Giovani in azione: Giacomo Olzer – Di Astrid Panizza

Dal campetto dietro casa, a giocare nel Milan: il sogno di Giacomo che tutti i giorni indossa la maglia rossonera

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È il gioco più famoso del nostro Paese, quello per il quale milioni di italiani si strappano i capelli se la propria squadra non vince il campionato.
Stiamo parlando del calcio, quel gioco che è molto più di un gioco in cui si butta il cuore quando si tifa e nel quale, se praticato sul campo, ci si impegna al massimo per non lasciarsi sopraffare dall’avversario, dalla stanchezza o dalla fortuna avversa.
Ma assieme a questo, il calcio spesso fornisce un sogno a molti ragazzi. Quello che nasce in tutti i campetti di paese fin dai primi calci, dove c’è sempre chi spera di poter diventare come uno dei giocatori visti in TV ed esultare un giorno in prima persona per un goal segnato con la squadra del cuore.
 
Questo è proprio ciò che è successo al protagonista della nostra intervista di questa settimana.
Attenti, però, non stiamo parlando di un caso del destino, di fortuna sfacciata o di una buona stella, ma essenzialmente raccontiamo di sudore, di rinunce e grandi sacrifici, di impegno quotidiano e di tanta, ma tanta passione.
Si chiama Giacomo Olzer, ha da poco raggiunto la maggiore età e viene dal piccolo paese di Noarna, frazione del comune di Nogaredo, in Vallagarina.
Da quattro anni, però, non abita più qui, ma è «emigrato» a Milano dove gioca a calcio e in contemporanea studia al liceo scientifico.
Gioca a calcio, appunto, come tanti suoi coetanei, ma, rispetto a loro con una «piccola» differenza: Giacomo milita nel Milan, categoria «primavera».



Giacomo con la famiglia.
 
Come sei riuscito ad entrare nel Milan? Mica una cosa da poco per un ragazzo del Trentino.
«Premetto che i miei genitori non sono calciatori, anzi giocavano entrambi a pallavolo e quindi per loro il calcio rappresentava uno sport quasi sconosciuto. Sono stati mio nonno e mio zio che fin da quando ero piccolo mi facevano giocare con loro in giardino. Poi la cosa mi è piaciuta e a tre anni sono entrato nella squadra del Pomarolo dove sono rimasto per circa due stagioni. Ero sotto età, quindi giocavo con i ragazzi più grandi, ma era divertente, me la sono vissuta fin da subito come una grande gioia.
«Alle elementari ho cominciato a giocare nel Rovereto e sono rimasto nella squadra per circa tre anni, fino a quando, durante un torneo, sono stato notato da alcuni osservatori del Chievo che mi hanno chiesto di giocare con loro. Da lì, a nove anni e fino ai quattordici, ho fatto avanti e indietro da Rovereto a Verona per tre volte alla settimana.
«Per la verità, quello è stato un periodo abbastanza impegnativo, soprattutto quando ero ancora alle elementari, dove finivo la scuola alle quattro del pomeriggio e partivo subito dopo per Verona, perché dalle 17 alle 19 avevo l’allenamento. Quindi rientravo a casa attorno alle 20, dopo essere stato fuori tutto il giorno.
«Con il Chievo è andata sempre bene al punto che anche lì un osservatore, del Milan stavolta, mi ha notato e proposto di andare a Milano. Ovviamente, come si può capire, l’offerta era una di quelle che non si potevano rifiutare. Entrare nella squadra per cui tifavo da sempre! Un sogno che si stava realizzando.
«Adesso da quattro anni sono nel Milan, la mia categoria è la primavera. Il passo successivo è quello di entrare nella prima squadra. Non è facile, c’è tanta competizione, ma io non mi arrendo mai!»
 

 
Com’è stato partire per una grande città a quattordici anni, quando non si è più bambini, ma nemmeno adulti?
«Ammetto che i primi due anni sono stati difficili, ero ancora piccolo e l’ambiente di Milano è totalmente diverso da quello del Trentino. Poi, senza la mia famiglia è stata dura, soprattutto all’inizio. Adesso ormai mi sento indipendente, sto per fare anche la patente e quindi mi sentirò sempre più autonomo con l’andare del tempo. Sono in convitto con altri ragazzi che vengono da fuori provincia e siamo seguiti da dei tutor che ci aiutano quando abbiamo bisogno.
«Di sicuro vivere lontano da casa, pur essendo stato difficile, mi ha aiutato parecchio: ora mi sento più maturo, anche rispetto ad alcuni miei compagni che vivono con la loro famiglia. Sto parlando delle piccole cose, come per esempio quando ho fatto una vacanza con degli amici e ho organizzato tutto io perché so come muovermi, a partire dal biglietto del treno. Una cosa semplice a prima vista, ma non è così per tutti. Come per me, anni fa, quando ho dovuto prendere un biglietto del treno con la carta prepagata: è stato terribile. Avevo il treno dopo dieci minuti e non mi ricordavo più il codice pin. Disperato, ho dovuto chiamare per telefono la mia mamma, a casa, ma alla fine ce l’ho fatta. Da allora il codice me lo sono sempre ricordato!»
 

 
Come sono organizzate le tue giornate?
«Beh, la mattina vado a scuola, mentre al pomeriggio mi alleno. Mi dedico totalmente al calcio. Praticamente è come un lavoro, anche perché tieni conto che a partire dai sedici anni cominci ad essere pagato e quindi non puoi permetterti di non dare il massimo.»
 
Com’è giocare dentro al Milan, la squadra che un tempo guardavi solo da lontano?
«È sempre una grande emozione. Mi ricordo che nel momento in cui mi hanno chiamato per giocare al Milan, ho detto a mia mamma: È quello che sognavo fin da piccolo.
«All’inizio non credevo nemmeno fosse possibile, poi con il tempo diventa la normalità. Quest’anno la mia squadra si allena nella stessa struttura della prima squadra, abbiamo già fatto anche qualche allenamento assieme a loro perché magari hanno bisogno di qualche giocatore in più negli allenamenti, oppure nel caso in cui ci sia qualcuno infortunato.
«Come è stato uno shock - positivo ovviamente - sapere che avrei giocato nel Milan, lo è stato anche trovarsi poi in campo, faccia a faccia con i calciatori di serie A. Dopo, però, impari a conoscerli e diventa un po’ come se fossero compagni di squadra. Non ci sono pressioni, quello che sento quando gioco è divertimento puro, dò il massimo perché mi piace, perché è la mia passione, questo è quello che conta. Poi, come tutte le cose, se ti diverti vuol dire che stai facendo bene.»
 

 
Hai mai pensato al «dopo» della tua carriera? Certo è ancora presto, ma sappiamo che un calciatore finisce molto prima di quando un normale lavoratore va in pensione.
«Sicuramente il pensiero c’è, però è anche vero che a fare il calciatore non si guadagna poco. Se va tutto per il verso giusto, mi piacerebbe investire in qualche attività da gestire in prima persona, un domani.»
 
Torni di frequente in Trentino?
«Quest’anno torno più spesso rispetto agli altri anni, perché gioco di sabato e torno su dopo la partita, mentre gli altri anni giocando di domenica non ci riuscivo. In sostanza tornavo una volta ogni due mesi circa. Ora sento di avere più legami con la mia terra, tornando più frequentemente riesco anche a vedere più spesso i miei amici di sempre.
«Certo, a Milano mi manca la mia famiglia e i miei amici, però secondo me una così grande città offre molto di più rispetto al paesino da dove vengo. Quando torno a casa, la sera dopo allenamento posso fare tante cose, mentre invece se fossi a Noarna mi troverei probabilmente a girarmi i pollici. Al mio compleanno sono venuti a trovarmi i miei amici dal Trentino, non volevano più tornare a casa!»
 
Giacomo, si vede, è un ragazzo con la testa sulle spalle, determinato, ma anche ambizioso, non solo nel campo dello sport.
«Mi rendo conto che devo conciliare lo sport con la scuola e sembra sempre che il tempo sia così poco… Però, se guardiamo bene, ne sprechiamo anche tanto. La soluzione? Cercare di fare quello che serve senza perdersi in cose inutili. Per dirti, oggi a scuola avevo un’interrogazione di diritto e mi sono svegliato alle sei e un quarto per prepararmi. Cerco sempre di ottimizzare il mio tempo al meglio. Alla fine è andata bene, ho preso 8 e mezzo, credo il voto più alto in questa materia che abbia mai preso.»

Astrid Panizza @[email protected]
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