Il libro storico della settimana – Di Guido de Mozzi

Titolo: Uomini sul fondo. Storia del sommergibilismo italiano dalle origini ad oggi Autore: Giorgio Giorgerini Editore: Mondatori 2002 - Pagine 709

IL CONTENUTO
Nata oltre un secolo fa, alla fine degli anni Trenta, la flotta sommergibilistica italiana era divenuta allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la più grande al mondo, temuta e rispettata dalle maggiori potenze navali del tempo. L'ora della prova generale avvenne con la Guerra Civile Spagnola e l'ora della verità giunse con il conflitto Mondiale nel Mediterraneo e nell'Atlantico. La storia dei nostri mezzi e dei nostri ragazzi racconta di imprese di grande eroismo sia da parte di ufficiali e marinai costretti ad operare in condizioni estreme. Ben 3.021 di loro riposano infatti nelle loro «tombe d'acciaio».
Il loro sacrificio fu davvero inevitabile? È quello che tenta di scoprire in questo libro Giorgio Giorgerini, studioso di strategia marittima e dottrina navale.

IL COMMENTO
Un libro grande in tutti i sensi, a partire dalla quantità delle pagine, dei dati e dei verbali riportati dagli archivi del nostro ammiragliato. In effetti il libro è piuttosto tecnico e non sempre scorrevole, affaticato un po' dalla mancanza di indice delle navi e dalle note poste in coda anziché a pié di pagina.
Fondamentale per l'appassionato di storia navale perché offre una precisa e meticolosa indagine su tutta la storia del sommergibilismo italiano, ma un po' troppo dettagliato per il semplice curioso.
Per tutti coloro che amano la lettura di testi di storia ne consiglio indubbiamente la lettura, con un consiglio. Se la prima parte può sembrare un po' pesante, sappia che la seconda metà, cioè a partire dallo scoppio della Seconda Guerra, diventa avvincente, appassionante e per certi versi angosciante come un vero e proprio thriller del quale si ignora la finale.
In effetti, quello che appassiona e avvince, non è tanto la storia della nostra Marina né quella dei nostri sottomarini. Ma la storia di ogni singolo battello, del suo equipaggio, dei suoi comandanti, delle sue missioni e delle loro conclusioni tragiche o serene.
Del quadro generale, comunque meraviglia che l'Italia abbia mandato l'arma "fascistissima" (i sommergibili) un po' dappertutto. Dal Mediterraneo al Mar Rosso, dall'Atlantico Orientale a quello Occidentale, dall'Atlantico Meridionale a quello Settentrionale, dall'Indiano al Pacifico. Se non lo si vedesse scritto, non si potrebbe immaginare che i nostri sottomarini stessero in agguato al passaggio delle navi tra la Florida e le Bahamas, oppure tra l'Isola di Sant'Elena e le Isole di Capo Verde. O che dal mar Rosso si portassero in Francia facendo il periplo dell'Africa.
Eroismi, abnegazioni, privazioni, senso del dovere, umanità, buonsenso e capacità professionale dei nostri ragazzi riscattano senza dubbio le manchevolezze dei comandi centrali e le insufficience tecniche dei nostri battelli. Riguardo a queste ultime, tuttavia, non sorprende che i cantieri italiani abbiano fornito ottimi sottomarini un po' a tutte le Marine del mondo e non abbiano risolto i problemi base di quelli in dotazione. Immersioni rapide lunghissime, siluri che saltavano come delfini o che non esplodevano, apparecchiature inadeguate, fragili, e addirittura pericolose per la vita dei sommergibilisti.
Così come non sorprende la differenza (sia nella determinazione che nella capacità operativa) tra la flotta di sottomarini italiani e quelli tedeschi. Noi, nel corso della guerra, abbiamo messo in mare 200 unità, contro i Tedeschi che ne hanno prodotti quasi 2.000. Noi abbiamo affondato un decimo di quante tonnellate di naviglio abbiano affondato i Tedeschi. Per contro, i Tedeschi hanno perso la metà dei loro equipaggi, contro i nostri che ne hanno perso "solo" il 20%. Quando un sommergibile tedesco veniva incastrato, non riemergeva: affondava. Quando un sommergibile italiano era perduto, emergeva, faceva evaquare l'equipaggio, distruggeva i documenti e poi si autoaffondava. I nostri ragazzi soccorrevano i naufraghi, i tedeschi li abbandonavano. Proprio una differenza esistenziale tra noi e i nostri alleati.
Tutto questo fa del libro una serie di racconti avvincenti come se fossero dei piccoli romanzi, collegati tra loro da verbali e documenti che più che appesantire il racconto, irritano coloro che sentono toccare il proprio buonsenso e l'amore per la Patria così "lontana" dai reparti operativi.
Non è stato determinante l'intervento del Duce nella guerra sottomarina. Da segnalare solo che non ha mai autorizzato azioni belliche all'interno dei porti militari americani, che erano state preparate attentamente e certamente sarebbero andate clamorosamente a buon fine. Azioni impedite ufficialmente per "motivi politici". Come dire che, nel caso perdessimo la guerra, forse sarebbe stato meglio non ferire l'orgoglio nazionale americano. Problema che i Giapponesi non si erano certamente posti per Pearl Harbour.
Infine, il lato che più interessa gli appassionati di storia contemporanea. Cosa accadde l'8 settembre 1943 per i nostri sommergibili e i loro equipaggi? Beh, merita leggerlo di persona.