Salviamo a Trento gli affreschi di Palazzo Geremia
Appello al FAI e alla Provincia per il restauro – Di Alberto Pattini

Tra i palazzi più nobili e più belli di Trento è senza ombra di dubbio il Palazzo Geremia nella splendida via Belenzani.
Stiamo assistendo dal 1992, anno del restauro degli affreschi, anno dopo anno, alla progressiva perdita dell'intensità dei colori degli affreschi attribuiti al veronese Gian Maria Falconetto dedicati alla celebrazione dell'Imperatore Massimiliano I, incoronato nel Duomo di Trento nel 1508.
Nel restauro, come scelta, furono usati dei colori molto tenui al contrario di quelli usati per il vicino Palazzo Colico o di Casa Rella-Cazzuffi di Piazza Duomo. Abbiamo ancora in mente nel 1995 l'appello accorato del tecnico Agostini che dalle pagine dell'Adige, denunciava apertamente lo stato di degrado degli affreschi a distanza di due anni, dovuta alla tecnica troppo soft del restauro con l'utilizzo di materie prime degradabili dagli agenti atmosferici.
L'appello è rimasto inascoltato e ora certe scene a distanza di 20 anni, non sono visibili e la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi fino alla perdita di una pagina importante della nostra storia e della nostra arte rinascimentale.
Nel 2008 durante le celebrazioni della Provincia del cinquecentenario dell'incoronazione a Trento dell'imperatore Massimiliano I, l'Assessore Panizza, proprio a Palazzo Geremia in un discorso pubblico ci rassicurò di un intervento a breve di consolidamento dell'intensità degli affreschi.
Gli assessori passano ma gli affreschi restano ed ora necessitano di un intervento.
Vedremo se prevarrà l'indifferenza o la sensibilità?
LA STORIA
Fu costruito fra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, su commissione di Giovanni Antonio Pona, detto Geremia da maestranze locali, proprio per celebrare la magnificenza dell'Imperatore che lo aveva insignito della nobiltà.
Lo stile dell’edificio segna la transizione fra il tardogotico (evidente soprattutto all’interno) ed il rinascimentale (che domina l’esterno). Il nome dell’architetto non è noto.
Dopo l´estinzione della famiglia, nella prima metà del secolo XIX, qui fu collocato il Circolo sociale, a cui erano iscritti esponenti di spicco della cittadinanza.
Nel 1912 fu acquistato dal Comune, diventando la sede trentina della Banca d´Italia. In seguito fu a disposizione del Provveditorato agli studi e del Comando dei vigili urbani, fino al suo completo restauro tra il 1990 e il 1993 dell'arch Michelangelo Lupo.
Contemporaneamente furono anche recuperati gli affreschi della facciata e degli interni. I restauri portarono alla luce brani dipinti prima ignoti.
Il 2 dicembre 1993 il palazzo è stato riaperto, diventando la sede del primo cittadino.
GLI AFFRESCHI
Perfettamente integrata alla struttura architettonica è la decorazione ad affresco, sviluppata su tre livelli intervallati da fasce orizzontali marca piano con motivi a grottesca.
In alto, vari personaggi sontuosamente abbigliati occupano lo spazio di una finta loggia, dalla quale pendono preziosi tappeti orientali.
Tra le figure si riconosce agevolmente quella dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, raffigurato tre volte nell’atto di concedere udienza a notabili e ambasciatori. Tra di essi si distinguono per le toghe rosse gli ambasciatori della Serenissima. Probabilmente quest'immagine raffigura il congresso convocato per comporre le continue liti sulla delimitazione dei confini tra la Repubblica di Venezia e il Sacro Romano Impero.
Nella fascia mediana quattro grandi riquadri ospitano altrettante scene narrative: un consesso tra dignitari che assistono a una scena di lotta, l'allegoria della storica battaglia di Calliano del 1487, dove le truppe tirolesi dell'imperatore sconfissero Roberto da Sanseverino comandante dell'esercito della Serenissima; un cavaliere (Marco Curzio?); Muzio Scevola e una quarta scena ormai poco decifrabile (Sacrificio di Lucrezia?).
Del registro inferiore, molto deperito, sono ancora visibili la ruota della Fortuna e la gigantesca figura di un armigero, recante i colori araldici dei Pona Geremia, mentre sopra il portale è affrescata una Sacra Conversazione.
Assai dibattuti sono la datazione e la paternità del ciclo: l’ipotesi attualmente più accreditata è che si tratti di un’impresa decorativa completata entro il 1515 dal veronese Gian Maria Falconetto o da un suo epigono, coadiuvato nella parte figurata da un altro maestro, forse il bresciano Bartolomeo Montagna.
La serie di riquadri del registro superiore costituiscono il memoriale di una delle frequenti visite di Massimiliano I a Trento, tra il 1501 e il 1511: forse quella del 1508, quando il sovrano assistette nella cattedrale alla sua proclamazione quale «imperatore eletto» (scheda di R. Pancheri).
GIAN MARIA FALCONETTO
Gian Maria Falconetto nacque a Verona il 1468. Figlio di Jacopo, pittore, ebbe da lui i primi insegnamenti dell'arte.
Ma più che alla pittura si appassionò all'architettura che studiò sugli antichi monumenti cittadini. Si trasferì a Roma dove rimase dodici anni approfondendosi nell’arte prediletta, pur senza abbandonare la tavolozza.
Tornò quindi a Verona che era allora (1509) in subbuglio politico e parteggiò apertamente per l'imperatore Massimiliano I contro Venezia.
Caratteristico tipo di tribuno esercitava - col soprannome di «Rosso da S. Zen» - un grande ascendente sul popolo del suo rione.
Massimiliano lo ebbe caro e durante gli otto anni del suo dominio su Verona (1509-1517) lo colmò di privilegi.
A Verona Falconetto tornò alla pittura e dipinse tra l'altro le armi imperiali alla corte e sugli edifici pubblici, al posto degli stemmi veneti che l'imperatore - anticipando di tre secoli le gesta dei Francesi - aveva fatto distruggere.
Tornata Verona sotto la Repubblica Veneta, Falconetto, proscritto come ribelle dovette esulare con tutti i suoi e trovò ospitalità a Trento dove è rimasta traccia dell'opera sua e di quella dei fratelli e figli.
Più tardi, concesso il perdono, poté rimpatriare, ma passò poco dopo a Padova dove trovò la protezione di Paolo Bembo, e del Senatore Cornaro che lo accolse presso di sé con la famiglia e gli prodigò aiuti d'ogni sorta.
A Padova Falconetto si dedicò particolarmente all'architettura e legò il suo nome ad opere sempre ammirate come la Loggia Carnica, la Porta di San Giovanni Savonarola, l'Arco di Piazza dei Signori di Padova e alla Villa dei Vescovi di Luvigliano (Colli Euganei) che è considerata il suo capolavoro; la chiesa di Codevigo, il rusticale di Campagna Lupia ecc.
Falconetto è considerato uno dei primi a migliorare il gusto dell'architettura nello Stato Veneto e a condurla verso la perfezione. Fu anche bel parlatore arguto, faceto e modesto.
Per queste sue qualità e per l’eccellenza dell'arte divenne caro ed apprezzato ad ogni persona; stimato e reputato dopo morto. Coltivò nella pittura i figli Ottaviano e Provolo.
Dell'opera sua pittorica son rimasti a Verona parecchi saggi. Nel Museo di Castelvecchio: San Zeno e San Benedetto con l’Annunciazione (ante d'organo); Augusto e la Sibilla; San Giacomo Apostolo tra San Gerolamo ed altro santo (affresco).
Sono del Falconetto gli affreschi a grand’architettura che incorniciano le cappelle e gli altari del Duomo di Verona (lato destro) che risentono dell'imbiancatura del 1630 (epidemia) tolta solo nel 1870, l'affresco in S. Giorgetto dei Domenicani (lunetta sopra l'altar maggiore) rappresentante una balzana Annunciazione.
Altre opere gli sono attribuite. Appartiene al Falconetto la decorazione della Sala dello Zodiaco nel Palazzo Di Bagno a Mantova.
BIBLIOGRAFIA
Vasari; Lanceni; Dal Pozzo; Zannandreis; Simeoni; Cignaroli; Bernasconi; G. B. Giuliari; Gerola; Rigoni; Hermann; Gamba; G. Fiocco; Palladio.
Alberto Pattini
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