Autonomie di Trento e Bolzano, una storia da rileggere oggi / 26

Trento e Bolzano, due autonomie parallele con pochi rapporti – Di Mauro Marcantoni

L’approvazione del secondo Statuto nel 1971-72, e la complessa fase di avvio del nuovo sistema tripolare, monopolizzò quasi totalmente l’attenzione politica di gran parte dei partiti presenti in Provincia di Trento.
La costruzione della seconda Autonomia era infatti diventata centrale nell’agenda di tutte le forze politiche che volessero realmente confrontarsi con il territorio.
Il contesto istituzionale che ne nasceva era fondato su una struttura trilaterale, nella quale le due Province autonome avevano assunto un ruolo centrale, tanto sul piano istituzionale che delle funzioni, all’interno della comune cornice regionale.
Cornice nella quale la dialettica con la politica sudtirolese era diventata però non più così essenziale, e il dialogo tra le due culture autonomiste si era di conseguenza ridotto, tranne che nei rapporti con lo Stato.
 
Lo strumento fondamentale per l’implementazione istituzionalizzata della nuova autonomia provinciale era infatti quello della norma di attuazione, con cui dare concretezza alle competenze concesse dal secondo Statuto e operare nuove deleghe e trasferimenti dal centro alle Province.
Per gestire adeguatamente il processo di approvazione di tali norme, nella Commissione dei 12 – ancora una volta – la politica trentina e la politica altoatesina si trovano quindi a dover collaborare.
La necessità di negoziare costantemente con il centro, inoltre, sottendeva la necessità di un lungo processo di attuazione della nuova autonomia in cui la vocazione autonomista della DC trentina ha avuto occasione di emergere con una interlocuzione con la politica nazionale di tipo rivendicativo su problemi concreti, secondo un approccio di buon governo dell’autonomia utile anche all’autonomismo etnico sudtirolese.
 
In questo contesto la politica trentina è stata infatti particolarmente attenta alle richieste di autonomia delle popolazioni, sia trentine che sudtirolesi, e proprio la DC trentina si poteva presentare a negoziare con il Governo centrale come componente locale del partito nazionale di maggioranza relativa, in posizione di forza.
La classe politica democristiana locale, in questo contesto, divenne quindi particolarmente consapevole del fatto che l’autonomia si rafforzava e si promuoveva proprio a Roma, grazie a un’azione condotta da personalità influenti nel partito quali Flaminio Piccoli.
Consapevolezza che era percepita anche in ambito sudtirolese, al punto che, non di rado, l’SVP si avvaleva dell’influenza democristiana per risolvere questioni particolarmente delicate o intricate.
 
Se gli anni ’70 furono un decennio di consolidamento delle due autonomie provinciali, in cui la collaborazione tra Trento e Bolzano era ancora abbastanza accentuata, dagli anni ’80 ciò iniziò a degradare, a conferma della separazione delle politiche delle due Province, oramai dotate di competenze proprie e organiche.
La politica trentina manifestò peraltro in questa fase una forte capacità di sperimentazione, soprattutto sotto la guida di Flavio Mengoni, ma tale capacità non venne coordinata con l’azione politica posta in essere in Alto Adige, nonostante i problemi concreti fossero analoghi.
Così si radicò via via l’idea che le due autonomie potessero vivere e operare distintamente ancorché formalmente ancorate ad un unico Statuto.
 
In questa prospettiva, neppure la Regione costituì un soggetto in grado di avvicinare le due autonomie provinciali, limitandosi ad essere un’«appendice» a cui si ricorreva quasi esclusivamente per scopi utilitaristici.
La DC procedeva così nella sua attività di governo, ma dopo le esperienze di Giunte monocolori, anche con forze meno caratterizzate localmente come quelle di estrazione socialista.
La scelta fu quindi quella di replicare le alleanze consolidate sul piano nazionale, piuttosto che tentare di coinvolgere le forze autonomiste, rafforzando la propria vocazione territoriale.
 
Mauro Marcantoni
(Precedenti puntate)