«Klimt e l’arte italiana» al Mart Rovereto – Di Daniela Larentis
La grande mostra curata da Beatrice Avanzi, inaugurata il 16 marzo al Mart di Trento e Rovereto, sarà visitabile fino al 18 giugno 2023
Luigi Bonazza, Leggenda di Orfeo - Rinascita d'Euridice - Morte d'Orfeo - 1905, Mart, Deposito SOSAT.
È stata inaugurata il 16 marzo al Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto una nuova straordinaria mostra dal titolo «Klimt e l’arte italiana», a cura di Beatrice Avanzi.
Rimarrà aperta al pubblico fino al 18 giugno 2023 insieme ad altre due imperdibili esposizioni, anch’esse nate da un’idea del presidente del Mart e sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi: la prima, dal titolo «Cabaret Vienna», sull’Atelier Manassé, lo studio fotografico più popolare della Vienna degli anni ’20, progetto di Chiara Spenuso, a cura di Claudio Composti; la seconda è una mostra dedicata a Fausto Pirandello, pittore del Novecento e figlio del premio Nobel per la letteratura Luigi Pirandello, curata da Manuel Carrera e Daniela Ferrari.
La tanto attesa «Klimt e l’arte italiana» vede eccezionalmente riuniti i due capolavori italiani di Klimt: «Giuditta II» e «Le tre età della donna».
Attorno a questo eccezionale binomio si sviluppa il primo percorso espositivo sull’influenza di Klimt sui grandi maestri del primo Novecento.
L’esposizione analizza, per la prima volta in modo esaustivo, l’attività di pittori e scultori italiani il cui lavoro fu ispirato da quello di Gustav Klimt e dalla Secessione.
Questo momento della storia dell’arte si discosta dalle grandi e più note correnti, come le Avanguardie, e precede il Ritorno all’Ordine e le tendenze post belliche.
Vittorio Sgarbi - Foto © Carlo Alberto Covelli.
Attraverso circa 200 opere, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, il Mart illustra un panorama vario e complesso, nel quale discipline diverse – dalla pittura alle arti decorative – convivono sotto il segno di un riconoscibile gusto sontuoso, seduttivo e decadente.
Quaranta gli artisti in mostra, tra cui i pittori attivi a Venezia, come Vittorio Zecchin, il cosiddetto «Klimt italiano»; o i giovani «dissidenti» di Ca’ Pesaro, come Felice Casorati, ma anche coloro che per prossimità geografica e culturale furono particolarmente vicini al clima delle Secessioni, come il triestino Vito Timmel o i trentini Luigi Bonazza, Luigi Ratini e Benvenuto Disertori.
All’apice della sua carriera, l’austriaco Gustav Klimt (1862-1918), padre della Secessione viennese, partecipò alla Biennale di Venezia del 1910 e all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, organizzata in occasione del cinquantenario dell’unità d’Italia.
Il suo personalissimo e innovativo stile influenzò un’intera generazione di artisti che, tra gli anni ’10 e ’20 del secolo scorso, finirono per rinnovare profondamente il proprio linguaggio.
A seguito di queste rassegne internazionali e a conferma del successo di Klimt in Italia, due capolavori assoluti vennero acquistati da importanti collezioni pubbliche: il Comune di Venezia destinò la «Giuditta II» alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro; «Le tre età della donna» andarono invece ad arricchire il patrimonio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, grazie a un’acquisizione del Ministero dell’Istruzione.
Ora è possibile ammirare questi due capolavori al Mart Rovereto, un’occasione irripetibile.
La mostra è accompagnata da un ricco catalogo, impreziosito da numerosi contributi e dalle foto delle opere esposte.
La presentazione della curatrice Avanzi - Foto © Carlo Alberto Covelli.
Spiega Beatrice Avanzi a proposito dell’influsso di Klimt nell’arte italiana, in un passo del suo testo critico: «L’arte di Klimt irrompe, con un potere di seduzione senza pari, nel contesto di una nazione che viveva allora il passaggio tra Ottocento e Novecento, tra tradizione e nuovi slanci verso la modernità.
«Lontana dall’accademia quanto dall’avanguardia (mentre in Italia nasceva il futurismo), la sua forza fu dirompente nel proporre una ricerca pittorica che proprio nel nostro Paese trovava le sue radici: in una sorta di eterno ritorno, di folgorante cortocircuito, Klimt rende attuali e trasforma in una sintassi rivoluzionaria le impressioni indelebili derivate dalla tradizione italiana.
«Come è noto, infatti, le opere del periodo aureo nascono dall’infatuazione dell’artista viennese per la cultura veneziana, ricca di ori, broccati, mosaici e murrine, e per i mosaici ravennati di inaudito splendore, che egli poté vedere durante i suoi frequenti viaggi in Italia.
«Come ricorda Maximilian Lenz, che si recò con lui a Ravenna nel 1903: Per Klimt è un momento decisivo: i mosaici rutilanti d’oro delle chiese ravennati suscitano in lui un’impressione incredibile e decisiva.
«Da allora in poi, il fasto e una certa rigida opulenza entrano nella sua arte ricca di sensibilità […] Klimt era davvero scosso. Non lo ostentava ma lo si vedeva chiaramente.»
Sottolinea più avanti la curatrice: «Fu naturalmente Venezia – luogo che lo aveva prima ispirato e poi accolto – la città in cui la lezione di Klimt trovò un terreno più fertile.
«Qui il suo linguaggio viene reinterpretato in maniera diretta, senza mediazioni, in un fondersi di suggestioni secolari e ricerca di una nascente modernità.
«È esemplare il caso di Vittorio Zecchin, personalità eclettica, artista-artigiano erede dell’antica tradizione veneziana.
«Di origini muranesi, figlio di un maestro vetraio, Zecchin si dedicò non soltanto alla pittura, ma praticò discipline diverse, dalla creazione di mobili, agli arazzi, ai mosaici, manifestando una vocazione all’opera d’arte totale particolarmente vicina al gusto delle Secessioni […].
«Alla sua opera più celebre, il ciclo de Le Mille e una notte realizzato nel 1914 per l’Hotel Terminus di Venezia, si deve la sua fama di Klimt italiano.»
Gustav Klimt, Le tre età della donna, 1905 - Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
Prosegue Avanzi, parlando delle influenze klimtiane (pag.27 del catalogo):
«A Venezia, accanto alle grandi decorazioni dove la sintassi secessionista sembra trovare una dimensione particolarmente consona e suggestiva, la lezione del maestro viennese agisce in maniera più sottile, ma incisiva, sulle ricerche dei giovani che, dal 1908, espongono nelle collettive dell’opera di Bevilacqua la Masa allestite presso Ca’ Pesaro, sotto la guida di Nino Barbantini.
«Animati da una decisa volontà di rinnovamento in opposizione al gusto ufficiale delle Biennali veneziane, gli artisti dissidenti cercano nuovi riferimenti negli esiti più avanzati dell’arte europea, dal Postimpressionismo ai Nabis. Con particolare attenzione, rafforzata dall’eco suscitata dalla presenza di Klimt alla Biennale, essi guardano al contesto mitteleuropeo […].
«Di provenienze diverse, alcuni di loro (Teodoro Wolf Ferrari, Guido Marussig, Tullio Garbari) si erano formati in contesti naturalmente rivolti, per prossimità storica e geografica, all’Austria, portando con sé un influsso già radicato del gusto secessionista.
«Nelle loro opere, l’esempio di Klimt determina un evidente rinnovamento della pittura di paesaggio, di cui l’artista austriaco aveva esposto alcuni esempi alla Biennale.
«Salici, betulle, specchi d’acqua – motivi cari al maestro viennese – sono il soggetto di vedute che tendono alla bidimensionalità e alla preminenza di elementi decorativi, secondo quella riduzione dell’immagine a valori di superficie, tipica del linguaggio klimtiano.»
Felice Casorati, La preghiera, 1914 - Musei civici di Verona, Galleria d'Arte Moderna Achille Forti.
Al Mart sono fra l’altro esposte opere di Adolfo Wildt, definito dai critici «il Klimt della scultura».
Scrive Elena Pontiggia nel suo intervento critico: «C’è un rapporto così profondo fra le opere di Wildt e quelle di Klimt, a cui sono sempre state accostate?
«La risposta è articolata e, per riassumerla, potremmo dire che lo scultore italiano è influenzato ampiamente dal pittore austriaco nella scelta di alcuni motivi formali, ma se ne distacca altrettanto ampiamente nei significati e nei soggetti.
«L’influsso klimtiano –sottolinea – è evidente soprattutto in due elementi. Il primo è l’uso dell’oro, che Klimt aveva riscoperto fin dal 1890 e posto al centro della sua pittura tra il 1901 e il 1910, in quello che è chiamato appunto il suo “periodo aureo”.
«Il secondo è l’impiego di un esuberante dizionario di segni decorativi (stelle, croci, fiori stilizzati), che già Klimt aveva disseminato nelle sue opere.
«L’ornamento assume così un carattere eccedente, ma anche bidimensionale e senza copro, che ne accentua l’autonomia rispetto alla realtà. Entrambi questi elementi attirano presto su Wildt la definzione, anzi l’imputazione, di klimtismo.»
Per concludere, il nostro invito è quello di andare al Mart e visitare questa e le altre mostre in corso, cogliendo l’occasione per immergersi ancora una volta nella bellezza.
Daniela Larentis – [email protected]
Gustav Klimt, «Giuditta II», 1909 - Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale
d'Arte Moderna di Ca' Pesaro.