Una vela trentina nel mar dei Caraibi – Diario di uno skipper/ 5
Attraversata dell'Atlantico, 2ª parte. Burrasca a 800 miglia da Martinica
Abbiamo incontrato una depressione ciclonica a circa ottocento miglia dall'arrivo, che ci ha accompagnato per circa 48 ore.
Per descriverla lascio la parola al «giornale di bordo» che ho sempre diligentemente scritto quasi in diretta.
Sono i giorni otto e nove dicembre 2007.
Giovedì sera, dopo una giornata di aliseo sonnacchioso, si sono scatenati una serie di groppi tropicali con rafficoni fino a trenta nodi che ci hanno costretto a raddoppiare i turni di guardia.
Abbiamo battuto il record di velocità in surfata su un onda con 13,5 nodi di velocità. Ci siamo tirati avanti di una decina di miglia sulle tappe, ma il 9 mattina abbiamo tutti un aria da notti brave.
La mattina di quel venerdì passa senza lode e senza infamia ma il pomeriggio il barometro precipita di quattro bar. La mia sensazione, di seguito verificata, è che ci stiamo infilando in una depressione. Già verso sera siamo investiti da fronti con scrosci d'acqua e venti da 30-35 nodi.
Riduciamo il genoa a un fazzoletto e la notte passa così con Ovilava che corre nel buio pesto fra onde alte che ogni tanto scrosciano come tuoni.
Per la prima volta in Atlantico vedo anche, lontani, lampi e fulmini. Ovilava rolla di 25° alternativamente da una parte e dall'altra. Vola tutto quello che non è saldamente fissato (e non è poco).
Per fortuna l'autopilota lavora bene e la rotta di fuga dal vento non si discosta molto da quella per Martinica.
Portiamo i turni a due ore con un'altra persona che fa da guardia attiva. Sono faticosi ma necessari.
La mattina siamo abbastanza affaticati, ma il sabato non si presenta molto diverso.
La giornata passa fra un groppo e l'altro, tra fronti che si susseguono con scrosci d'acqua che sembrano cascate, fra rinforzi di vento che frequentemente arrivano a 30-35 nodi con il barometro che non dà segni di risalita.
Ma è l'onda oceanica che ci riserva il meglio dello spettacolo con muri d'acqua che si susseguono alti, stimiamo sui 6-7 metri.
Non resta che scappare di poppa con mezzo genoa tangonato con velocità di circa 8 nodi, mantenendo per quanto possibile il vento a fil di ruota.
I turni diventano di un'ora e la giornata passa con le tre persone stese in dinette a riposare e cerate stese nei bagni a sgocciolare mentre il quarto, legato con cintura di sicurezza resta al timone.
Ovilava viene scossa e piegata dalle onde che arrivano e spesso frangono sulle fiancate o sulla poppa. Praticamente nulla all'interno rimane al suo posto.
Passa così anche la notte, complicata dal fatto che le onde non si vedono (ma si sentono) arrivare.
L'ultimo scroscio verso le cinque di mattina, di guardia Paolo, quando sento la barca senza governo in balia delle onde.
Esco sotto un diluvio tropicale. Il vento, indebolito, è girato in direzione contraria alle onde e il genoa tangonato non permette il governo.
Accendo il motore, offro la poppa alle onde e chiamo tutti fuori ad ammainare il genoa tangonato.
Confido solo che non mi buttino a mare, perché Gaetano è appena smontato e Roberto forse al primo sonno.
Giù la vela, dai di motore e via a 1.500 giri con le onde in poppa fra rollate micidiali.
Mizzo, come si dice da noi, e mesto vado al radar a vedere la situazione.
Siamo dentro una grande macchia di temporalesca, ma davanti a noi non si vedono altri groppi. Sarà la fine della depressione?
Lascio dormire tutti per alcune ore mentre lo Yanmar ronza rassicurante.
Quando viene luce, la giornata mi pare chiara. Il barometro dà cenni di risalita e le onde calano di intensità.
Tempo di fare colazione e l'aliseo prende a soffiare da SE con gradevoli 15 nodi.
Fuori genoa, fuori randa e via con uno splendido traverso veloce che ci accompagna fino a sera.
La barca è tornata stabile, il sole ci scalda e ci asciuga, la vita è cambiata rapidamente.
Un'altra cosa che la tecnologia ha ucciso è stato lo scrutare l'orizzonte per vedere e gridare «terra!».
Ormai il diffusissimo e preciso posizionamento tramite GPS permette di stimare l'ora di arrivo e la distanza dalla quale, presumibilmente, si avvista la meta.
L'affidabilità dello strumento ha fatto cadere in disuso il romantico e complicato sestante, di cui ora pochissime barche sono dotate.
«Ragazzi aprite gli occhi, siamo a trenta miglia da Martinica. Fra poco si dovrebbe vedere terra!»
Così è stato annunciato l'arrivo alla meta.
E così dopo 17 giorni di navigazione, dopo aver percorso 2.835 miglia di Oceano approdiamo nel porto di Le Marin della francese terra d'oltremare Martinica.
Quest'ultima è sicuramente uno dei posti più suggestivi per i naviganti.
Erio Volpi
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