Piccole e Medie Imprese, ormai è «credit crunch»

L’SOS della CGIA di Mestre: «Gli impieghi bancari alle PIM italiane sono diminuiti del 7,7 percento» – Trento è messa male: -9,8%. Bolzano è messa bene: -4,7%

Legenda.
Credit crunch è il termine inglese che indica la restrizione del credito concesso dalle banche.

Gli impieghi bancari «vivi» sono l’insieme di operazioni mediante le quali le banche concedono risorse finanziarie che si sono procurate con operazioni di provvista.
I Tltro sono fondi che la BCE mette a disposizione delle banche, che a loro volta devono utilizzarli per potenziare l'erogazione di prestiti bancari a favore del settore privato non finanziario dell’Eurozona.

È ormai «credit crunch»: nell’ultimo anno in cui i dati sono disponibili (agosto 2023 rispetto allo stesso mese del 2022), gli impieghi bancari «vivi» alle imprese italiane sono diminuiti del 7,7 percento.
In termini assoluti la contrazione è stata pari a 55,8 miliardi di euro.
La riduzione alle realtà imprenditoriali con meno di 20 addetti è stata dell’8,7 percento; quelle di dimensione superiore, invece, hanno subito un “taglio” un po’ più contenuto e, precisamente, del 7,5 percento.
Si ricorda che le aziende con meno di 20 addetti costituiscono il 98 percento circa delle aziende totali presenti in Italia.
 
 L’Sos è lanciato dall’Ufficio studi della CGIA  
Quali sono le cause di questa stretta creditizia?
In linea di massima sono almeno tre e molto legate tra loro. In sintesi esse sono:
 
1) l’aumento dei tassi di interesse imposto dalla BCE in questo ultimo anno ha reso molto costoso indebitarsi. Pertanto, molte imprese, soprattutto di media/grande dimensione, hanno preferito ricorrere a forme di autofinanziamento;
2) il calo dei volumi di credito è correlato anche alla frenata del Pil nazionale che ha provocato una flessione della domanda di prestiti;
3) le banche hanno meno liquidità a disposizione sia perché devono restituire alla BCE i fondi Tltro (altri 174 miliardi di euro entro settembre 2024), sia perché la raccolta è diminuita;
 
La combinazione di questi fenomeni ha spinto molti istituti a “sacrificare” il credito più complicato: ovvero quello da erogare alle piccolissime imprese che, tendenzialmente, presenta costi di istruttoria relativamente più elevati e una gestione amministrativa molto laboriosa.
 
 I rischi e cosa fare  
Senza liquidità una impresa, soprattutto piccola, non può fare investimenti, spesso è costretta a ritardare i pagamenti ai fornitori e nei casi più critici inizia a non versare con regolarità gli stipendi ai propri dipendenti.
Per evitare che tutto questo provochi una chiusura definitiva dell’attività o, peggio ancora, che i titolari scivolino nella rete tesa dalle organizzazioni criminali che, in questi momenti, sono sempre disponibili a prestare soldi ad aziende in difficoltà, è necessario che il Governo intervenga subito, rifinanziando il Fondo di Garanzia per le Pmi che era stato potenziato nel periodo del Covid.
Grazie a questo strumento rivisitato, molti istituti di credito si troverebbero nelle condizioni di prestare i soldi senza correre alcun rischio di veder aumentare a dismisura le insolvenze.
Ricordiamo che tra il marzo 2020 e il giugno 2022, per sostenere le Pmi colpite dall’emergenza pandemica il Fondo di Garanzia ha garantito oltre 256,8 miliardi di euro di prestiti.
 
 Tra le piccole imprese il credit crunch più forte è avvenuto lungo la dorsale adriatica  
Tra le aziende con meno di 20 addetti, nell’ultimo anno (agosto 2023 sullo stesso mese del 2022), la riduzione del credito è stata pari a 10,6 miliardi di euro (-8,7 percento).
Attualmente, l’ammontare complessivo dei prestiti bancari erogati alle piccolissime imprese è di 111 miliardi di euro.
La contrazione regionale più importante ha riguardato le realtà delle Marche (-11,1 percento pari a un valore assoluto di -421 milioni di euro).
Seguono quelle del Veneto (-10,2 percento pari a -1,3 miliardi di euro), del Friuli Venezia Giulia (-10,1 percento che corrisponde a -265 milioni di euro) e della Lombardia (sempre -10,1 percento pari a -2,3 miliardi di euro).
Le situazioni meno «critiche» si sono verificate in Sardegna (-6,7 percento pari a -178 milioni di euro), in Trentino Alto Adige (-6,4 percento pari a -515 milioni di euro) e, in particolar modo, nel Lazio (-6,3 percento pari a - 481 milioni di euro).
 
 A Bergamo, Varese, La Spezia e Lecco le piccole imprese più colpite  
A livello provinciale, infine, le piccole realtà imprenditoriali più interessate dalla stretta creditizia sono state quelle di Bergamo (-13,1 percento pari a -328,5 milioni di euro), di Varese (-12,7 percento e -182,1 milioni di euro), di La Spezia (-12,5 percento e -47,2 milioni di euro), di Lecco (-12,4 percento e -82,8 milioni di euro), di Ancona (-12,1 percento e -127,4 milioni di euro), di Isernia (-12 percento e -12,2 milioni di euro) e di Pesaro-Urbino (-11,9 percento pari a -116,7 milioni di euro). Trento -9,8%.
Tra quelle che invece hanno subito le flessioni più contenute registriamo le piccole aziende ubicate nella provincia di Sud Sardegna (-5,1 percento pari a -20,3 milioni di euro), nella P.A. di Bolzano (-4,7 percento e -255 milioni di euro) e, infine, di Grosseto (-2,7 percento pari a -25,6 milioni di euro) (vedi Tabella seguente).