Tumore al fegato, che fare? – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con il prof. Guido Torzilli Direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale dell’Humanitas Research Hospital IRCCS e Humanitas University

Operazione in Humanitas durante un intervento in diretta del prof. Torzilli e da remoto con il presidente della Società Europea di Chirurgia Epatobiliopnacreatica Jacques Belghiti e il Maestro il prof Makuuchi.
 
In Italia, il tumore al fegato rappresenta la settima causa di morte, con circa 5.000 decessi, circa il 3% delle morti per tumore.
Per tumore al fegato si intende una neoplasia maligna che interessa il fegato, la ghiandola più grande del corpo umano, che ha il compito di filtrare e depurare il sangue e contribuisce al processo digestivo attraverso la produzione della bile e di importanti enzimi digestivi.
Il tumore al fegato è una malattia subdola e, a differenza di altri tumori maligni, ha spesso un decorso piuttosto lento e indolore: soprattutto nelle fasi iniziali, può non dare alcun segno. Ecco perché si parla di tumore silenzioso.
Solo con il passare del tempo e la progressione del tumore possono comparire le prime manifestazioni: un dolore alla parte superiore dell'addome, che si può irradiare anche alla schiena e alle spalle, un ingrossamento del ventre, una perdita di peso e di appetito ingiustificata, senso di nausea, vomito, sensazione di sazietà anche in seguito a pasti poco abbondanti, stanchezza, ittero (colore giallo della cute), colorazione scura delle urine e febbre.
 
Si tratta di sintomi poco specifici, che possono trarre in inganno ed essere collegati ad altre malattie.
Ad oggi ci sono tre terapie principali del cancro del fegato: asportazione chirurgica del tumore (resezione); la sostituzione del fegato con un trapianto; la distruzione locale del tumore tramite ablazione con metodi minimamente invasivi (mininvasivi) o tramite embolizzazione.
Se il tumore non può essere asportato si ricorre alla terapia farmacologica (chemioterapia) e alla radioterapia come trattamenti complementari.
Noi per saperne di più abbiamo contattato il prof Guido Torzilli Direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale dell’Humanitas Research Hospital.
Direttore della Divisione di Chirurgia Epatobiliare e Generale dell’Humanitas Research Hospital.
Incarichi didattici: Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale della Humanitas University. Direttore della Cattedra di Chirurgia Generale.

 Chi è il prof Guido Torzilli  
Laurea in Medicina e Chirurgia - Università di Milano novembre 1988
Specialista in Chirurgia Generale - Università di Milano novembre 1993
Dottore di ricerca – Università di Tokyo, Facoltà di Medicina, 1999.

Posizione attuale
Professore Ordinario di Chirurgia Generale - Humanitas university
Direttore Dipartimento di Chirurgia Generale
Responsabile UOC di Chirurgia Epatobiliare e Generale
Direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia General – Humanitas University

Precedenti Ruoli
Dirigente Medico, Divisione di Chirurgia Generale, Ospedale di Lodi, Italy.
Fellow of the Japanese Foundation for Promotion of Cancer Research, 2nd Department of Surgery, University of Tokyo, Faculty of Medicine, Tokyo-Japan.
Assistant Professor of Surgery of the Hepatobiliarypancreatic Surgery Department of the Faculty of Medicine, University of Tokyo, Faculty of Medicine, Tokyo-Japan.
Responsabile Unità Semplice di Chirurgia Epatobiliare Ospedale di Lodi
Professore Associato – Chirurgia Generale, Università degli Studi di Milano

Cariche in Società Scientifiche
Associazione Italiana di Chirurgia Epatobiliopancreatica (AICEP): Presidente Fondatore
Eastern and Western Association on Liver Tumors (Founding Member and Governing Board Member);
European Surgical Association (Board Member);
International Association Surgeon Gastroenterologist and Oncologist (Executive Board Member);
International Hepatobiliopancreatic Association (Scientific Program Board Member);
Società Italiana di Chirurgia Oncologica (membro del consiglio Direttivo)
Society of Surgery of the Alimentary Tract (Board Member)

Membro Onorario
Associazione Francese di Chirurgia
Collegio Brasiliano di Chirurgia Digestiva
Compagnons Hepatobiliaire
Società Rumena di Chirurgia
Società Serba di Chirurgia
Società Bulgara di Chirurgia
Società Cilena di Chirurgia

Professore su invito
University of Tokyo, Giappone
Dokkyo University, Giappone
Nihon University, Giappone
Fukuoka University, Giappone
Chinese University Hong Kong, Cina
University of Lousanne, Svizzera
MD Anderson Cancer Center, University of Texas, USA
Massachussets General Hospital, Harvard Medical School, USA
University of Oregon, USA
Univeristy of Oslo, Norvegia
University of Belgrade, Serbia

Attività Scientifica
Relatore a numerosi congressi nazionali ed internazionali.
Associate Editor o membro dell’Editorial Board di numerose riviste scientifiche nazionali ed internazionali, ha pubblicato 2 libri, oltre 10 monografie su riviste scientifiche internazionali, oltre 60 capitoli di libri in italiano, ed in inglese, tradotti alcuni in spagnolo, portoghese, cieco e cinese, oltre 300 pubblicazioni su riviste scientifiche indicizzate, con oltre 9.600 citazioni ed un Hindex di 45.

Prof. Torzilli che cosa è esattamente un tumore del fegato?
«Un tumore al fegato è una parte dell’organo che decide di non lavorare più per l’organo nel quale è nato e risiede. Solitamente nasce dalla degenerazione di cellule che compongono il fegato stesso.
«Gli epatociti, i veri mattoncini che costituiscono l’organo, quando cominciano a non comportarsi più come dovrebbero allontanandosi dai loro compiti per così dire istituzionali, danno luogo a quello che si chiama l’epatocarcinoma.
«I colangiociti, cellule che rivestono i canalicoli attraverso i quali la bile che il fegato produce fluisce nell’intestino per aiutarci a digerire i grassi, invece qualora decidessero di non fare ciò che devono determinano la nascita di un colangiocarcinoma. Vi sono poi i tumori che arrivano da altre sedi e che si annidano nel fegato: queste sono le metastasi.
«Le più comuni sono quelle che derivano dall’intestino ed in particolare dal colon sfruttando il fatto che il sangue che l’intestino scarica verso il cuore passa prima attraverso il fegato perché ne raccolga ed elabori i nutrienti.
«Il fegato agisce come una sorta di colino che filtra il sangue proveniente dall’intestino prima che ritorni al cuore, in ciò facendo può ritrovarsi addosso oltre ai nutrienti anche qualche cellula che un eventuale tumore del colon ha lasciato partire.
«Queste cellule si annidano nell’organo e si moltiplicano creando quelle che riconosciamo come metastasi.»
 
In quali casi possiamo parlare di tumore benigno e in quali di tumore maligno?
«Un tumore maligno è il caos in un sistema al contrario molto ordinato: non risponde alle regole di una convivenza civile e interferisce con il fluire della stessa diventando se lasciato libero di agire progressivamente causa di malfunzionamento del sistema fegato in toto.
«Un tumore benigno è invece una parte del fegato che non lavora ma non aggredisce il resto dell’organo, lo lascia lavorare. Talvolta tende ad allargarsi e quindi può dare fastidio per lo spazio che occupa ed è la sola ragione per la quale viene eventualmente rimosso. Ecco che l’angioma, un insieme di laghi venosi è innocuo se non diventa molto grande.
«L’iperplasia nodulare focale, più spesso ritrovabile nelle donne è una parte di fegato organizzata in modo diverso dal resto dell’organo ma composta da cellule normali.
«Vi è però anche qualche tumore benigno che può tramutarsi in un tumore maligno oppure causare emorragie: è questo il caso dell’adenoma. Una benignità questa da tenere quindi particolarmente sott’occhio.»
 
Come si manifestano e con quali sintomi?
«Spesso i sintomi sono assenti. Il fegato raramente fa male e inoltre è molto paziente e tollera qualsivoglia ospite anche indesiderato. Quando comincia a non funzionare bene dà segno di sé facendo diventare le sclere gialle e di seguito anche la cute può diventare di colorito giallastro: l’ittero.
«Qualora un tumore sia diventato molto grande e deforma la capsula che avvolge il fegato ecco che può a quel punto fare la sua comparsa il dolore. Facile affaticamento, e confusione sono altre manifestazioni di condizioni di mal funzionamento dell’organo che solitamente compaiono tardivamente quanto la malattia è cresciuta oppure laddove vi fosse una preesistente sofferenza del fegato stesso.»
 
Quali le cause?
«Esistono fattori di rischio che ci aiutano a identificare le persone che potrebbero avere maggiore probabilità di ammalare di tumore al fegato.
«Una pregressa e più spesso passata inosservata epatite virale B o C che non raramente esita in una epatopatia cronica e più in là in una cirrosi può rappresentare un elemento di rischio sia per l’insorgenza di epatocarcinoma che di colangiocarcinoma.
«Più di recente anche grazie ad una gestione più efficace delle epatiti virali per l’introduzione di terapie efficaci e per i vaccini è epidemiologicamente emersa una forma meno nota di epatopatia quella da dismetabolismo.
«Sovrappeso, dislipidemia, diabete, ipertensione si associano ad una epatopatia cronica che anch’essa è correlata al rischio di tumore del fegato sia di tipo colangiocellulare che epatocellulare.»
 
Colpisce più le donne o gli uomini?
«I tumori maligni più spesso gli uomini mentre quelli benigni le donne.»
 
Si riscontra anche nei bambini?
«Sono molto rari ma purtroppo esistono»
 
Il covid rappresenta un rischio fondamentale per i pazienti malati di tumore?
«Il principale problema legato al Covid in relazione alla patologia oncologica sta nel suo interferire con la gestione dei pazienti oncologici che in concomitanza con la pandemia non hanno potuto fruire dell’attenzione che avrebbero meritato per il distoglimento delle risorse umane, logistiche e strumentali.»
 
 
Il professore (a sinistra) impegnato in un intervento chirurgico all’università di Tokyo con il suo Maestro, il Prof Masatoshi Makuuchi, massimo esperto di chirurgia epatica a cavallo del secolo scorso e dell’attuale.

Quali esami diagnostici devono essere utilizzati per scoprire un tumore anche in fase iniziale?
«L’ecografia è la modalità diagnostica più raggiungibile, e meno invasiva, è utile per la prima diagnosi. La vulnerabilità sta nella sua operatore-dipendenza e dalle limitazioni intrinseche alla metodica: aria e ossa impediscono il passaggio degli ultrasuoni nascondendo ciò che sta più in profondità.
«La TAC e la Risonanza Magnetica sono gli esami di approfondimento perché maggiormente standardizzabili e per il fatto che le loro immagini possono essere verificate da altri professionisti oltre che da colui che ha redatto il referto aiutando attraverso la condivisione e discussione a raggiungere una maggiore contezza della situazione in esame.
«La prima caratterizzata dall’utilizzo delle radiazioni ionizzanti (Raggi X) si giova dell’iniezione di un mezzo di contrasto che permette di differenziare i diversi tessuti in una scala di grigi.
«La RM invece sfrutta un campo magnetico e trasferisce in immagini la risposta dei tessuti alle sue variazioni: è per questo in grado di differenziarli anche senza mezzo di contrasto.
«Quest’ultimo oltre alle informazioni desumibili con la TAC permette di vedere tumori più piccoli e può dare informazioni circa la funzionalità dell’organo. Priva di rischi, a meno che non si sia portatori di dispositivi protesici sensibili ai campi magnetici, può risultare mal tollerata da soggetti che soffrono di claustrofobia.
«Se l’ecografia è l’esame principe nello screening, per i soggetti a rischio sia perché già ammalatisi e sottoposti a controlli post-trattamento o perché appartenenti al categorie a rischio di ammalarsi, la Risonanza e la TAC nell’ordine dovrebbero rientrare nei programmi di monitoraggio periodico.
«La PET è un esame teso a definire il grado di coinvolgimento di uno o più organi attraverso la valutazione dell’attività metabolica dei tessuti: per i tumori in discussione serve soprattutto ad escludere la presenza di malattia fuori dal fegato ed a monitorare eventuali terapia sistemiche (chemioterapia).»
 
Quanto è importante la prevenzione?
«La prevenzione è fondamentale così come lo è la diagnosi precoce che permette di aumentare notevolmente le possibilità di cura. Di qui l’importanza del monitoraggio delle categorie a rischio e dei soggetti trattati.»
 
Cosa possiamo fare per prevenire il tumore al fegato?
«Una alimentazione sregolata ed ipercalorica, associata a sovrappeso se non obesità, e tutti quei segnali che da essa possono derivare quali dislipidemia (elevati livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue) e diabete, si associano spesso ad una condizione di infiammazione cronica del fegato che può esitare in un fegato che lavorando male accumula grassi (steatosi) che può tradursi nel tempo in quel dissesto strutturale chiamato cirrosi.
«In questo contesto aumenta il rischio di sviluppo di epatocarcinomi e colangiocarcinomi. È in questa popolazione che occorre potenziare il livello di sorveglianza. Attenzione e controlli devono riporla anche i pazienti che hanno una lunga storia di calcoli delle colecisti asintomatici per i quali la colecistectomia non viene automaticamente raccomandata oppure portatori di polipi sempre della colecisti che se inferiori al cm non vengono rimossi.
«Queste condizioni devono richiedere attenzione e monitoraggio anche solo ecografico ma periodico per il rischio aumentato di tumore della colecisti, una forma di colangiocarcinoma molto aggressiva ma che se trattata in fase iniziale è perfettamente curabile.»
 
Si può guarire?
«Si può guarire e si possono guarire sempre più persone. Ci sono numerosi trattamenti in grado di portare a cura un paziente affetto da tumore del fegato sia esso primitivo che secondario: la chirurgia resta l’approccio più efficace ove fattibile.»
 
Quali sono oggi le terapie disponibili per curare il tumore benigno e quali per il tumore maligno?
«Per il tumore benigno nella stragrande maggioranza dei casi fatta la diagnosi, esclusa la sintomaticità o il disturbo alla funzionalità d’organo, la miglior terapia è il semplice monitoraggio dimensionale con metodiche quali ecografia e RMN anche senza contrasto. È questo il caso dell’angioma e dell’iperplasia nodulare focale.
«Per l’adenoma invece il ricorso alla terapia chirurgica può rendersi necessario indipendentemente da logiche di ingombro volumetrico e sintomatologia.»
 
Quali sono le principali novità nel campo dei tumori al fegato?
«L’avvento della immunoterapia associata agli anticorpi monoclonali costituisce un potenziale grande passo avanti nella terapia dell’epatocarcinoma. Sviluppi in tal senso stanno avvenendo anche per il colangiocarcinoma.»
 
Il trapianto è futuro o realtà?
«Il trapianto è già una realtà ormai consolidata per l’epatocarcinoma, lo è per alcune forme di colangiocarcinoma, e lo sta diventando per i pazienti con metastasi epatiche da tumore del colon purché la malattia sia confinata al fegato e non risulti operabile.»
 
Lei è Direttore della Divisione di Chirurgia Epatobiliare e Generale dell’Humanitas Research Hospital. Ci dice come è organizzato il suo Centro e le specializzazioni messe a disposizione ai pazienti?
«Ho il privilegio di essere alla guida di un Dipartimento di Chirurgia Generale che rappresenta un modello organizzativo molto avanzato avendo in sé unità operative ad alta specializzazione in grado di rispondere al massimo livello alla domanda di cura nei settori della chirurgia epatobiliare, pancreatica, esofagogastrica, colorettale e dei sarcomi.
«Siamo parte centrale di Humanitas che è un Policlinico Universitario, un Cancer Center, e centro di riferimento per l’urgenza: come può immaginare siamo quindi chiamati ad un impegno costante e che ci vede in molti settori leader riconosciuti internazionalmente. La cura dei nostri paziente e l’innovazione attraverso la ricerca sono i nostri obiettivi perseguiti quotidianamente.
«Abbiamo altresì la responsabilità di formare i nuovi medici e segnatamente i chirurghi del futuro avendo la direzione della Scuola di Specializzazione che risulta ad oggi tra le più ambite del panorama nazionale.
«Nella fattispecie della chirurgia del fegato, la mia Unità è riconosciuta nel mondo per essere stata l’iniziatrice ed il motore di una modalità chirurgica sicura ed efficace nel trattare le forme più complesse di coinvolgimento oncologico del fegato.
«Negli anni abbiamo introdotto una serie di nuovi interventi che oggi sono entrati come parte integrante delle procedure riconosciute nel mondo e che di fatto hanno cambiato persino il vocabolario con il quale si definiscono le epatectomie.»
 
Lei vanta di un prestigioso curriculum, ma tra tutte le esperienze medico-scientifiche, quanto è stata importante per la sua carriera l’attività di ricerca svolta presso l’università di Tokyo con il Prof Masatoshi Makuuchi, che è uno dei massimi esperti di chirurgia epatica a cavallo del secolo scorso e dell’attuale?
«È stato un salvataggio, un privilegio, ed è una grande responsabilità. Un salvataggio perché andai in Giappone quando ormai avevo deciso di lasciare la Scuola di Specializzazione di Chirurgia e la Medicina Clinica in genere vinto dall’osservare che ai tempi pesasse molto censo e appartenenze piuttosto che il merito.
«Un grande della radiologia Italiana, il più grande probabilmente, Tito Livraghi, iniziatore nel mondo delle terapie percutanee dei tumori del fegato e mio maestro di ecografia ed oggi in pensione prolifico scrittore, vedendomi così si prese l’onere di consigliarmi e mi indicò la strada: il Giappone, dove un medico stava rivoluzionando la chirurgia dei tumori del fegato e che per questo in ogni consesso gli dava battaglia opponendo il bisturi ai suoi aghi. Entrambe peraltro facendo uso dell’ecografia.
«Andai, incontrai il Professor Masatoshi Makuuchi e fui travolto dalla sua autorevolezza, passione, abnegazione, l’eccellenza tecnica e scientifica senza pari, la cura del paziente e dell’uomo senza se e senza ma, la voglia di insegnare a chiunque condividesse quei valori e dimostrasse talento.
«Ebbi la fortuna di incuriosirlo perché a differenza di tutti i chirurghi pur blasonati che dall’occidente venivano a vederlo operare per carpirne i segreti sapevo fare l’ecografia, ribollivo di passione per quel mondo, quella vita, quella dedizione, le mille sfide che si portava dietro e soprattutto ero un foglio bianco su quale avrebbe potuto scrivere quel che avrebbe desiderato scrivere: decise di investire sul sottoscritto. Anni duri che mi hanno cambiato la vita professionale.
«Training chirurgico fondamentale, ricerca scientifica di alto profilo, amicizie profonde tuttora vive, una fellowship al National Cancer Center di Tokyo, un dottorato di ricerca all’università di Tokyo, e poi la posizione di ricercatore nello stesso Ateneo. Il ritorno, con la responsabilità di un bagaglio culturale unico nel mondo occidentale, in un paese all’epoca non così sensibile ai rientri, ma questa è un’altra storia.
«Mi piace concludere con la grande responsabilità di trasmettere ciò che ricevetti e ciò che grazie a quell’imprinting prima io e poi i miei allievi, veri e proprio compagni di cammino, abbiamo costruito in questo paese.»
 
Un’ultima domanda, come state affrontando, questo brutto periodo di emergenza sanitaria?
«Siamo alla terza ondata che pur lentamente sta declinando. La prima ondata vide Humanitas prontissima a rispondere alla richiesta di cura dei pazienti COVID, modificando percorsi, triplicando i posti di terapia intensiva e creando ex novo nuovi reparti nel giro davvero di pochi giorni.
«Ovviamente la nostra attività prevalentemente di chirurgia oncologica si vide penalizzata: molti di noi furono destinati alla cura dei pazienti COVID, e i nostri anestesisti dovettero essere ridistribuiti nelle terapie intensive che come detto furono triplicate.
«Tra la prima e la seconda ondata è stato costruito ex novo un Covid Hospital, un edificio separato sia pur all’interno della nostra istituzione. Questo ci ha permesso di affrontare la seconda e la terza ondata riducendo solo lievemente la nostra attività pur dovendo adempiere al ruolo di centro Covid per disposizione regionale: ciò grazie a percorsi ben separati ed al nuovo ospedale nell’ospedale.
«Ora Humanitas è trai i centri più efficienti nel programma di vaccinazione, direi quindi che abbiamo e stiamo affrontando il tutto con quell’impegno, dedizione e passione che da sempre ci sentiamo addosso.»
 
Nadia Clementi - [email protected]
Prof Guido Torzilli - [email protected]

Dipartimento di Chirurgia Generale
Unità Operativa di Chirurgia Epatobiliare e Generale
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