Via degli Abati da Pavia a Pontremoli/ 4 – Di Elena Casagrande

A Groppallo e a Bardi ci raccontano le storie dei migranti dell’Appennino parmense-piacentino, che da metà ‘800 cercarono fortuna in Francia e in Inghilterra

La fortezza di Bardi.
Link alla puntata precedente.
 
  Dopo Mareto scegliamo di percorrere la via per Farini e non la scorciatoia 
Appena mi sveglio Teo è alla finestra. Con la voce squillante per farmi uscire dalle coperte mi fa: «I viandanti sì che sono bravi! Guarda, tutti già pronti, in cerchio davanti alla chiesa, per il saluto al sole!». «Ma dai» – gli rispondo io: «Staranno facendo stretching. Scendiamo a far colazione.»
Le torte casalinghe della proprietaria sono un buon viatico per iniziare la tappa. Fuori c’è bel tempo. Si esce da Mareto su strada per poi svoltare tra i campi fino ad un querceto.
Dopo il Mulino «I Murté» ed altri piccoli gruppi di case, a Crocelobbia, scegliamo di proseguire per Farini, a costo di allungare. Non ho nessuna intenzione di accorciare la tappa guadando il Nure, come suggerito, durante la colazione, da Mauro, la guida dei Cammini Europei della comitiva romana.
«L’asciugamano a portata di mano, in cima allo zaino, se lo tiene lui. Io non mi tolgo gli scarponi nemmeno sotto tortura» – dico a Teo. «Voglio evitare scivolate e tagli, non si sa mai».
 

Al bivio Farini – guado sul Nure.
 
  Tra negozi ed accenti francesi non sembra di essere in Emilia Romagna 
Facciamo bene: la corrente del torrente Nure sembra impetuosa. Lo vediamo passeggiando lungo i suoi argini, prima di arrivare a Farini d’Olmo. Il centro è affollato. Ci imbattiamo nella gastronomia italo-francese «Edidon».
«Qui la Francia spopola!» – esclama Teo, invitandomi ad entrare, mentre lui va ad occupare uno dei pochi tavolini all’aperto.
Il proprietario, proveniente dalla Borgogna, ha appena preparato un jambon persillé. Ne prendo una fetta, assieme ad una ricca porzione di affettati locali. Purtroppo, niente torta di patate: l’ultima l’ha comperata la signora che avevo davanti.
Arriva anche una coppia. Si è appena sposata in comune e festeggia in semplicità con un brindisi veloce. Finita la pausa incrociamo anche le due pellegrine che alloggiavano con noi a Mareto. Si chiamano Claudia e Martina e sono di Ospitaletto (Mantova).


Alla gastronomia Edidon di Farini d’Olmo.
 
  A Groppallo si produce, anche per l’estero, la mariola, un pregiato salume locale 
Da Farini si sale, di nuovo, tanto per cambiare. Tra i campi che «tagliano» due tornanti, seguiamo i cartelli per Ca’ Nova e Boccolo dei Tassi. La chiesa di Groppallo, già intravvista ad inizio tappa, ora si mostra nitidamente. Il borgo, però, anche se sembra proprio lì davanti, non si raggiunge tanto facilmente.
«Che fatica!» – dice Teo.
Dopo un’erta nel bosco, tra rocce blu-grigio nella parte finale, si esce sulla strada.
«È la Via Europa. Qui dove dovrebbe esserci l’Albergo Ristorante Centrale» – esclama Teo. Siamo i primi. Poco dopo arrivano anche le ragazze.
Nel frattempo conosciamo Mauro Salini, figlio dei proprietari. Lui si occupa di esportare all’estero la mariola, che produce nella macelleria qui a fianco.
Molti emigrati della zona non ne possono fare a meno! La mariola è un presidio Slow Food. È un salume insaccato nell’intestino cieco che, visto lo spessore, ne consente una stagionatura lenta, mantenendolo morbido. Ce lo faranno assaggiare a cena ed io non vedo l’ora.
 

L’insegna della Via degli Abati all’Albergo Centrale di Groppallo.
 
  Tutta la famiglia che gestisce il «Centrale» si fa in quattro per accontentarci 
A Groppallo sono orgogliosi del cimitero, per la vista panoramica a 360°. C’è un funerale (tanto per cambiare, visto che è il quarto che incrociamo, sulla Via degli Abati) per cui, per rispetto, diamo solo una rapida occhiata.
Il panorama merita, ma i cimiteri non sono proprio la mia passione. Resisto poco e scendo al paese. Sulla via centrale ci sono anche delle pizzerie e diversi bar. Negli anni addietro, quando si veniva a «cambiare l’aria», c’era un discreto numero di turisti. Ora, a quanto pare, si lavora solo a luglio e agosto. In ogni caso il nostro albergo è al completo, grazie a noi viandanti.
A tavola, per la cena, ci sono tutti. Anche la compagnia di Mauro. Uno del gruppo, oggi, è scivolato nel Nure. Vabbè, ora è al sicuro e può godersi le prelibatezze culinarie che la famiglia porta e riporta in tavola con generosità.
«Sembra di stare nel Paese di Bengodi. Viva l’Emilia» – esclamo.
 

La mariola di Salini.
 
  Una fotografia telata, appesa nel bar di Bruzzi, ci riporta in Arizona 
Di buon mattino lasciamo il «Centrale» diretti a valle attraverso un ripido sentiero. Fuori dal bosco mi imbatto in una grossa serpe schiacciata, col ventre all’insù. Mi ripugna un po’, ma vengo distratta dallo scroscio d’acqua di una bella fonte, accanto ad un gruppo di casette.
La Via degli Abati passa sotto alcuni avvolti, ma i segnali scarseggiano. Le ragazze, infatti, che avevamo davanti, spariscono. Incrociata la strada, in discesa, camminiamo tra i prati fino alla Torre di San Antonino a Selva, del XII secolo.
È quel che resta di una chiesetta oramai perduta, un tempo cella dell’Abbazia di San Colombano. È molto suggestiva. Senza fatica giungiamo poco dopo a Bruzzi. Alberi bianchi fioriti illuminano le pietre grigie delle sue vecchie case.
C’è anche un baretto. Appesa al muro noto una foto di Antelope Canyon. Chiedo al gestore se l’abbia scattata lui. Mi dice che è di un amico. Non resisto e gli mostro le mie foto del canyon, ma Teo mi richiama all’ordine: «Dai che bisogna salire al passo di Linguadà».
 

Alla Torre di San Antonino a Selva.

  Dall’Appennino parmense-piacentino molti emigrarono in Francia da caldaisti e muratori 
Sul sentiero sta scendendo un trattore. Il ragazzo che lo guida ci augura una buona passeggiata.
«Ma che passeggiata? Questa salita spacca!» – sbotto con Teo poco dopo. Solo quando intravvedo il Rifugio Serenella mi calmo.
Ci accoglie la signora Cristina. Ha l’accento francese.
«Qui sono tutti francesi?» – le chiedo. «
No! È che tanti sono emigrati in Francia. Io ho vissuto a Parigi fino alla pensione, come cuoca» e, mostrandomi delle fotografie antiche, mi narra la storia degli «scaldini».
Originari di Groppallo e dintorni gli «scaldini» alimentavano le caldaie a carbone dei rioni più famosi di Parigi (in particolare degli edifici del barone Haussmann) ed emigravano in autunno, per tornare a maggio. Invece, i «gessini» (i plâtrier) della provincia di Parma, partivano per la Francia con la bella stagione, alla ripresa dei lavori edili nei cantieri e rientravano qui col freddo.
Questa emigrazione stagionale evitò lo spopolamento della montagna. Ma poi molti decisero di trasferirsi. «Anche mia figlia vuol tornare a Parigi! Qui c’è poco lavoro» – sospira Cristina, sconsolata.
 

Il rifugio Serenella al Passo di Linguadà.
 
  Bardi, con la fortezza e il centro storico curato, è uno dei più bei borghi d’Italia 
Dopo il passo entriamo in Provincia di Parma. Anche se il tempo è brutto, i fiori gialli di tarassaco rallegrano il paesaggio fino a Cerreto e a Grezzo. Percorrendo la strada arriviamo a una replica della Grotta di Lourdes.
Su una delle panchine è seduta una signora. Mi racconta che ha 87 anni e che ogni giorno sale qui da Bardi.
«Complimenti! È davvero in gamba!» – le dico. Lo è davvero: lo appuro facendo in discesa la strada trafficata che lei si fa in salita.
A Bardi dormiamo in un albergo diffuso, dato che l’hotel storico del paese ha chiuso. Stanno rifacendo la pavimentazione e le case in pietra sono state restaurate.
È un borgo medievale proprio pittoresco. Visitiamo la Fortezza. L’interno della rocca, invece, a differenza degli esterni, mi delude un po'. Lo vedo trasandato.
 

Tra le viuzze di Bardi.
 
  I minatori gallesi si rifocillavano nei caffè italiani aperti a metà ‘800 dai bardigiani 
A cena riesco a trovare un tavolo al «Pellicano», nonostante il pienone. Io scelgo pegài (tortelli bardigiani) di farina di castagne con ragù di funghi e Teo tagliatelle coi prugnoli (funghi primaverili tipici di questi boschi).
Vicino al nostro tavolo, ci sono quattro pellegrini mai visti prima. Ci si studia, ma nessuno attacca bottone. Il gruppo dei venti, invece, è sparito dai radar.
«Sai Teo» – gli racconto, tra un boccone e un altro, «da Bardi e da Borgo Val di Taro, dove arriveremo domani, molti emigrarono nel Galles del Sud, per aprire dei coffee shop.
Il caffè e il gelato italiano confortarono migliaia di minatori». Attorno a Cardiff, infatti, si arrivarono a contare più di 300 caffè italiani. Ora ne sono rimasti pochi, ma quelli sopravvissuti sono locali storici molto famosi, senza contare che Costa Caffè (la seconda catena di caffè più importante dopo Starbucks) venne fondata proprio da un discendente di italiani, emigrati lì da Borgo Val di Taro.
 

Le case di pietra di Bruzzi.
 
Elena Casagrande
(La quinta puntata della Via degli Abati sarà pubblicata mercoledì 10 aprile 2024)