«L’Italia e il federalismo fiscale mancato»
Ne hanno parlato l'ex ministro Piero Giarda, il presidente Alberto Pacher, il sindaco di Verona Flavio Tosi e l'economista Vincenzo Visco
Il quadro tracciato da Giarda in apertura dell'incontro è stato innanzitutto un quadro storico.
«Nel 1861, quando Roma presentava il primo progetto di regionalizzazione della costituendo Regno d’Italia, risultava che il finanziamento statale ai comuni copriva l’1% della spesa. Ma il ricorso all’indebitamento dai comuni doveva essere autorizzato dal governo centrale, ovvero dal prefetto. Nel 1980 troviamo una proporzione rovesciata: le fonti di entrata proprie dei Comuni coprivano il 7-8% della spesa totale. Con la riforma del 2000 sono stati quindi introdotti 2 principi contraddittori: lo Stato ha il dovere di intervenire per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni, ma anche per correggere le differenze nella capacità contributiva dei territori. Ad oggi non si è riusciti a conciliare questi due principi.»
Un fenomeno a cui si è assistito è stato quello della crescita della spesa sanitaria sulla spesa pubblica complessiva, di 5 punti percentuali in 20 anni.
Un costo sopportato essenzialmente dalla scuola, rimasta una competenza del governo centrale (con eccezione ad esempio del Trentino Alto Adige).
Il federalismo fiscale, infine, ha provocato risultati diseguali: la spesa locale è risultata più efficiente al Nord piuttosto che a Sud.
Chi spende peggio, però, non è chi spende di più, ma generalmente chi spende di meno.
Le regioni a Statuto speciale del Nord spendono generalmente il 30% in più della media, ma amministrano anche meglio.
Per Visco «va operata una distinzione fra decentramento dei poteri dello Stato e decentramento finanziario e fiscale. Da noi abbiamo immaginato che il federalismo portasse più soldi agli enti decentrati. Invece sul piano delle risorse ciò era avvenuto semmai nella seconda metà degli anni 90, periodo in cui era triplicata l’autonomia fiscale locale. La riforma del Titolo V ha riguardato invece i poteri. E non mi pare che sia stata fatta bene. Ci sono oggi materie, beni e funzioni pubbliche su cui è molto forte la sovrapposizione di competenze.Il modello alternativo che andava applicato era quello del principio di sussidiarietà.»
Tosi ha chiosato innanzitutto sulla sanità.
«Nonostante in alcune – poche - Regioni la spesa pro capite sia andata fuori controllo, l’Italia è uno dei paesi che spende meno in questo settore (7%). Il problema in generale è che nel nostro paese anziché attuare il federalismo si è attuato un regionalismo irresponsabile. Sono stati creati nuovi centri di spesa senza responsabilizzarli sul come dovevano procacciarsi le risorse. A Verona un terzo del bilancio era a carico dello Stato. Oggi questa percentuale è del 7% appena. Se lo Stato ha tagliato trasferimenti gli enti locali hanno aggiunto tasse. Lo Stato dal canto suo con i soldi risparmiati delle Regioni ha aumentato la spesa a livello centrale. Ed infine, ci sono oggi Regioni che spendono di più, come le Speciali (con modalità di spesa diversa, in genere hanno speso bene a parte la Sicilia). In definitiva, si devono fissare parametri standard e si deve imporre ad ogni Regione di rientrare in questi parametri.»
Il presidente Pacher infine ha ricordato che «il federalismo non mette a repentaglio la coesione nazionale. Sembra una contraddizione ma non lo è. Il federalismo serve proprio a rafforzare l’architettura del sistema nel suo complesso. L’Autonomia speciale pone il Trentino in una condizione particolare. Il percorso del confronto fra noi e lo Stato è stato segnato in epoca recente dall’Accordo di Milano. Lì si è prodotto un aggiornamento dello Statuto di Autonomia, un atto di manutenzione straordinaria, che noi giudichiamo indispensabile».
«La proposta concordata prevedeva una accresciuta responsabilizzazione della Provincia sulla gestione anche finanziaria dell’Autonomia, legando in maniera ancora più stretta la finanza pubblica al gettito fiscale prodotto localmente. Dal 2009 ad oggi nel frattempo è cambiato il mondo. Sono subentrate le manovre da parte dello Stato per il risanamento dei conti pubblici, con la compartecipazione anche delle Regioni e Province autonome. Il Trentino non si è mai chiamato fuori, anzi, ha rilanciato ulteriormente: a fronte del riconoscimento dei 9/10 del gettito erariale, siamo pronti ad assumerci tutte le spese che lo Stato ancora sostiene sul nostro territorio, circa 480 milioni all’anno. O si segue questa strada, o sarà difficile portare il Paese ad un più alto livello di consapevolezza riguardo alle responsabilità di ognuno.»