Democrazia e liberalizzazioni: la chiave dello sviluppo
Indagine su 155 Paesi di tutto il mondo. Persson: «La democrazia genera un circolo virtuoso e stabilità»
Nessun Paese con una lunga
esperienza democratica è povero. Esiste un circolo virtuoso che
rende possibile una reciproca influenza tra cambiamento economico e
politico e questo è motivo di speranza, soprattutto per i Paesi del
Terzo mondo e per quelli in via di sviluppo. È un segnale positivo
quello che oggi è stato lanciato al Festival dell'Economia di
Trento dall'economista svedese Torsten Persson, direttore
dell'Istituto di Studi economici di Stoccolma, esperto di
macroeconomia e economia internazionale e uno dei padri fondatori
della political economics, chiamato a Trento per discutere di
democrazia e sviluppo.
Nel suo seguito intervento a Palazzo Geremia, Perrson ha illustrato
i risultati di un'accurata indagine condotta su 155 Paesi di tutto
il mondo, che fotografa le diverse condizioni economiche tentando
un confronto con la situazione politica in atto dalla data di
nascita della democrazia (diversa in ogni Paese) fino all'anno
2000. Dai dati emerge innanzitutto una marcata e prevedibile
disparità economica tra i Paesi occidentali e il Terzo mondo (gli
Stati Uniti sono, ad esempio, ben 150 volte più ricchi di alcuni
Stati africani).
Le ragioni che determinano in un Paese situazioni di ricchezza o
povertà, stabilità o instabilità politica sono da alcuni decenni al
centro di accurate indagini di carattere economico, politologico e
storico. Negli ultimi due secoli si sono registrati cambiamenti
economici senza precedenti. L'economia è decollata in molti Paesi,
seguendo però ritmi estremamente diversi. Ciò ha portato a profonde
differenze nel tenore di vita. Anche sul versante politico si è
assistito a radicali mutamenti e a grandi passi avanti verso la
democrazia, che tuttavia ha preso piede a macchia di leopardo e non
sempre si è consolidata. Oggi, infatti, esistono nel mondo
esperienze democratiche che hanno origini e prospettive future
molto diverse tra loro.
Il cambiamento economico e quello politico, il tenore di vita e la
presenza di un'esperienza democratica sembrerebbero essere fattori
connessi. Gli studi e i dati disponibili dimostrano però che la
situazione è assai più complessa e che ogni valutazione è soggetta
a numerose variabili.
«Gli studiosi - spiega Persson nel presentare i risultati -
concordano nel riconoscere alla democrazia la capacità di
sviluppare la crescita economica, perché crea più stabilità e
condizioni più favorevoli per gli investimenti, grazie a politiche
più positive e prevedibili. D'altra parte, a promuovere la
democrazia è il reddito alto che incoraggia a ricercare maggiore
libertà e promuove la ricerca di valori immateriali. A rendere
possibile questa reciproca influenza virtuosa possono essere sono
alcune circostanze storiche, la vicinanza a Paesi che hanno una
storia democratica (come è avvenuto in Ucraina) o, semplicemente,
la fortuna.
«Tutte queste osservazioni possono dirsi corrette - commenta
Persson. - Tuttavia ritengo che occorra andare oltre e leggere
attraverso la storia le diverse tempistiche e le variabili che
hanno influenzato l'andamento delle diverse esperienze politiche ed
economiche. È importante, ad esempio, prendere in considerazione
alcuni altri fattori, come il livello di reddito pro capite
annuale, la solidità e la durata dell'esperienza democratica.»
La differenza nella combinazione di questi fattori risulta evidente
nell'analisi che Persson fa di Paesi come il Regno Unito (una
crescita stabile, con piccole variazioni), l'Argentina (un buon
inizio ma poi molti periodi di stagnazione economica), il Costa
Rica (dove l'andamento del reddito non segue quello della
democrazia), l'Uganda (dove non si può dire che il Paese sia
entrato in una vera fase di crescita economica sostenibile). In
Italia si è registrato una situazione iniziale di stabilità nella
crescita economica, con un rialzo all'inizio del 1900, un ristagno
nell'immediato primo dopoguerra e poi un boom di crescita. Nel
nostro Paese, l'introduzione della democrazia ha coinciso con la
crescita dell'economia.
«Le organizzazioni internazionali - prosegue Persson - insistono
molto da 15 anni sull'importanza della riforma democratica, che
oggi è divenuta un tema di forte attualità. E i risultati si
vedono. L'importante è capire che democrazia non significa soltanto
avere delle libere elezioni: questa è forma superficiale di
democrazia. Per avere davvero dei risultati contano altri fattori,
come gli ambiti sociali di provenienza dei candidati o i vincoli
che sussistono per i governi in carica. Vanno valutati con
attenzione anche altri parametri, ad esempio il livello della
sanità.»
«Non è detto, inoltre che l'autocrazia generi automaticamente un
ristagno o una flessione economica. Va analizzata bene la
situazione, perché esistono diversi tipi di regimi dittatoriali che
hanno effetti diversi sull'economia. Basti pensare alla Cina e a
Singapore, che pur non trovandosi in una situazione politica
democratica, registrano uno sviluppo economico spettacolare. In
linea generale, tuttavia, una democrazia, a differenza di una
dittatura, garantisce un apparato di regole (come il sistema
elettorale) utili alla stabilità. Ma anche le dittature sono
diverse tra loro: vi sono quelle militari o quelle che hanno esiti
positivi in campo economico perché sorrette dalla personalità di un
leader. La vera virtù della democrazia è quella di fornire un
meccanismo di selezione che consente nel tempo di mettere da parte
chi non funziona. Non si tratta soltanto di una mero sistema per
rappresentare gli interessi del popolo. In questo stanno la
trasparenza e la responsabilità che solo la democrazia può
garantire.»
Alla domanda se la democrazia promuova la crescita, ancora una
volta la risposta di Persson sta nella lezione della storia.
«Il passato insegna che occorre vedere le differenze geografiche e
culturali tra i Paesi. Non esiste un'esperienza univoca. Le riforme
non sono eventi casuali. I Paesi non hanno la stessa probabilità di
arrivare alla democrazia o di uscirne e i risultati del regime
democratico o dittatoriale non sono gli stessi.»
Per arrivare a dei risultati attendibili nell'indagine comparativa
Persson ha confrontato Paesi con situazioni analoghe.
«Dopo l'introduzione della democrazia si è registrata una crescita
dell'1%, mentre il passaggio dalla democrazia alla dittatura ha
fatto segnare un calo del 2% all'anno. Ma l'effetto della
democrazia sulla crescita dipende dalle politiche economiche, per
questo ci si è soffermati nell'indagine sull'analisi delle riforme
economiche su vasta scala sotto forma di liberalizzazioni. Queste,
unite all'apertura dell'economia al commercio e agli investimenti
esteri, generano una maggior crescita del 1%. Se poi la
liberalizzazione avviene prima della svolta democratica (come nei
casi di successo di Corea del Sud e Cile) si ha una crescita del
3,5%. La ricaduta positiva invece quasi si annulla se avviene
viceversa e la liberalizzazione è conseguenza dell'insediamento di
un potere democratico (come nelle Filippine e in Argentina).»
I dati indicano anche che un governo presidenziale possa avere
maggior effetto sulla crescita (1,5% in più) rispetto ad uno
parlamentare, che assume decisioni di politica economica diverse
(come una spesa pubblica maggiore del 5%).
«Alcune riforme - aggiunge Persson - avvengono casualmente,
sorprendentemente, come l'assassinio di un leader nel Terzo mondo
che mette fine alla dittatura. Altre avvengono gradualmente e sono
previste (pensiamo alla caduta di Franco). Se invece si è in
democrazia e le aspettative prevedono stabilità, si assiste ad una
ulteriore crescita economica.»
L'alto reddito rende dunque più probabile la democrazia?
«Diventare più ricchi non rende più probabile la democrazia. Ma se
si è già in una situazione di democrazia, vi è chiaro un chiaro
effetto di consolidamento che rende automaticamente meno probabile
un colpo di Stato. Si tratta di un circolo virtuoso. Se, invece, il
Paese è soggetto a dittatura da lungo tempo, vi è più possibilità
di uscirne grazie al reddito alto. Dunque studiare come funziona la
democrazia è importante perché rende più probabile la sua
sopravvivenza.»