Giappone, un viaggio sorprendente/ 1 – Di Luciana Grillo
La prima puntata di un viaggio in «una terra inattesa, con spiagge bianche e luminose, luoghi intrisi di silenzio e spiritualità, templi immersi nei giardini»
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Pensi al Giappone e immagini ciliegi in fiore e donne in kimono, oppure file ordinate di individui sempre pronti a fotografare, oppure ancora robots e apparecchi tecnologici…
Il mio viaggio nell’arcipelago giapponese, con brevi puntate in sud Corea e a Taiwan – via mare – mi ha fatto scoprire una terra inattesa, spiagge bianche e luminose, mare di un blu polinesiano da cartolina, luoghi intrisi di silenzio e spiritualità, templi immersi in giardini o incastrati nelle rocce ad un passo dal mare.
E poi le città, ricche e ordinate, pulite e ariose, anche se fitte di grattacieli.
Procediamo con ordine: Tokyo è la capitale, grande ma accogliente, dove la metropolitana sfreccia da una parte all’altra: i vagoni vengono puliti da apposite squadre ad ogni cambio di direzione, così che si possano non solo togliere le impronte da maniglie e vetri, ma anche ruotare i sedili secondo la direzione di marcia.
Gli utenti sono silenziosi e tranquilli, in fila attendono ai lati delle porte che escano i passeggeri, per entrare e sedersi lasciando sempre liberi i posti destinati ad anziani, a donne con bambini, a invalidi.
Sull’isola artificiale di Odaiba, un nuovo grande centro commerciale presenta all’ingresso principale un gigantesco robot – Gundam – che di notte si illumina e si anima, mentre di fronte la Statua della Libertà, simile a quella di New York e donata dalla Francia, invita a passeggiare in vialetti dai quali si può vedere lo skyline della città.
Non lontano, si trova Shinjuku, il quartiere dei grattacieli progettati da archistar, come il Cocoon Tower di Tage Kenzo e le due torri del palazzo metropolitano nel quale si può entrare senza problemi per salire in alto e godere di un panorama a 360° dall’Osservatorio.
Nel centro della città, protetto dagli alberi di un grande parco, compare inatteso un santuario shinto costruito per venerare l’imperatore Meiji che nel 19° secolo modernizzò il Giappone, facendolo uscire dal feudalesimo.
Ci sono capitata di domenica e ho avuto la fortuna di vedere intere famiglie, signore con bimbe in kimono e maschietti in katami, giovani assorti in preghiera, pronti a purificarsi con l’acqua di una fontana, a battere le mani, a inchinarsi, secondo tradizione.
Nella natura gli shintoisti vedono un dio, dunque la rispettano e la proteggono. A pochi passi, il brulicare dei ragazzi che in Takeshita Street si incontrano, fanno i loro acquisti e mangiano nei locali di street-food, come tutti i ragazzi del mondo.
Chi ama gli animali, si ferma nei locali dove gatti, o cani, o gufi, si lasciano pigramente accarezzare. Tokyo offre contrasti improvvisi: nel cuore della città una foresta circondata dall’acqua del fossato preserva il palazzo imperiale dove la famiglia dell’imperatore vive come in un’oasi.
Si attende l’abdicazione ufficiale dell’imperatore a favore del figlio primogenito che ha solo una figlia femmina.
Se non si predisporrà una nuova legge, la bimba non diventerà imperatrice e il potere passerà nelle mani del secondogenito.
In fondo alla strada una stazione vittoriana in mattoni rossi fa pensare alla stazione coloniale di Bombay.
La visita di questa città che sorprende a ogni angolo si avvia alla conclusione, ma non si possono tralasciare né Akihabara, il quartiere dell’elettronica e della subcultura (fumetti e cartoni animati), né il «vecchio» mercato del pesce – Tsukiji – dove fanno bella mostra di sé magnifici tranci di tonno, crostacei e alghe insieme a buste di cappesante essiccate utilizzate per preparare ottimi brodi.
Al mio fianco sempre Chen, guida competente e gentile che fin dalla prima sera mi ha offerto un cestino di frutta e mi ha fatto capire l’anima e la sensibilità di questo Paese e del popolo che lo abita. Parla un italiano impeccabile, perfezionato a Firenze.
Mi attende la nave, una nave da crociera italiana, Costa Neo Romantica, che mi farà scoprire anche un Giappone meno ovvio, quello cosiddetto «minore».
Ma un cenno all’albergo dove trascorro la prima notte giapponese è obbligatorio: piccolo, luminoso, accogliente, ha una hall con grandi vetrate che fanno entrare all’interno alberi e fiori.
La camera è piccola, ma c’è tutto, nel segno di una razionalità rigorosa, dal bollitore all’appendiabiti, dalle pantofole al pigiama spiegato sul letto.
Il bagno è piccolissimo, un unico rubinetto fa scorrere l’acqua nel lavabo e nella doccia.
Di fronte al water, una plancia di comando: pulsanti diversi per un bidet guidato, soft o intenso, caldo o tiepido.
Confort massimo. Intorno, silenzio. Finestra oscurata con un efficace pannello.
Prima colazione ricca, sapori orientali, ma anche pane tostato e marmellate.
Tutto è esposto con ordine, gli ospiti dell’albergo, di varie nazionalità ed età, si servono con discrezione e parlano a voce bassa, per non rompere un incantesimo.
(Continua)