Mattarella bis perché? – Di Maurizio Daniele Bornancin
La riconferma del Capo dello Stato è una precisa indicazione: collaborazione, lealtà e responsabilità sono gli ingredienti di una nuova stagione politica
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Dopo il giuramento di fedeltà alla Repubblica del Presidente Mattarella davanti al Parlamento in seduta comune, così come recita l’art. 91 della Costituzione, desidero offrire ai nostri lettori qualche considerazione su questa novità, senza nulla togliere alle esposizioni già ribadite da esperti in materia.
Per sgomberare il campo da ogni dubbio devo precisare, anche che grazie all’abile mediazione di Draghi, che è stato riconfermato un ottimo Presidente, il quale garantirà al Paese una guida sicura in questo periodo di crisi: economica, politica e sociale. Crisi che si è prolungata nel tempo producendo un’incertezza politica senza precedenti.
Certo, in tutto questo, chi ha perso è la politica o meglio i rappresentanti di Camera e Senato che non hanno saputo trovare soluzioni idonee nell’interesse della popolazione, non essendo stati in grado di scegliere il nome di un candidato competente e disponibile da condividere.
Le continue discussioni non hanno fatto altro che dimostrare, in modo inequivocabile, la distanza che c’è tra la politica e la gente.
Com’è possibile che si sia giunti alla naturale scadenza del settennato, senza che i rappresentanti politici del Parlamento abbiano trovato un criterio e un accordo comune per il bene della nazione?
Questa è una delle domande che si sono fatti molti concittadini. Si è preferito insistere su interessi di gruppi per contarsi, o meglio, sapere quanti e quali partiti in sede di votazione ci fossero stati, da una parte o dall’altra.
Più che un’incapacità di programmazione si è scoperta una mancanza di volontà, di aprirsi a un dialogo tra le parti.
Tutto questo pur sapendo la non disponibilità di Mattarella a proseguire il suo mandato, quindi una condizione nota.
Si sa, la divisione fa parte della storia della politica italiana. In questa occasione si è vista tutta la debolezza dei partiti, anche se sono stati fatti alcuni tentativi, con proposte di aspiranti non convincenti.
Gli scenari che abbiamo visto in questi giorni mi fanno ricordare un pensiero, tratto dal libro «La rabbia e l’orgoglio» di Oriana Fallaci del 2001, che così recita.
«È un paese così diviso, l’Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie. Si odiano anche all’interno dei partiti, in Italia.
«Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso distintivo, lo stesso emblema. Gelosi, vanitosi, non pensano che ai propri interessi personali.»
Purtroppo, anche se sono trascorsi venti anni, non si può non dire che oggi questo non sia vero o in parte reale.
Perché il Centrodestra, il Centrosinistra e il numeroso Gruppo misto non sono stati capaci di trovare un accordo positivo su una nuova figura di Presidente? È forse per mancanza di volontà?
Diciamo pure che tutto questo ha messo in luce, ancora di più, la crisi della politica incentrata su un bipolarismo, quasi calato dall’alto e spesso non reale, dove le alleanze non sono mai state omogenee e unite.
Di là da tutto, con Mattarella Capo dello Stato e Draghi Presidente del Governo certamente è stato messo in sicurezza l’intero Paese.
Poteva andare peggio, ma l’asse sperimentata già da qualche tempo tra Mattarella e Draghi è, sia pure un’impresa politica, ma di grande utilità e soddisfazione per il nostro Paese.
Alla richiesta di ripresentarsi il Presidente uscente, con lealtà e responsabilità ha risposto: «Presente» come tanti alpini al giuramento del servizio militare dei vecchi tempi, e ha aggiunto con molta onestà di pensiero.
«Ho troppo rispetto per il Parlamento per non accettare.»
Si è messo a disposizione pensando all’Italia, al momento difficile che sta attraversando, fiducioso che la forza e la capacità degli italiani porterà il nostro Paese a una svolta, a una ripresa, a una stagione di riforme e di progresso.
Una visione di rispetto verso la gente, generata dalla sua storia personale, ricca di valori forti e dalla formazione politica nella Democrazia Cristiana.
Di questo ne sono testimonianza non solo i cinquantacinque applausi durante il suo discorso d’insediamento, ma anche le migliaia di saluti, di solidarietà, di auguri, di ben tornato e di buon lavoro, inviati da tantissime persone.
Messaggi, questi, che certamente hanno rafforzato e consolideranno la sua attività dei prossimi anni, pur essendo conseguenza di una chiamata inattesa e senza nessuna possibilità di sottrarsi.
Draghi e Mattarella sono due persone che danno fiducia e rispondono a chi vuole cambiare e a chi ha paura del nuovo.
È giunto il momento di innovare anche nella politica, questo è quello che si aspettano le comunità delle nostre Regioni e nel nostro caso delle Province Autonome.
È vero, gli italiani vogliono ricominciare e la politica deve essere pronta ad assecondare questo desiderio, portando un vento nuovo che sia di giovamento per tutti e influente per ricostruire un dialogo tra chi opera all’interno e chi è fuori della politica, dove i termini progresso e riformismo non siano semplici concetti, ma diventino le bandiere di ogni azione, nel quotidiano vivere delle comunità.
Credo che tutti noi, come pure le forze politiche, debbano maggiormente riconoscersi nella persona del Presidente, così come hanno già fatto i Paesi europei e altri Stati internazionali.
Siamo tutti ai nastri di partenza di una nuova stagione sociale, economica, e di gestione delle attività, perciò nel ricominciare dobbiamo essere convinti che per migliorare le azioni quotidiane bisogna agire con il NOI e non con i singoli IO.
Non dimentichiamo che Mattarella con la propria autorevolezza potrà esercitare i poteri d’indirizzo verso i due rami del Parlamento in modo esemplare, come reale servizio al Paese. Il quadro politico nazionale già dai prossimi mesi subirà un’evoluzione che si ripercuoterà sulle elezioni politiche e provinciali del 2023, ecco perché i partiti dovranno impegnarsi e farsi trovare pronti all’innovazione, pena la diminuzione delle affluenze alle urne. C’è da molto tempo una notevole attesa dei cittadini sulla necessità di riforme, nei campi della finanza, del fisco, del lavoro, della giustizia, della scuola ed elettorale.
Su quest’ultimo punto l’attuale Parlamento riuscirà a portare a compimento un nuovo sistema elettorale, che abbandoni il maggioritario e la logica dei due schieramenti a favore di un proporzionale con soglia di sbarramento al 5%? Sarà rinviato il tutto a dopo il 2023, per rimanere ancora fermi ritenendo più che sufficiente la riduzione del numero dei parlamentari che, salvo sorprese, dovrebbe interessare le elezioni del prossimo anno?
Credo che solo se ci sarà una forte volontà da parte di tutte le parti politiche, questa potrebbe diventare una buona occasione per iniziare un reale cambiamento del sistema governativo.
Sono convinto, anche, che vi sia bisogno di uno stimolo al nuovo per ridare fiducia ai partiti e alle istituzioni. Non si può continuare a rivedere, a ogni legislatura, scomposizioni e ricomposizioni di vecchie e nuove formazioni o la crescita dei gruppi misti che non sono altro che l’insieme di persone che, di fatto, rappresentano singoli esponenti, se non se stessi. Per giungere a questo bisogna porre mano ai regolamenti interni, che caratterizzano l’attività di ogni istituzione, ma bisogna avere il coraggio di farlo.
Se ci sarà un’evoluzione del quadro politico nazionale, ossia una ridefinizione dei perimetri delle aree politiche, ci sarà anche una ricaduta nelle prossime elezioni autunnali per il rinnovo del nostro Consiglio provinciale, ed anche qui le attese già ora ci sono e le speranze pure. Si tratta di aspettare, anche se i tempi stanno velocemente riducendosi.
La nostra gente, ormai stanca di una politica difficile da capire, si aspetta azioni di governo dell’autonomia chiare e di una forte programmazione compartecipata, di una trasparente e onesta visione del futuro politico e amministrativo, nonché economico e sociale dei nostri territori.
Dove si vuole portare questa terra dell’autonomia?
Per fare questo ci vuole buona volontà, conoscenza delle tematiche, preparazione, ma anche la consapevolezza che, oggi più di sempre, è necessario operare insieme con un’unità reale e con umiltà, non col procedere a una forzata difesa delle proprie bandiere di partito, perché questo è pensare ai propri spazi ottenuti e non è nemmeno miglioramento e innovazione.
Anche in questa terra dell’autonoma è importante avviare un dialogo e un confronto, fra le categorie economiche e sociali (una sorta di operazione ascolto in chiave moderna) coinvolgendo la popolazione delle periferie e della città, partendo quindi dal basso, per giungere insieme a costruire un progetto per il Trentino del 2040, da consegnare ai giovani quando saranno loro i protagonisti di questa regione, ricca di valori, di cultura.
Da questo confronto si spera possa nascere una cordata unica in grado di affrontare le montagne del futuro. Non quindi un progetto con nomi già pronti e calato magari dall’alto, sotto la regia chiamata anche insieme di suggerimenti da parte di esperti della politica che hanno alle spalle esperienze pluriennali, e che ora però potrebbero lasciare alla libera iniziativa ogni sviluppo progettuale, perché non è così facile, come può sembrare, raggiungere l’obiettivo che è quello di sostituire la maggioranza che ora governa, se non vi è attenzione, volontà e unità d’intenti e d’idee. I tempi sono maturi, ma bisogna attivarsi in tempi brevi, per il bene delle nostre comunità locali.
Tutti devono impegnarsi per un rilancio del territorio, sia a livello economico che per una rinascita della politica e per una rigenerazione dei partiti, oggi fin troppo disarticolati e divisi.
Poiché tutti desiderano il bene della comunità, perché non condividere un patto partecipato per il futuro dei prossimi anni del Trentino? Che non diventi però né un libro dei sogni, né un elenco di progetti impossibili, ma che risponda alle reali esigenze della popolazione e dove il denaro non faccia da esclusivo collante per far stare insieme opinioni diverse.
Si può fare, basta volerlo, questo è quello che auspica la popolazione. Ascoltare il sentire della gente è un dovere dei nostri rappresentanti politici, solo dopo potranno agire di conseguenza per un nuovo sviluppo e crescita dei territori.
Se gran parte degli italiani ha tirato un sospiro di sollievo dopo la riconferma di Mattarella, significa che c’è bisogno di stabilità, quale garanzia su tutti i fronti.
La riconferma del Capo dello Stato deve rimanere come una lezione viva, un punto fermo, per giungere al convincimento comune che: collaborazione, lealtà e responsabilità sono gli ingredienti di una nuova stagione politica, già incominciata.
A chi opera nella politica nostrana, mi permetto di dire: attenzione che il 2023 non è così lontano.
Grazie per l’attenzione.
Maurizio D. Bornancin