Famiglia e invecchiamento al centro delle «Intersezioni»
Chiara Saraceno: «Provate a immaginare che cosa significhi, a livello sociale, diventare padri quando si è nonni»
Sono ancora poco
studiate le nuove forme di relazioni intergenerazionali all'interno
delle reti familiari, causate da una vita più lunga e da giovani
poco indipendenti.
Molte persone sono rimaste in piedi, sotto e attorno al tendone
innalzato nel chiostro dell'ex-convento degli Agostiniani, per
ascoltare stamani l'intervento della sociologa della famiglia
Chiara Saraceno, una delle voci molto attese al
Festival dell'Economia 2007, ma attirati nell'attuale sede
dell'OCSE anche da un tema di vivissima attualità: «Famiglia e
invecchiamento: come cambiano i rapporti tra generazioni».
E la sociologa non ha deluso le aspettative, affrontando il
problema da una visuale innovativa.
«Conosciamo molto della famiglia - ha esordito Chiara Saraceno, - e
tutti ci parlano della sua crisi, della crisi della forma legale
della famiglia. Ci fanno anche i Family day, per difendere una
particolare forma di famiglia, e ci partecipano anche sindacalisti
come Savino Pezzotta, che quando però prende in
mano il microfono si dimentica della sua militanza sindacale e si
dilunga invece in una sperticata difesa di una particolare forma di
istituzione legale della famiglia. Come se quello fosse il vero
snodo fondamentale, dimenticandosi invece che i veri problemi sono
altri: i problemi delle famiglie sono il mondo è cambiato, la
speranza di vita che si è enormemente allungata, la rete familiare
che oggi è composta da tre-quattro generazioni sempre più
allungate...
«Il problema è che oggi la famiglia è lunga e magra, che si diventa
papà o mamme quando si è già nonni! I problemi sono che oggi la
famiglia consente quella redistribuzione delle ricchezze che la
società civile non consente più: le donazioni, le eredità, gli
aiuti che i nonni trasferiscono sui figli e sui nipoti danno
origine a quelle chance di entrata nella società, che portano i
giovani a farsi una casa, a impiantare un'attività, a far studiare
all'università i figli". Ma ciò può avere anche riflessi negativi,
ha ricordato Chiara Saraceno, "perché questa redistribuzione è
possibile solo laddove esiste già il benessere, e quindi le eredità
e le donazioni possono anche provocare una perpetuazione delle
disuguaglianze, visto che molte famiglie non navigano certo
nell'oro.»
Un tema affascinante e difficile, quello delle reti familiari alle
prese con l'invecchiamento, che la relatrice ha affrontato partendo
da alcuni dati di fatto.
«Mentre oggi parliamo molto di invecchiamento come problema di
sostenibilità sociale, di riforma delle pensioni, di
riorganizzazione del sistema sanitario, si mette meno a fuoco che
cosa provoca questo invecchiamento sulle reti familiari. Se andiamo
a mettere il naso e a indagare sui sistemi che interagiscono
all'interno delle reti familiari, ci accorgiamo che oggi non è più
raro il caso della presenza di tre, addirittura quattro generazioni
all'interno di una stessa rete familiare.
«E questo ha come conseguenza che ai giovani,a causa di una ridotta
e generalizzata fecondità, vengono a mancare o a diminuire le
esperienze di relazioni orizzontali con i fratelli e i figli,
mentre persiste nel tempo e molto più a lungo di prima la relazione
verticale con i nonni e con i bisnonni. Il problema è sulla
generazione di mezzo, sulla generazione che possiamo chiamare
'sandwich", o bifronte, vengono a pesare due ruoli fondamentali: di
cura e di educazione nei confronti dei giovani, e di cura e di
sostegno nei confronti dei vecchi genitori, se non addirittura dei
bisnonni in alcuni casi.»
«È vero, - ha continuato la Saraceno - oggi esiste una forte
aspettativa individuale nei confronti della solidarietà
intergenerazionale, che contribuisce a creare quel capitale sociale
familiare che almeno in parte attutisce la crisi economica fatta di
disoccupazione, di lavoro precario e sottopagato.
«Gli aiuti finanziari, all'interno di questa rete, fluiscono di più
dall'alto verso il basso, specie in una società ricca, perché in
una società povera avviene il contrario. Nelle fasce più deboli
della società, sono i figli che allungano un po' di denaro ai
genitori per sopravvivere. Comunque, nell'occidente due terzi degli
aiuti vanno dai nonni ai figli, e in taluni casi addirittura
direttamente ai nipoti. Gli aiuti di cura, invece, sono appannaggio
della generazione di mezzo, visto che sempre più spesso nonno e
nonna si sostituiscono ai figli nella cura dei nipotini, per
consentire a mamma e papà di lavorare in due. E dove sta allora il
problema? Sta nel futuro - ha ricordato la sociologa - sta in quel
futuro non molto lontano nel quale avremo sempre più nonne e nonni
operativi, gran lavoratori anche da anziani, ma sempre meno nonne e
nonni disponibili e sufficientemente 'giovani' per poter accudire
ai nipoti, e consentire a loro volta alle madri, come avviene
oggi, di avere il tempo libero sufficiente per lavorare e per farsi
un proprio futuro professionale.»
Ecco perché le tanto discusse riforme dello stato sociale, la
riforma delle pensioni, quella del TFR, non tengono conto a
sufficienza di queste reti familiari e non si preoccupano di quali
saranno le conseguenze a livello familiare.
«Teniamo ben presente - ha ammonito Chiara Saraceno - che la venuta
meno del tradizionale tesoretto della liquidazione, che fino a
qualche tempo fa consentiva ai nonni di pagare almeno in parte
l'abitazione ai figli, creerà una generazione di giovani sempre
meno indipendente, sempre più legata alla casa di origine. Perché
fino a oggi ci siamo illusi di aver aiutato le giovani coppie
favorendo l'acquisto della loro prima casa, mentre in realtà
avremmo dovuto favorire l'affitto dell'abitazione, per aiutare i
giovani a uscir presto di casa, ma anche a cambiare, a essere
flessibili, a non legarsi a un luogo fisico, quindi a un lavoro,
quindi a una sola aspirazione.»
E le nuove pensioni che verranno? «Io l'ho già detto, ai politici
competenti in welfare: sono d'accordo sull'aumento dell'età
pensionabile per le donne, equiparandola a quella degli uomini,
purché i risparmi così effettuati vadano di rigore a creare nuovi
servizi o a potenziare i servizi esistenti, in modo da aiutare la
donna che lavora e che vuole continuare a farlo.»
E le famiglie degli immigrati? «Qui si apre un tema del tutto
nuovo, complesso e delicato. Vi ricordate - ha detto la Saraceno -
quel che avvenne con i nostri emigrati? Fu soprattutto grazie alle
loro rimesse che l'economia italiana superò le diverse crisi
economiche vissute in questi ultimi due secoli. Bene, gli immigrati
che provengono dai Paesi più poveri, sostengono con il loro lavoro
le famiglie rimaste laggiù, ma ciò impedisce a chi vive qui di
raggranellare sufficienti risorse per stabilizzare la propria
permanenza e per favorire la propria integrazione. Di fronte al
dilemma "spendo i miei risparmi per far studiare all'università mio
figlio, o per salvare dalla morte per fame e per sete i miei
familiari rimasti in patria", quale credete che sarà, la risposta
più frequente? Sarà la risposta più generosa, quella di maggior
solidarietà intergenerazionale, ma anche quella più penalizzante
per le giovani generazioni di immigrati che vivono tra di noi!»
Quindi, se da un lato la famiglia in cui coabitano, anche se non
proprio fisicamente, più generazioni è una chance, perché consente
la redistribuzione delle ricchezze, offre ruoli importanti agli
anziani, ma permette ai giovani, anche, di insegnare ai nonni l'uso
del computer ad esempio, ci sono pur sempre dei problemi.
«Oggi la famiglia ha l'impressione di essere lasciata sola a
gestire e ad affrontare i problemi, anche quelli drammatici - ha
detto la sociologa a conclusione del suo intervento. - Inoltre,
quella di cui abbiamo parlato oggi è la famiglia "tipo", la
famiglia media, quella che emerge dalle poche indagini sin qui
svolte, ma esistono combinazioni e coniugazioni quasi infinite con
le quali ognuno di noi si trova a fare i conti. Per quel che
riguarda la redistribuzione delle risorse finanziarie, ad esempio,
essa ha luogo solo nelle famiglie già assestate, quelle che godono
già di benessere, quelle che un tempo venivano definite le famiglie
ricche che lasciavano in eredità ai figli case e averi. Ma le
famiglie povere? Quelle in cui non esistono ricchezze da
ridistribuire? Verrebbe quasi la voglia di consigliare ai figli che
ancora devono venire al mondo, di scegliersi la famiglia giusta, ma
ciò ahimè non è proprio possibile.»
E qui allora deve intervenire la società civile, deve intervenire
quel capitale sociale fatto di regole, di incentivi, di aiuti e di
servizi che in qualche modo consentano a tutti di arrivare, se non
proprio ad allevare figli felici, autonomi e ricchi di capitale
umano, almeno alla fine del mese con il minor stress possibile.
(mn)