La passione, il fuoco necessario per una vita consapevole – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista
Nell’era del digitale, la passione e l’amore hanno mutato forma. Entrambi questi sentimenti sono diventati temibili e da evitare. Cosa fare?
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Passione è un termine complesso e difficile da definire. Deriva dal greco «pathos» che indica un misto di emozioni e rimanda alla sofferenza e al dolore, anche se fermarsi a questo significato sarebbe riduttivo.
Chiamiamo passione quel movimento interno turbolento, a volte simile a un terremoto, che ha coloriture intense e diverse, travolgenti e entusiasmanti, tempestose ma allo stesso tempo meravigliose e illuminanti per la coscienza.
Per questo motivo Marie Luise von Franz, allieva di Jung, diceva che «Nessuna consapevolezza è possibile, senza il fuoco dell’emozione e del dolore».
Per i greci la passione era considerata il motore irrazionale dell’esistenza, il fuoco vivo dei sentimenti senza la cui fiamma ogni uomo «non è nulla» in quanto, «una fiamma deve bruciare da qualche parte, altrimenti non splende nessuna luce, non c’è calore, non c’è nulla» (C. Gustav Jung).
Vivere una vita con passione allora è viverla appieno ed essere consapevoli anche della propria realtà interiore fatta di emozioni e sentimenti facili o turbolenti ma da gestire con l’intelligenza emotiva che ci può dare gli strumenti necessari per stare nel qui e ora e accettare i continui mutamenti dell’esistenza.
In questo senso passione e amore, benché non sovrapponibili, sono considerati stati simili molto vicini alla follia in quanto inaccessibili alla ragione e al pensiero.
Si perde la testa quando ci si innamora.
Allora più prossimo alla passione c'è l’innamoramento che è fuoco perturbante che brucia, divampa e ti trasporta nel paradiso dei sensi.
Così la passione ci attrae e ci spaventa, ci cattura o ci fa volare.
Ma oggi purtroppo, nella nostra quotidiana esistenza ci ritroviamo distanti da essa.
Nell’era del digitale, la passione e l’amore hanno mutato forma. Entrambi questi sentimenti sono diventati temibili e da evitare.
L’amore che per natura è relazione con l’altro, si è trasformato, scrive Umberto Galimberti, in «culto esasperato della soggettività, in perfetta coerenza con l’esasperato individualismo cui non cessa di educarci la nostra cultura».
Ed è allora che al tempo della «comunicazione social» ci accorgiamo di quanto l’educazione abbia estromesso l’attenzione ai sentimenti e alle emozioni.
Non per nulla insistiamo sull’importanza dell’educare alle emozioni e poi, in maniera contraddittoria, scopriamo che in alcune scuole dell’infanzia si trasformano le emozioni in emoticon è una moltitudine di adulti riempie le sincopate comunicazioni online di ebeti faccine e di improbabili manine preganti per esprimere quello che non si sa più dire a parole.
Ma non si dica, per favore, che è la necessità di velocizzare i messaggi.
Piuttosto si prenda atto che abbiamo impoverito il linguaggio dei sentimenti e resi analfabeti in comunicazione affettiva le nuove generazioni.
Riappropriamoci invece della passione e torniamo a parlarne con i figli. La si insegni a scuola, finalmente, ma si ricordi che la parola insegnare vuol dire «lasciare segni» negli animi dei bambini, ovvero tracce vive della nostra presenza educativa e non lezioni teoriche.
Aiutiamo i giovani a non temere le passioni e a non aver paura degli affetti, dell’amore e delle sue tempeste.
Per farlo dobbiamo appassionarli e educarli a navigare nel mare della vita non con il timore delle burrasche, ma con la preoccupazione che il pericolo più grande è la bonaccia.
Cioè l’indifferenza.
Giuseppe Maiolo – psicoanalista
Università di Trento - www.iovivobene.it