Quel filo spinato che non è mai stato tagliato del tutto

Non si deve dimenticare, punto. Però c’è qualcuno che vorrebbe dimenticare: coloro che sono usciti vivi da quei campi maledetti

Quel filo spinato, in effetti, non è mai stato tagliato del tutto.
Ricordo quando, molti anni fa, ho avuto la fortuna di viaggiare per lavoro in paesi Oltre Cortina e in Paesi Arabi con due colleghi di altre aziende di Rovereto.
Mentre andavamo a Sofia, in Bulgaria, vidi il collega tirarsi su la manica e mettere un cerotto appena sopra il polso.

«Ti sei fatto male?» – Gli chiesi.
«Sì, ma molti anni fa, – mi aveva risposto. – Ero un bambino finito in un campo di concentramento in quanto ebreo.»
Rimasi ad ascoltarlo allibito.

«Mi avevamo marchiato il numero sul polso.»
«Mi dispiace, – risposi, col nodo alla gola come se la colpa fosse stata anche mia che ebreo non ero. – Ma perché lo copri?»
«Perché i fili spinati non sono mai stati tagliati del tutto. Qui oltre Cortina, dove stiamo andando, non amano gli ebrei. Te lo dico per esperienza personale. Se voglio avere una vita normale, se voglio portare risultati e, infine, se voglio tornare a casa, devo nascondere il numero.»
«Oh mio Dio. E se vai nei paesi arabi? Tu parli l’arabo oltre al russo…»
«Non ci vado.»

Non dissi altro, ma lui concluse il discorso così:
«È giusto che la memoria viva nel tempo, per non dimenticare. Ma mi comprenderai se uno come me, che in quei campi c’è stato, vorrebbe dimenticare. Ma quel numero non è solo nella memoria. È lì a ricordarmi che non ero un uomo
Oggi l’amico non c’è più. E finalmente può riposare in pace.

G. de Mozzi