Si è spento Cesare Romiti. Aveva 97 anni
Dirigente d'azienda, imprenditore ed editore italiano, passerà alla storia per aver salvato la Fiat e per la «Marcia dei 40.000»
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Figlio di un impiegato delle Poste, secondo di tre fratelli, Cesare Romiti si è diplomato ragioniere, si è laureato a pieni voti in scienze economiche e commerciali studiando di notte e lavorando di giorno per mettere insieme qualche soldo dopo la morte del padre avvenuta a soli 47 anni.
Nel 1947 lavora per il Gruppo Bombrini Parodi Delfino, azienda di Colleferro, di cui assumerà la carica di direttore finanziario affiancando Mario Schimberni, suo ex compagno di classe, che si occupa invece di amministrazione e controllo di gestione.
Nel 1968, sempre a Colleferro, ricopre la carica di direttore generale nella Snia Viscosa dopo la fusione con la sua ex azienda.
E proprio per seguire da vicino questa fusione, frequenta a Milano gli uffici di Mediobanca, facendo una buona impressione a Enrico Cuccia.
Due anni più tardi l'IRI lo nomina direttore generale prima e amministratore delegato poi della compagnia aerea Alitalia.
Infine approda, sponsorizzato da Cuccia, al gruppo Fiat nell'ottobre del 1974, quindi nel pieno della crisi petrolifera.
Nel 1976 diventa amministratore delegato in un triumvirato con Umberto Agnelli (lo stesso anno eletto senatore della DC in un collegio romano) e Carlo De Benedetti (resta alla Fiat solo tre mesi).
Nella casa automobilistica ottiene i pieni poteri nel 1980, quando i due fratelli Agnelli, Gianni e Umberto, vengono convinti da Mediobanca a passare la mano per evitare il peggio e ricopre anche il ruolo di presidente (1996-1998) succedendo a Gianni Agnelli.
Per quasi un quarto di secolo è stato uno dei maggiori rappresentanti dei cosiddetti «poteri forti». Ammetterà: «In Fiat ho avuto praticamente carta bianca per venticinque anni».
Nel 1998, anno della sua uscita dalla Fiat, percepì una buonuscita di circa 105 miliardi di lire per i suoi 25 anni di attività, più 99 miliardi di lire per il patto di non concorrenza. Attualizzati al 2020 sono circa 150 milioni di euro.
Gli anni alla Fiat
Per Romiti il primo problema è quello di assicurare liquidità alla casa automobilistica. Ed è personalmente coinvolto nell'operazione suggerita da Mediobanca che vede la Lybian Arab Foreign Bank acquisire il 10% della Fiat, investendo circa 360 miliardi di lire e pagando le azioni a un prezzo quadruplo rispetto alle quotazioni di Borsa.
Per Gheddafi, scopre Gianni Agnelli incontrandolo a Mosca, si tratta di un puro investimento finanziario. Ma quei soldi libici, osserverà Romiti, «sono serviti molto».
Quindi concentra i suoi sforzi, in un periodo in cui in azienda c'è molta confusione e sono in molti a chiedersi se l'auto abbia un futuro, le Brigate Rosse colpiscono anche dirigenti e capiofficina del gruppo, il sindacato è molto forte (nel 1975 Gianni Agnelli ha firmato in poche ore come presidente della Confindustria l'accordo sulla scala mobile, accettando senza nemmeno discuterlo il massimo richiesto dal sindacato, cioè il punto unico di contingenza per tutte le categorie), nel riorganizzare la holding del gruppo: solo nel 1980 sarà pronto il primo bilancio consolidato.
Nel luglio 1980 Umberto Agnelli lascia gli incarichi operativi dopo avere rilasciato un'intervista a la Repubblica in cui chiede provocatoriamente la svalutazione della lira e la possibilità di operare come operano i concorrenti, cioè licenziando.
Molte le polemiche. È Enrico Cuccia a chiedere il suo passo indietro sostenendo che le banche sono molto preoccupate per i debiti del gruppo e chiedono interventi urgenti: Umberto si limiti quindi a fare l'azionista.
E la stessa cosa chiede a Gianni Agnelli. Così, in questa netta separazione tra azionisti e management, Romiti, che ha la piena fiducia di Cuccia, diventa amministratore delegato unico del gruppo. E affronta con decisione il nodo dei costi, annunciando il licenziamento di 14 000 dipendenti.
Lo scontro con il sindacato è forte, Fiat Mirafiori è bloccata dai sindacati per oltre un mese, Enrico Berlinguer assicura il sostegno del Pci nel caso di occupazione della Fiat ma tutto si risolve con la marcia per le vie di Torino di quarantamila persone, molte sono quadri Fiat, che esprimono il loro malessere e chiedono di poter lavorare.
Alla fine la pace torna in fabbrica e Romiti dirà «Nei primi anni ottanta il silenzio del sindacato colpiva».
Il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta segnalerà a Romiti come la svolta alla Fiat sia «l'unico fatto politico vero degli ultimi dieci anni: ha cambiato tutto il sistema delle relazioni industriali, ha messo ko il sindacato, ha ribaltato i rapporti tra la classe politica e quella imprenditoriale».
La Fiat riprende a fare utili, lancia nuovi prodotti, sestuplica in fabbrica il numero dei robot, chiude nel 1982 lo stabilimento del Lingotto, aumenta gli investimenti, riduce il numero dei dipendenti (dai 320 000 nel 1980 ai 225 000 di sei anni più tardi), compra Il Corriere della Sera e la Rizzoli, l'Alfa Romeo, la Snia Bpd, le assicurazioni Toro, entra attraverso la Gemina nella Montedison presieduta da Schimberni.
Si libera anche della presenza di Gheddafi e dei libici: ottengono (se ne occupano Romiti e Gianluigi Gabetti) sei volte tanto l'investimento effettuato dieci anni prima.
Gianni Agnelli parlerà di «meravigliosi anni ottanta», i giornali di «strapotere Fiat», in un'intervista Bettino Craxi annovererà Romiti tra i «proconsoli energumeni» degli imperi industriali, Luciano Lama lo definirà «un estremista dell'impresa».
Nel 1987 la Fiat ha un fatturato proiettato verso i 40 000 miliardi di lire, cosa che fa dell'azienda torinese il secondo gruppo italiano, dietro all'Iri. Il merito è di Romiti e di Vittorio Ghidella, il responsabile del settore auto, quello che azzecca una vettura dietro l'altra, dalla Uno alla Thema, dalla Y10 alla Croma.
Il 1989, con utili netti di ben 3.300 miliardi di lire provenienti per l'85% dal settore auto, rappresenta il capolinea di quegli anni di forte sviluppo.
Poi scoppia la guerra del Golfo e le vendite di auto calano, nel 1990 il marchio Fiat scende in Italia sotto il 40% e scivola al 10% in Europa.
Gianni Agnelli pronuncia una frase diventata famosa: «La festa è finita».
Nel 1992 Gianni Agnelli ribadisce che da lì a un anno avrebbe ceduto il suo ruolo al fratello Umberto e anche Romiti annuncia a sua volta che non sarebbe rimasto un minuto in più dell'Avvocato: «Siamo una coppia, insieme abbiamo lavorato, insieme ce ne andiamo».
Ma interviene Mediobanca: per dare liquidità all'azienda che ne ha di nuovo bisogno, Enrico Cuccia impone un aumento di capitale di 4 200 miliardi, il più grande fatto sino ad allora in Italia.
Chiede anche che Romiti resti nel suo incarico. Così il 28 settembre il consiglio d'amministrazione della Fiat rinnova per tre anni il mandato di Gianni Agnelli e di Romiti.
Nel dicembre 1995 Agnelli fa sapere che nel marzo successivo, al compimento dei 75 anni, avrebbe ceduto la presidenza effettiva della Fiat a Romiti. Gli dice: «Lei non è molto più giovane di me, ma ha ancora due anni per arrivare alla fatidica soglia».
Nella storia della Fiat Romiti sarà così il secondo presidente non appartenente alla famiglia e manterrà l'incarico fino al compimento dei 75 anni, nel giugno del 1998.
Anche il gruppo Fiat sarà travolto dalla bufera di Tangentopoli. Nell'aprile 1997 Cesare Romiti è condannato, insieme ad altri manager dell'azienda.
All'indomani della condanna esce una lettera di solidarietà a Romiti firmata da Enrico Cuccia e altri quaranta personaggi di primo piano della finanza e dell'imprenditoria italiana.
Fa sensazione la presenza della firma di Cuccia, conosciuto per la sua grande riservatezza.
Confiderà Romiti: «In quell'occasione ha giocato il mio strettissimo rapporto con Cuccia. E poi la convinzione che si stava esagerando. Cuccia diceva che la politica non si rendeva conto di essere arrivata a un tal punto di depravazione da rendere impossibile il lavorare onestamente».
Nel 2000 la Cassazione conferma la condanna a undici mesi e dieci giorni di reclusione per falso in bilancio, finanziamento illecito dei partiti e frode fiscale relativa al periodo in cui ricopriva la carica di amministratore delegato del gruppo Fiat, consigliere in RCS MediaGroup e Impregilo.
La Corte di Appello di Torino, in data 4 dicembre 2003, in accoglimento dell'istanza di incidente di esecuzione, ha revocato la sentenza di condanna per falso in bilancio dichiarando che il fatto per cui era stata emessa sentenza non è più previsto dalla legge come reato.
Dopo l'uscita dalla Fiat e avere rifiutato due offerte (una dalla Zanussi e una da Silvio Berlusconi), diventa imprenditore in proprio. Guida la società finanziaria Gemina (come liquidazione aveva chiesto ad Agnelli la possibilità di acquistarne una quota) che controllava RCS, di cui Romiti è stato presidente dal 1998 al 2004 (successivamente sarà presidente onorario) e la società di costruzioni e ingegneria Impregilo.
Nel maggio 2005 entra nel patto di sindacato degli Aeroporti di Roma. Nel 2007 la famiglia Romiti (Cesare e i due figli Maurizio e Piergiorgio) viene progressivamente estromessa prima da Gemina, quindi da Impregilo, poi da Aeroporti di Roma.
Sposato dal 1948 con una sua coetanea, Luigia Gastaldi, Gina per tutti, donna molto riservata, impegnata negli anni novanta nell'associazione Area per l'assistenza ai disabili, morta nel 2001.
Due i figli: Maurizio (1949) e Piergiorgio (1951).
Si ringrazia Wikipedia per le foto.