La classe dirigente italiana secondo Paolo Virzì
È «Il Capitale umano» di Virzì, otto nomination ai David di Donatello 2014, il film che ha concluso la rassegna «Cineconomia»
«Una pellicola in tema con il Festival - per Marco Onado, economista e cinefilo, nonché curatore dell’iniziativa - perché ci fa vedere cosa è stata la classe dirigente italiana degli ultimi venti anni, sullo sfondo finale della crisi, che ha fatto quasi sparire il ceto medio acuendo la contrapposizione tra i ricconi disonesti e speculatori e i poveracci che cercano di diventare anche loro speculatori per evitare il fallimento.»
Il regista salva, però, le donne che volano alto sopra le differenze di status.
A loro è affidato il ruolo di chi non perde valori e principi, ma rimane saldamente ancorato al buon senso e all’amore.
Siamo in una provincia italiana dove due famiglie, una ricca e una povera, intrecciano i loro destini per via di un incidente esterno.
Le reazioni diverse all’evento ci danno la misura dei punti di vista dei personaggi, interpretati da un cast di alcuni tra i migliori attori italiani: Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio.
Paolo Virzì si è ispirato al thriller «Human Capital» dello scrittore americano Stephen Amidon, ambientandolo in una provincia del Nord Italia.
Una premessa obbligata, viste le polemiche all’uscita del film.
La provincia brianzola, location delle riprese, si è sentita messa sotto accusa. Il bersaglio del regista non è il Nord «opulento», ma la società capitalistica nel suo complesso, della quale restituisce un’immagine beffarda e grottesca.
Un film diverso da tutti gli altri, perché non ha nulla della gigioneria delle pellicole, che hanno fatto amare Virzì dal grande pubblico.
I toni sono decisamente bassi e tendono al drammatico. La vicenda comincia una notte, sulla provinciale di una città brianzola, alla vigilia di Natale, con un ciclista investito da un Suv.
Questo incidente diviene l'espediente grazie al quale narrare la vita di diversi personaggi appartenenti a due famiglie: quella dei Bernaschi composta da Giovanni, Carla, sua moglie, e il loro figlio, appartenenti all'opulenza di un mondo legato alla speculazione finanziaria e quella degli Ossola, in cui Dino, compagno di Roberta, psicologa, rappresenta un ambizioso e immobiliarista sull'orlo del fallimento, «vorrei ma non posso».
Completa la famiglia Serena, una ragazza legata sentimentalmente al figlio dei Bernaschi. L’impianto narrativo del film, per Marco Onado, si inserisce con coerenza nel tema del Festival, perché ci parla di una realtà sociale dove il «soldo» ha preso il posto di antichi valori, come l’amicizia e la condivisione.
Distorsioni del benessere, quando non è accompagnato da una crescita culturale e da consapevolezza, che riguardano tutte le classi sociali.
«Cosa resta del singolo individuo, della sua dignità ed irripetibile unicità, in un mondo in cui il denaro e il profitto economico rappresentano il solo incontrastato parametro valutativo di persone e cose?»
«E come vive poi quella società che determina aritmeticamente il prezzo di tutto, fino a definire “capitale umano” il parametro per stabilire la parcella assicurativa sulla vita?»
Questi gli interrogativi impliciti del film.