2 novembre, commemorazione dei defunti – Di Nadia Clementi
La riflessione di don Pierluigi Cameroni: «Laudato sii per sora nostra morte»
Don Pierluigi Cameroni.
Il 2 novembre, nel cuore dell’autunno veniamo invitati a celebrare la memoria dei defunti.
Gli alberi si svestono delle foglie, avanzano le nebbie mattutine, le giornate si accorciano, il sole tramonta prima.
Eppure ci sono lembi di terra, i cimiteri, che paiono prati primaverili rivestiti di fiori, rischiarati dalla luce di ceri accesi e popolati da tante persone che fanno visita ai loro cari defunti.
Una giornata di festa che ci invita, almeno una volta l’anno, a riflettere sul significato del nostro nascere e morire a riportare alla mente e al cuore le persone care che sono passate alla vita eterna.
La morte strappa via tanti affetti, lacera numerosi sentimenti, porta via intense relazioni, causa molto dolore. Di fronte a questo scenario la fede rappresenta motivo di grande consolazione e speranza.
Noi per ricordare questo giorno abbiamo raccolto la riflessione di Don Pierluigi Cameroni, postulatore Generale per le Cause dei santi della Congregazione salesiana e della Famiglia salesiana autore di numerosi tra cui il volume Come stelle nel cielo. (Vedi info)
«Laudato sii, mio Signore, per sora nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scappare: guai a quelli che morranno nei peccati mortali; beati quelli che troverà nelle tue santissime volontà, ché la morte seconda non farà loro alcun male.»
Vogliamo riflettere sulla realtà della morte partendo da questi versi del Cantico delle Creature, componimento poetico composto da Francesco d’Assisi nel 1226 circa, noto anche come Cantico di Frate Sole, il cui nome in latino è Canticum o Laudes Creaturarum.
Il Cantico delle Creature è una lode a Dio, al suo operato, alla vita stessa. Il cantico si conclude cantando la morte stessa come sorella dell’uomo.
Nessuno può evitarla, ma anch’essa è in realtà positiva e benevola, perché coincide con la liberazione dalla vita terrena.
È vitale riflettere sulla realtà della morte così come si presenta all’esperienza umana per trarne lezioni per vivere bene.
Parlare della morte come «sorella» ci può colpire e stupire visto che nell’animo umano in genere questo tema suscita timore e la nostra società tende a non parlarne, a relegarla lontano dalla vita degli uomini, a esorcizzarla, togliendo tutto il dramma e le domande che l’attraversa.
Ma la morte è «sorella» perché è di casa nella vita di ciascuno, è una realtà che già si intravede nel giorno stesso in cui nasciamo.
La morte in questi ultimi anni è entrata con violenza nella vita di tanti uomini e donne, vecchi e bambini, popoli e nazioni attraverso le esperienze drammatiche della pandemia che ha mietuto tantissime vite in ogni parte del mondo con tante persone morte in solitudine, spesso abbandonate, e i morti delle guerre, in particolare quella dell’Ucraina, con il loro strascico di violenze, distruzioni.
C’è l’esperienza della morte che tocca la vita di ciascuno per la perdita di una persona cara, di un amico; talvolta come un colpo di spada che ferisce in profondità e fa sanguinare l’anima. La pandemia come esperienza globale ci ricorda che la morte è realtà «dalla quale nessun uomo vivente può scappare», e quanto poco dipende dall’uomo progettare e decidere il proprio futuro, fuori della fede.
La ricorrenza annuale della Commemorazione dei defunti è occasione propizia per sostare su questa realtà, per riflettere e interrogarsi.
L’andare ai cimiteri, accendere un lume, portare un fiore, dire una preghiera non può essere solo una consuetudine, ma può diventare un invito a comprendere il senso della vita.
Da salesiano desidero condividere una pratica cara alla nostra tradizione educativa e che Don Bosco inculcava ai suoi ragazzi e ai salesiani e che pur cambiando nelle forme può essere davvero valida anche per noi oggi. Si tratta dell’«esercizio della buona morte», di fatto un tempo di ritiro mensile in cui i ragazzi venivano invitati a riflettere sulla morte come una realtà a cui prepararsi, affinché fosse «buona» cioè diventasse un tempo e un’ora di grazia, sapendo che la morte è un’ora decisiva per la vita di ciascuno, in quanto è il momento in cui ci si apre ad un’eternità.
Diceva Don Bosco ai ragazzi: «Tutta la nostra vita, o miei cari giovanetti, dev'essere una preparazione a fare una buona morte.
Per conseguire questo fine importantissimo giova assai praticare il cosiddetto Esercizio della buona morte, il quale consiste nel disporre in un giorno di ogni mese tutti i nostri affari spirituali e temporali, come se di lì a poco dovessimo realmente morire.
Il modo pratico di fare tale Esercizio è il seguente:
- fissare per esso un giorno del mese (l’ultimo giorno di ogni mese);
- fare fin dal giorno o dalla sera precedente qualche riflessione sulla morte, che forse è vicina e potrebbe anche sopraggiungere all'improvviso;
- pensare come si è passato il mese antecedente, e soprattutto se vi è qualche cosa che turbi la coscienza e lasci inquieta l'anima sulla sorte a cui andrebbe incontro se allora dovesse presentarsi al tribunale di Dio;
- e al domani fare una Confessione e Comunione, come se si fosse veramente in punto di morte.
Interessante che il santo educatore valorizza questo momento conclusivo della vita di ciascuno per farlo diventare un faro che deve illuminare l’oggi della vita, le scelte del momento presente.
Guardare la vita dal punto di osservazione della morte dà un aiuto straordinario a vivere bene. Interessante che nell’Ave Maria chiediamo alla Vergine santa di intercedere per noi in due momenti precisi: «adesso e nell’ora della nostra morte», come a dire che l’ora della morte dipende da come viviamo il momento presente. Morire bene vuole dire imparare a vivere bene.
Concludo con la testimonianza di un salesiano, don Giuseppe Quadrio (1921-1963), oggi Venerabile, che alla scuola di Don Bosco ha fatto del suo magistero, della sua malattia e della sua morte, avvenuta in giovane età, un tempo di grazia.
Uomo di fede: don Quadrio guardò in faccia alla morte, illuminandola con la luce dell’evento pasquale del Signore Risorto.
Tra le ultime lettere (pubblicata postuma) sul mensile «Meridiano 12» ecco la risposta che egli scrisse ad una signora che si diceva angosciata dal pensiero della morte: «La fede illumina la morte di luce soave.
Per un cristiano, morire non è un finire, ma un incominciare; è l’inizio della vera vita. È la porta che introduce nell’eternità. È come quando, dietro il filo spinato del campo di concentramento, risuona l’annuncio sospirato: si torna a casa.
Morire è socchiudere la porta di casa e dire: Padre mio, eccomi qui, sono arrivato! È, sì, un salto nel buio, ma con la sicurezza di cadere nelle braccia del Padre celeste».
Don Pierluigi Cameroni
La commemorazione dei morti dovrebbe si? aiutarci a coltivare una memoria affettuosa dei nostri defunti, ma soprattutto ad amare più intensamente la vita e i viventi.
A riflettere sulle occasioni sprecate, le relazioni non vissute, il mutismo dei nostri distratti passi quotidiani.
E non e? forse un caso che solo quando la vita ci sbatte in faccia la morte acquisiamo maggiore sensibilità di noi e degli altri.
Nadia Clementi - [email protected]
Fotografia di don Bosco con i ragazzi.