La Ruta de la Lana/ 7 – Di Elena Casagrande

Nella Provincia di Soria, oltre ai giacimenti dell’età del bronzo, scoviamo chiese romaniche, fortezze e castelli che testimoniano un passato glorioso

L’entrata in Castiglia e León dal passo della Carrascosa.
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  L’arte romanica della zona è ricca di dettagli originali 
All’alba Atienza è irriconoscibile, così vuota e pulita. Sembra la Pamplona descritta da Hemingway, la mattina dopo la fine della fiesta.
Lasciandola posso ammirare il portale della chiesa di Santa Maria del Val, fuori dall’abitato.
È originalissimo. Ci sono dieci saltimbanchi e contorsionisti, aggrappati all’arco della sua porta, perfino più simpatici dei «curiosi» di Conques. Ci incamminiamo sul monte di fronte. Sembra il classico colle «della città dei morti» delle popolazioni celtiberiche, solitamente di fronte alla città dei vivi.
Da lì è tutta pista forestale fino a Romanillo. Sediamo davanti alla fontana, abbellita da una piastrella giacobea e proviamo a salutare chi passa. Niente! Anche se, da qui, passa il Cammino del Cid, la gente non è interessata a pellegrini e viandanti.
 

Particolare del portale della chiesa di Santa Maria del Val ad Atienza.
 
  Dal Passo della Carrascosa si lascia la provincia di Guadalajara per quella di Soria 
«Dai che ci aspetta la salita al Puerto de la Carrascosa!» – esclamo alzandomi. Non sto più nella pelle: finalmente stiamo per entrare in Castilla y León. La provincia di Guadalajara (in Castilla La Mancha), con tutte le eccezioni del caso, mi ha deluso un po’. Una cosa analoga mi è capitata anche tra le montagne dell’Aragona, sul «Camino de la Vera Cruz». Succede quando gli amministratori si limitano a dare il consenso all’installazione della segnaletica, senza spiegare nulla ai loro abitanti.
Stanotte siamo all’hotel La Muralla, a Retortillo de Soria. È un edificio moderno, che stona con la porta turrita del paesino e le sue mura, ma, in compenso, i gestori sono avvezzi ai camminatori. In piazza, davanti alla chiesa c’è un vecchietto seduto su una panchina. Ci fa domande sull’Italia e se la prende con Papa Francisco.
«Il Papa fa il Papa! Mi ha insegnato mia madre!» – Gli dico.
E lui annuisce: «Ya, Ya» (sì, sì).
 

La chiesa di Romanillo.
 
  Caracena compare come un miraggio sopra un canyon ricco di giacimenti preistorici 
Stamattina si fa tutta strada fino al paese di Tarancueña.
Da lì inizia il «cañón» (canyon) del fiume Caracena. Per i primi 5 chilometri il sentiero è molto stretto, vicino al fiume, nell’erba alta.
Si attraversa il rio per 3 o 4 volte e poi si comincia a salire. Passiamo sotto un arco naturale. In zona sono stati trovati i resti di due capanne dell’età del bronzo, oltre a molte sepolture e alle grotte «abitate».
Siamo nell’area archeologica de Los Tolmos. Riesco anche a «beccarmi» una spina nel piede, dentro lo scarpone, quando, guardando in alto, vedo far capolino una struttura rotonda, tra gli alberi.
Solo all’arrivo al borgo di Caracena capisco che è l’abside della chiesa romanica Santa María.
In piazza troviamo il settecentesco «rollo» (la colonna giurisdizionale o del castigo) e l’antico carcere.
«Come mai questa ricchezza architettonica in un paesino di 15 abitanti?» – domando.
 

L’arco nel canyon del río Caracena.
 
  Diego, del bar Santiago, ci fa da guida nella scoperta del «romanico» di Caracena 
Al bar-ristorante Santiago (ora «Nuestra Tierra», sempre della famiglia Pacheco) conosciamo Diego. Gli chiedo se possiamo vedere le chiese.
«Fate colazione con calma – ci dice – poi vi farò da guida.»
È laureato in storia. Ci spiega che Caracena era un’importante zona di frontiera e che, nel Medioevo, era a capo della Comunidad de Villa y Tierra (un’organizzazione politica autonoma, con a capo la città, soggetta solo al re e con poteri normativi) che contava 20 «aldeas» (villaggi).
La chiesa di San Pedro Apóstol è imperdibile, col suo portico, i capitelli e le mensole popolate da animali fantastici e testoline (forse anche di mori).
Ma anche quella più sobria di Santa María ha il suo fascino. Sono entrambe del XII secolo e, grazie a Diego, possiamo entrarci.
Mi innamoro del posto, con la sua palette di colori che vanno dal giallo, al pesca, al senape, al marrone e all’azzurro del cielo, sullo sfondo. Il paese è magico e ci vorrebbe un drone.
Poco sopra, infatti, c’è anche il castello e sarebbe meraviglioso vederlo dall’alto. Speriamo che venga consolidato.
 

La chiesa di San Pedro de Caracena.
 
  Tutta la famiglia del sindaco di Fresno ci sorprende per la sua generosità 
Lasciamo Caracena, che viene via via inghiottita dai tre canyon che la incastonano. Sarà un effetto visivo o cos’altro, non so: ma è un incanto. Scendiamo verso l’Ermita de la Virgen del Monte. Durante il cammino i grifoni volano sopra le nostre teste.
A Fresno de Caracena il Comune è chiuso, per cui mi faccio indicare la casa di Tomás, il sindaco. È ora di pranzo e non vogliamo disturbare. Aspettiamo fuori, seduti sul marciapiede, in silenzio.
Dieci minuti dopo esce Josè, il figlio.
«Siamo pellegrini. Quando avete finito possiamo parlare col sindaco?» – Gli domando.
Lui mi sorride e rientra in casa. Poco dopo se ne esce con due sedie e con un piatto con gamberi, prosciutto e melone!
Ci raggiunge anche la figlia. È ingegnera e sta seguendo sul telefonino l’installazione in mare di una pala eolica della sua ditta.
 

Il piatto offertoci da José.
 
  Nel villaggio di Ines, una signora, che è anche la sindaca, ci offre il caffè 
Alla fine esce anche Tomás. È corpulento, ma allegro e, senza tante smancerie, ci accompagna alla casa comunale, dove, in una stanza, c’è un sofà su cui dormire.
Poi ci saluta e ci dà appuntamento in piazza per la serata danzante. Un tir ha allestito la discoteca «movil» (discoteca mobile) e con un maxischermo proietta videoclip.
Due «salti» e poi a nanna. Il giorno seguente il cammino lascia l’asfalto per comode piste di terra fino al villaggio di Ines.
«C’è il bar?» – Chiedo a tre signore sedute in piazza.
«No – mi rispondono. – Ma vi facciamo noi il caffè. Sedetevi.»
Poco dopo ci portano un vassoio con moka, focaccia e biscotti. Una delle tre è la sindaca. Sbuca anche un signore, che ci offre dei «mantecados» (biscottoni allo strutto).
«Come contraccambiamo?» – Ci domandiamo Teo ed io.
 

La nostra tegola sul tetto della chiesa di Ines.
 
  Abitanti e villeggianti di Ines stanno restaurando la chiesa solo con le loro forze 
Le signore ci raccontano che in paese stanno restaurando, a loro spese, la chiesa (una ex fortezza rinascimentale), sconquassata dal traffico della strada vicina.
Arriva anche un architetto di Madrid, che trascorre l’estate qui e che ha elaborato gratuitamente il progetto.
«Vi faccio vedere i lavori!» – Ci propone tutto entusiasta e ci accompagna a visitare la parte agibile della chiesa.
Anche noi vogliamo contribuire e facciamo un’offerta. Loro, di tutta risposta, ci portano una tegola.
Ce la fanno datare e firmare. Poco dopo la metteranno sul «crucero del techo» (crociera del tetto). Oggi la chiesa è perfettamente riabilitata e fruibile.
 

Il porticato di San Miguel a San Esteban de Gormaz.
 
  La festa medievale di San Esteban de Gormaz rallegra il nostro arrivo 
Attraversato il paesino di Olmillos, in 7 km siamo a San Esteban de Gormaz. Bandierine variopinte e voci chiassose annunciano la festa medievale.
Il paese brulica di gente, bancarelle e stand gastronomici con enormi padelle piene di salsicce, involtini, paella e verdure. Depositiamo gli zaini all’hotel-ex convento di Santo Stefano, dove dormiamo e visitiamo il centro. Imperdibile la chiesa di Santa Maria del Rivero, con il portico in pietra e quella di San Miguel Arcángel che, purtroppo, è chiusa per restauro.
La sua galleria porticata è datata 1081 ed è uno dei più antichi esempi di romanico soriano.
Lì sotto i pellegrini potevano dormire o trovare riparo. Ed il motivo a scacchi («ajedrez»), sopra ai capitelli, ricordava loro che, passo dopo passo (scacco dopo scacco), si raggiunge la meta.
 

Entrando nella Ribera del Duero.
 
 A Quintanarraya il Cammino del Cid ricorda che Burgos è sempre più vicina 
La tappa verso Quintanarraya, al confine tra la provincia di Soria a quella di Burgos (tra l’altro raggiunto sui resti di una «calzada» / strada romana), è davvero notevole. Entriamo nella Ribera del Duero, famosa per i suoi vini.
L’Ermita Virgen de las Lagunas, quasi un puntino di color rosa, ci guida nel nulla. Di qui passa anche il Cammino del Cid (El Camino del Cid).
All’albergo dei pellegrini, infatti, incontriamo Susana, che lo sta percorrendo da Vivar, sulla rotta del «destierro» (esilio) di don Rodrigo Díaz de Vivar.
Con noi dormono anche altri due pellegrini in bici. Ceniamo tutti assieme al bar. Di fronte, sulle colline della città romana di Clunia Sulpicia, sta per tramontare il sole.
Sotto l’imperatore Sulpicio Galba, Clunia fu anche capitale dell’impero. Niente male per una cittadina delle «mesetas» (altopiani).

Elena Casagrande

(L'ottava puntata de «La Ruta de la Lana» sarà pubblicata mercoledì 5 giugno 2024)
 
Ricordo di Quintanarraya con Susana.