Racconto di Pasqua – «Quell’ultimo volo del Gobbo maledetto»
Seconda e ultima parte di un’avventura che avremmo voluto che accadesse davvero
Seconda parte – Precedente.
Purtroppo, anche questa seconda parte del racconto è, come la prima, frutto di pura fantasia. Di conseguenza, fatti, cose o persone sono del tutto immaginari. Qualsiasi riferimento è pertanto puramente casuale. |
«Torrisi, per favore mi dà la rotta per Karachi?»
Il comandante Fuchs aveva comunque già cominciato la virata a dritta.
Torrisi scartabellò, prese il goniometro e gli diede la rotta.
«348 gradi Nord.
«Se è 348 è nord per forza.»
Non rispose.
Dopo due ore arrivarono in posizione.
«Chieda a Notredame il permesso di chiamare la torre di controllo di Karachi.»
Dopo qualche scambio di messaggi, il motorista cambiò lunghezza d’onda e chiamò in inglese la Torre dell’aeroporto internazionale Jimmah di karachi.
«Vi abbiamo inquadrato, – disse la voce in inglese. – Conoscete l’aeroporto?»
«No, però il pilota l’ha studiato.»
«Allora gli dica di prendere la pista 13. Direzione sud-sudovest.»
Fuchs guardò automaticamente l’orologio. Era tarda mattinata, ora della brezza di mare.
«Che diavolo di aereo avete?» – Chiese l’operatore.
«Un trimotore a elica.»
«lo vedo, – rispose la voce. – Ma non ne fanno più trimotori a elica...!»
«Lo so.»
E così, al momento dell’atterraggio, pur avendo seguito le istruzioni alla perfezione, notarono che lungo la pista avevano dislocato gli automezzi dei vigili del fuoco… Bella fiducia.
L’atterraggio avvenne senza problemi e un’auto corse all’aereo prima ancora che si fermassero i motori.
Scese un uomo. I due passeggeri aprirono il portello e quello salì a bordo.
«Come sta comandante?» – Gli chiese affabilmente l’uomo, che era italiano, non appena infilata la testa in cabina.
«Bene grazie». – Rispose Fuchs, che si era alzato per scendere e sgranchirsi le gambe.
«La nostra idea è di fare il pieno immediatamente e ripartire il più presto possibile, – disse l’uomo. – Sono consigliere d’ambasciata e devo dirle che c’è un certo intreccio di messaggi allarmanti.»
«lo immaginiamo. – Rispose il comandante. – Non abbiamo fatto dogana… ha ha!»
«Avanti allora. – Indicò il piccolo automezzo appena arrivato per fare rifornimento. – Posso fare il viaggio con voi?»
«Anche lei non vuole fare dogana?»
«Beh, ho il passaporto diplomatico, ma e mi accettate mi semplificate la vita…»
Tra una cosa e l’altra l’aereo ripartì alle 15. Nessun problema con le autorità, ma il riuscire a prendere l’autorizzazione al decollo richiese più del previsto. Fuchs ne aveva approfittato per riposare. Era l’ora in cui a casa sua dormiva più facilmente. Quando si svegliò era fresco come una rosa. In confronto agli altri, che avevano meno della metà dei suoi anni, era decisamente un fenomeno.
Appena giunto in quota, stavolta a 5.000 piedi, il motorista gli diede la nuova rotta.
«3-3-5 per 100 miglia, poi 3-5-5. Quasi nord.»
«Quota delle montagne?»
«Siamo vicini al tetto del mondo… – Rispose titubando. Il K2, seconda montagna più alta del mondo, è in Pakistan. – Ma il passaggio è stato previsto risalendo l’unico fiume dell’Afghanistan che si butta nell’Indo, il Kabul. Porta il nome della capitale.»
«Quota?»
«La vallata del Kabul è stretta, ma il fiume non supera i 1.800 metri di quota.»
«Allora ci portiamo a 6.500 piedi.»
L’aereo impiegò un po’ a raggiungere la quota voluta, consumando più del previsto e affaticando un po’ i motori, che non erano proprio freschi di rodaggio… Il motorista espresse un po’ di preoccupazione, ma quando il diplomatico italiano salì in cabina, entrambi evitarono di mostrare problemi.
«Tutto prosegue come si deve?» – Chiede il nuovo passeggero.
«Siamo un po’ più lenti del previsto, ma tra due ore entriamo nel cielo dell’Afghanistan.»
«Bene allora. A carburante come stiamo?»
«Non si preoccupi, – disse il pilota, con una battuta che usava in guerra. – A terra si arriva sempre…»
L’uomo si ritirò in carlinga.
Come previsto, alle 18 - ormai la luce era rimasta solo a occidente - passarono il confine del Pakistan con l’Afghanistan. Il motorista informò i passeggeri infilando la testa nella botola.
«Tra altre due ore arriviamo.»
«Abbiamo abbastanza carburante?» – Domandò di nuovo il diplomatico.
«No. – Rispose Fuchs.»
Scoppiò il silenzio.
Dopo meno di due ore, Fuchs mandò a chiamare il diplomatico.
«Non ce la facciamo ad arrivare a Herat. – Gli disse indicando la freccia dei serbatoi. – Prenda la radio e faccia sapere a Notredame che atterreremo tra un’ora a Shindand.»
«A Shindand? Ma ce l'avranno un aeroporto?»
«Non ne ho idea. Ma è lì che atterreremo, perché è la prima base raggiungibile di pertinenza italiana.»
Il diplomatico parlò a lungo con i suoi, mentre il pilota si stava abituando alla luce della luna. Era Pasqua e la luna era al punto giusto. E il cielo sereno. Era il momento che più amava del volo. Lui, la notte, la luna, la vista che si adattava. Sotto di lui il mondo, sopra le stelle. Gli venne in mente la poesia di Giacomo Leopardi, canto notturno di un pastore errante per l’Asia. Provò un attimo di commozione, poi si riprese. «Sto invecchiando, disse tra sé e sé».
«Ci aspettano a Shindand. – Disse il consigliere d’ambasciata. – Abbiamo kerosene per arrivare fin lì?»
«Non so, ma lì comunque arriviamo…»
Dopo mezzora ripresero le conversazioni con la radio.
«La pista non è illuminata…»
«Nessuno è perfetto.»
«Non stia a scherzare. Cosa posso chiedere di fare?»
«Gli dica di portare degli automezzi a illuminare la pista con i fari controvento. Anzi, no. Li faccia mettere in direzione sud-nord. Non avremo modo di cambiare approccio.»
Il kerosene finì esattamente un minuto prima dell’atterraggio. Le eliche continuavano a girare, per cui solo il motorista, oltre al pilota, si accorse che giravano spinte dall’aria. Meglio così: evitate scene di panico.
L’aereo atterrò senza problemi esattamente alle 20.34, ora locale. In Italia erano le 16.04. Aveva avuto la fortuna che c’era un forte vento contrario e l’atterraggio era venuto da manuale.
«Ho sempre riportato l’aereo alla base…»
Subito si fecero attorno i mezzi blindati dell’esercito italiano, a protezione del velivolo.
Qualcuno aprì il portellone e il comandante della Base, colonnello Corrà, salì a bordo. Salutò militarmente il comandante Fuchs.
«Benvenuto in Afghanistan, comandante. Ho l’ordine di scortarvi fino al CH-47 Chinook che vi porterà a Herat.»
Scesero dal Gobbo maledetto e si portarono a piedi fino a uno dei due Chinook. In teatro di guerra vengono sempre fatti volare in coppia.
Un quarto d’ora dopo erano in volo. Fuchs ne approfittò e dormì per tutto il tragitto. Poco, ma sufficiente: mezzora dopo erano alla base di Herat.
Ad attenderli, il generale comandante Bellini e il suo staff dello Stato Maggiore, compreso il colonnello comandante dell’aeronautica di Herat, colonnello Borgonovo. C'era anche il comandante del genio, colonnello Di Pietro, che era amico del diplomatico.
«Avevi ragione, – gli disse quest'ultimo. – Fuchs è un personaggioo unico al mondo.»
«Le do il benvenuto a nome del ministro della Difesa. – Disse il generale. – Vi abbiamo fatto preparare un lauto pranzetto alla mensa. Poi riposerete qui nella palazzina comando. Domattina il C130 vi porterà a Abu Dhabi. Vi sarà ad attendervi un Airbus dell’Aeronautica militare.»
Fuchs mangiò poco e dormì poco, ma ormai si stava rilassando. La sua missione, dal punto di vista operativo, era finita. Il Savoia Marchetti «S.M.79 Sparviero» sarebbe stato smontato con calma e trasportato in Italia con le dovute cautele.
Il volo fino ad Abu Dhabi fu fastidioso. La distanza in linea d’aria era di soli 1.332 km ma, per motivi immaginabili, la rotta prevedeva il sorvolo del Pakistan per evitare i cieli dell'Iran per poi risalire il Golfo Persico costeggiando l’Oman. Totale, quasi tre volte in più.
Anche se sedeva in cabina, nel divano per gli ospiti, non era un bel viaggiare. Il volo tattico che il pilota doveva fare per ordine del Comando operazioni per evitare eventuali razzi dei talebani, rendeva il tutto insopportabile per chiunque non pilotasse l’aereo.
«Vuole pilotare lei, comandante?» – Chiese il pilota.
Fuchs ci pensò, poi ringraziò, sorrise e rispose di no.
Quattro ore dopo atterravano ad Abu Dhabi e Fuchs guardò i grattacieli che si stagliavano disseminati un po’ in tutta l’area. Scosse la testa e si preparò a scendere.
Sbarcato, lesse ironicamente ad alta voce la scritta: «Si prega ti tenere le armi individuali sotto la giacca.»
Le operazioni di trasbordo richiesero un paio d’ore, poi finalmente i nostri personaggi presero posto a bordo dell’Airbus dell’Aeronautica militare. L’aereo era bianco con il solo numero di identificazione, con la scritta della nostra aeronautica in dimensioni discrete. Per tutti era un normalissimo aereo commerciale.
Dopo il decollo, i militari portarono da mangiare ai passeggeri. Insalata di pasta fredda, tutto sommato accettabile. Chi lo voleva aveva anche del vino. Provenendo da un paese musulmano, dove l’alcol era difficile da trovare anche alla base, qualcuno gradì un bicchiere perché era come anticipare il ritorno a casa.
Ci vollero un po’ meno di sei ore perché l’aereo atterrasse a Pratica di mare, dove la nostra aeronautica ha una base di 830 ettari. Tenendo conto che un campo da golf 18 buche di ettari ne richiede solo 40, chi l'aveva progettata negli anni Trenta era davvero lungimirante: aveva costruito una delle basi più grandi d’Europa.
Ora aveva una pista asfaltata di due km e mezzo, vietata ai voli commerciali.
Due pullman color oliva vennero a prendere i passeggeri in tuta mimetica e li portarono in un capannone. Nel giro di una mezzora avrebbero ricevuto i propri bagagli, come in un volo civile.
Fuchs, Torrisi e i tre passeggeri del Gobbo maledetto, tuttavia, non vennero fatti scendere. Scaricati i militari, furono portati nei pressi di un altro capannone. Lì scesero e vennero accompagnati all’interno della costruzione. La luce era diffusa e fecero fatica ad abituare la vista.
Un ufficiale dell’Aeronautica li accompagnò quasi in fondo, poi vennero fermati. Nessuno fece domande, sapevano che avrebbero capito tutto presto.
E poco dopo, infatti, si aprì una porta ed entrarono degli uomini. Fuchs riconobbe solo uno di loro, il ministro della Difesa. Il quale gli si fece incontro con un sorriso.
«Comandante Fuchs, Buona Pasqua!»
«Missione compiuta, signor ministro!» – Gli rispose Fuchs.
«Il Paese le è immensamente grato…!» – Rispose il ministro.
Poi il diplomatico salito a Karachi prese sotto braccio i due passeggeri caricati a Mumbay e li portò al cospetto del ministro e degli alti ufficiali.
«Signor Ministro – disse Staffan de Mistura, – ecco a voi Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.»
I due erano in borghese e pertanto dovettero limitarsi a fare il saluto militare battendo le mani suii fianchi e sbattendo i tacchi.
«Signor Ministro, maresciallo Latorre e sergente Girone, Comandi!»
Il ministro apprezzò il saluto, ma poi andò ad abbracciare i due fucilieri di Marina. Erano stati tenuti prigionieri ingiustamente due anni in India e adesso erano finalmente tornati in Italia.
Gli ufficiali presenti lanciarono il berretto in aria e gridarono tre volte Urrah!
Il dottor Fuchs non era mai stato accolto così, neanche al ritorno vittorioso da una missione difficilissima. Sentì un attimo di commozione salirgli alla gola, ma lo bloccò. «Sto invecchiando», disse nuovamente tra sé e sé.
Rimase a godersi la scena, notando che tra i presenti c’era anche l’ambasciatore italiano in India e l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi.
Poi andarono tutti al buffet che avevano preparato di fianco e lui si permise di godersi il parmigiano trentino che qualcuno aveva pensato di far arrivare dalla sua provincia. Evitò con cura lo spumante, ma si lasciò gustare un calice di vino bianco fermo gelato. Lesse sull’etichetta che si trattava di un Silvaner.
«Comandante, dobbiamo parlarle. – Gli disse poi un generale che non conosceva. – Può venire di là in sala comando?»
Entrarono praticamente tutti, ma almeno potevano parlare senza dover gridare.
«Vi ricordo l’impegno che vi siete presi quando venne approvata l’operazione. – Disse lo stesso generale che li aveva fatti entrare. – Le cose sono andate così. Il dottor Fuchs è andato a Mombay a prelevare l’aereo in veste di unico pilota capace di provarlo in volo. Aveva bisogno di peso e ha fatto salire i due marò, che erano lì per caso.»
Delle risatine sfuggirono ai presenti.
«La colpa è stata del comandante Fuchs, che di sua iniziativa è partito per l’Italia senza fare altre prove. In tutti i casi, nessuna autorità italiana sapeva nulla di tutto questo. E i due marò sono scappati contro la propria volontà.»
L’idea era nata dall’ex ministro Terzi e a progettarla era stato un alto ufficiale dei servizi segreti militari, di cui non venne fatto il nome.
Quando venne prospettata in chiaro l’operazione al comandante Fuchs, questi aveva accettato di buon cuore, dicendo che anzi avevano aspettato troppo.
L’ambasciatore italiano in India era stato prudenzialmente fatto rientrare. Con gli indiani non si sa mai, quindi non vi sarebbe più tornato. Avrebbe assunto la guida di un’altra ambasciata importante.
Poi venne formulata la versione ufficiale. Il Ministro della Difesa avrebbe dato l’annuncio al paese, dicendo che non ne sapeva nulla e che condannava l’iniziativa presa a sua insaputa. Avrebbe preso i giusti provvedimenti con i responsabili dell’iniziativa che avrebbe potuto incrinare i magnifici rapporti in essere tra l’Italia e l’India. Era tuttavia certo che la sua autorità non gli consentiva di ordinare ai due fucilieri di Marina di tornare in India.
Qualche giorno dopo l’India, da parte sua, espresse la propria preoccupazione. Punto.
Il Savoia Marchetti S.M.79 Sparviero venne smontato a Shindand e trasportato a Herat. Da lì venne caricato in un container per poi essere consegnato al Museo Caproni di Trento circa un mese dopo. Venne montato e fece bella figura in coppia con l’altro Gobbo maledetto che lo stesso Fuchs aveva trovato in Libano.
Un mese dopo il ritorno a casa, gli venne consegnata - rigorosamente per posta - un’altra medaglia, la cui motivazione era doverosamente nebulosa.
Poco dopo lo raggiunse una raccomandata. Gli veniva comunicato che il certificato medico era scaduto e che avrebbe potuto volare ancora sì, ma solo con a fianco un secondo pilota.
GdM
Fine - Precedente.
Foto Wikipedia
Dedicato a Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
Piani di volo
Roma – Atene: 657 miles, pari a 1052 km.
Atene – Mumbay: 3.235 miles, pari a 5.176 km.
Mumbay – Karachi: 866 miglia, pari a 1.394 km.
Karachi – Shindand: 869 miles, pari a 1.398 km.
Shindand – Herat: 158 miles, pari a 638 km.
Shindand-Herat: 130 miles, pari a 208 km.
Herat – Adu Dhabi: 828 miles, pari a 1.332 km.
Abu Dhabi – Pratica di Mare: 2.680 miles, pari a 4.302 km.