella che «il 19 maggio 1612 salì per prima sul patibolo allestito nella Piazza Grande di Parma, seguita dal marito, dal figlio, dal nipote e da altri signori…».
E così, davanti a una folla curiosa e volgare, si chiude un’epoca e una nobildonna, decapitata con un attrezzo usato per gli animali – il mannarino – viene oltraggiata perché il carnefice, obbedendo alle richieste del pubblico, alzò «suso la camisa» e non contento, «le assestò delle sculazzate sulle natiche».
Il volume è completato da un ricco apparato iconografico, da note, da tavole genealogiche e da un lungo indice dei nomi.
Dunque, non siamo di fronte a una semplice biografia, ma alla ricostruzione rigorosa di un’epoca che consideriamo superficialmente rinascimentale, ma che presenta aspetti ancora degni di popoli barbari.
Luciana Grillo – [email protected]
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