La rielezione trionfale di Vladimir Putin – Di Cesare Scotoni

Un risultato scontato che segna la fine dei progetti del Cremlino sulle ambizioni di una leadership Franco-Tedesca travolta dalla NATO a Kiev.

Leggiamo il proliferare di convinte analisi sulla vicenda della quinta rielezione di Vladimir Putin a Presidente della Federazione Russa.
Lì dove chi si spende con tanto impegno sembra essere fermo agli anni ’80 del secolo scorso e centrato su quel rinnovato scontro tra Washington, Londra, Mosca e Pechino che però allora si viveva essenzialmente in una logica di Alleanze militari, interessi mercantili, teorie economiche e blocchi ideologici.
Da allora son intanto passati oltre 40 anni e nel frattempo i blocchi si son fatti reti, il dollaro è tornato dollaro e, con buona pace di tante nostalgie, una buona parte di quelle teorie economiche sono state cestinate.
 
L’elemento più rilevante delle elezioni presidenziali del terzo weekend di marzo in una Federazione Russa che si estende per 11 fusi orari era e resta invece il Contesto Internazionale.
Contesto al cui centro giganteggia l’eclatante fallimento dell’Unione Europea a trazione Franco-Tedesca e lo stop alle ambizioni geopolitiche dell’eurovaluta.
Momenti pazientemente costruiti da una NATO sempre più a guida USA fin dai tempi della presidenza Obama.
Fallimento clamoroso quello dell’Unione Europea, il cui catalizzatore fu in piazza Maidan a Kiev nel 2014, cui seguì la definitiva frattura tra Bruxelles e London e il compimento con la distruzione del Northstream.
 
Scrivo quindi per dare una mia testimonianza su ciò che è stato il decennale peso della vicenda ucraina in un voto «di guerra» che fu tale già in passato ed ha confermato Putin al potere per altri 5 anni.
Le proteste della fine del 2013 e inizio del 2014 contro il presidente Janukovic, inscenate in piazza Maidan dalla popolazione di Kiev erano viste dalla popolazione moscovita e dalla quella parte della società russa con più consuetudine con l’Europa, come un segnale politico assai importante contro quella corruzione «verticale» che imprigionava Kiev come Mosca ed è unanimemente vissuta come un ingombrante «freno» allo sviluppo. Quindi positivamente.
E l’esempio della protesta di piazza Maidan, in quel momento probabilmente avrebbe potuto essere contagioso anche a Mosca.
 
Invece il golpe e gli spari di piazza Maidan, con i cecchini venuti da fuori per sparare sulla folla e sulla polizia, con le 40 tons dell’oro della Banca Centrale precipitosamente trasferiti a Washington ed infine con l’elezione del chiacchieratissimo oligarca Poroshenko, un autentico campione della contestatissima cleptocrazia cresciuta negli anni all’ombra del Cremlino ed essenzialmente e forse soprattutto il modo in cui la stampa occidentale dette conto di quei passaggi in cui corrotti e corruttori si alternarono alla guida di quel Paese, nel plauso generale di un Occidente che, da sempre presentatosi e percepito ad Est come lo Spazio del Pluralismo e della Libertà, si rivelava più prosaicamente interessato a ben più immediati interessi di bottega, offrirono alle forze che da sempre sostengono Vladimir Putin, l’opportunità per screditare come un qualcosa strumentale ad interessi stranieri quel movimento di sincero dissenso che in piazza Maidan aveva mostrato di poter costruire un’azione politica.
 
Quindi su Kiev, tra Berlino, Parigi e Londra, qualcuno giocò quella partita solo per indebolire il sogno napoleonico di un unico asse tra Parigi, Berlino e Mosca e le prospettive del Progetto di Angela Merkel. E sappiamo chi ha perso.
Putin trasse così da quelli avvenimenti un notevole vantaggio politico in un momento di oggettiva debolezza, che derivava dai cattivi risultati dell’economia russa nel 2013.
Regalandoci un decennio travagliato che ha visto una conclamata crisi del Progetto di Unione Europea si conclude con un’altra guerra guerreggiata sul suolo europeo dopo l’attacco della NATO alla Serbia e con l’attacco agli interessi della Germania ed al suo NorthStream.
 
Veniamo invece all’oggi. E alla percezione, assai diffusa sui giornali italiani, di aver assistito una volta di più, in Federazione Russa a delle Elezioni Presidenziali nello stile delle elezioni per «Iervolino Sindaco», riferendosi ai tanti cartoni di schede elettorali autenticate e già compilate ritrovate quella volta nei cassonetti partenopei.
Come se fossero dei brogli elettorali la ragione dello stringersi del Popolo Russo attorno al suo leader in uno scontro che non è certo riconducibile ad un problema di personalità come si vorrebbe contrabbandare su certi media occidentali che sostengono la NATO.
 
La scommessa di Vladimir Putin di «sfilare» la Germania dalla NATO per accelerarne quel processo di revisione la cui necessità emerse a Pratica di Mare e le cui criticità si lessero in Turchia nel 2016 e poi con l’esito delle azioni in Afganistan e Siria è FALLITO.
Invece della NATO così la pietanza con cui banchettare con la soddisfazione dei più divennero l’Unione Europea e l’Euro. E al desco ci sarà la Federazione Russa e con quella anche Vladimir Putin.
La pietanza non può certo gioire e Macron oggi ce lo ricorda.

C.S.